Il 20 maggio 2025 Federico Cafiero De Raho, ex procuratore nazionale antimafia ora parlamentare pentastellato, varca le porte della Procura di Roma, dove è approdato il fascicolo che ricostruisce la sequenza di accessi alle banche dati ai danni di esponenti del mondo della politica, delle istituzioni e non solo. E che ha prodotto 56 capi d’imputazione per le 23 persone indagate. Un funambolico de Raho risponde alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Falco e della pm Giulia Guccione. Sessantadue pagine in cui l’ex procuratore nazionale antimafia ripete sempre lo stesso schema. Che in più punti appare come uno scaricabarile in piena regola. E con una trentina di chiodi (quelli piantati con i vari «non ricordo, non avevamo questa possibilità, lo escludo») tutti nella stessa direzione: la difesa della sua estraneità. Tutti utili a puntellare ogni snodo critico emerso dall’ufficio che guidava e che, nella sua narrazione, gli è passato accanto senza mai toccarlo.
Quando gli contestano gli accessi anomali nelle banche dati, ovvero il cuore dell’inchiesta sul suo ex sottoposto Antonio Laudati e sul luogotenente delle Fiamme gialle, Pasquale Striano, la risposta è: «Io lo ignoravo […] che ci fossero cose di questo tipo».
Una frase che sembra stridere con la successiva, lunga spiegazione tecnica che lui stesso fornisce sul Safe (il Sistema di analisi finanziaria ed economica), sulla catena tra Uif (l’Unità di analisi finanziaria di Bankitalia), Dna e forze di polizia. In altre parole: sapeva tutto del meccanismo, ma non ciò che accadeva al suo interno. Lo schema si ripete quando gli viene domandato se un magistrato poteva chiedere approfondimenti sulle segnalazioni di operazioni sospette: «Assolutamente no», risponde. Quando il pm lo pressa sulle prassi dell’ufficio, arriva la formula definitiva: «Non era proprio nei meccanismi di funzionamento dell’ufficio che un magistrato proponesse».
Una frase che sembra escludere ogni responsabilità organizzativa. I pm a quel punto gli chiedono se abbia mai ricevuto segnalazioni dagli analisti sulle anomalie del gruppo Sos. «Assolutamente, no». Se qualcuno gli ha mai parlato di approfondimenti da fare: «Non è mai avvenuto che qualcuno di loro sia venuto a parlarmi di approfondimenti da fare sulle Segnalazioni per operazioni sospette».
Poi, però, ricorda che lui stesso aveva chiesto ai suoi di verificare una segnalazione a partire da un articolo di giornale: «Guardate che c’è quest’articolo di stampa […]. Vorrei capire se questa segnalazione è fra quelle lavorate da noi». Nel passaggio sulle competenze, de Raho imprime un’altra sterzata. Dice: «Noi non potevamo essere competenti per segnalazioni che non fossero di mafia e terrorismo». Ma poi ricostruisce nei dettagli il caso delle spiate sulla Lega (che più d’uno ha provato ad accollargli), riferendo cosa avesse ordinato ai suoi: «Ora mi dovete spiegare come è possibile che sia stato fatto un atto di impulso…».
E, soprattutto, come aveva deciso lui cosa farne: «Ora non possiamo restituire alla Dia (la Direzione investigativa antimafia, ndr) perché la Dia penserebbe che noi abbiamo un atto di impulso e non vogliamo fare nemmeno denuncia di quello che è emerso dall’atto di impulso. Noi ora lo dobbiamo necessariamente mandare alle Procure. Lo mandiamo a tutte le Procure che sono interessate perché poi loro vedranno». E mentre prima afferma che quegli atti non gli arrivavano e che lui leggeva solo la parte finale («A me arrivavano esclusivamente gli atti di impulso nella parte finale»), quando parla del caso Lega, sostiene il contrario: «È vero che mi arrivava solo l’atto d’impulso, però l’atto d’impulso che mi arrivava io lo leggevo bene, così come deve fare sempre un magistrato». Quando gli chiedono delle spiate sul ministro della Difesa, Guido Crosetto, spiega: «Diciamo che sono tutti fatti che avvengono dai sei agli otto mesi dopo che io ero andato via dalla Dna e c’era il procuratore nazionale Melillo».
Proprio sulle spiate di Striano nei confronti di Crosetto, dai faldoni emerge anche un breve carteggio del procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, con Palazzo Chigi. Crosetto aveva raccontato in Procura, il 22 gennaio 2024, che, dopo i primi articoli che lo avevano riguardato e per cui aveva presentato denuncia, il quotidiano Domani ne aveva pubblicato altri due molto sospetti.
Per questo, dopo essere stato sentito il 7 settembre 2023 sui fatti esposti nella querela, era stato convocato nuovamente per parlare degli altri due servizi pubblicati tra novembre e dicembre 2023. Cantone, nella sua missiva dell’8 febbraio 2024 (indirizzata all’«Illustrissimo Signor Presidente del Consiglio dei ministri On. Giorgia Meloni») spiega che Crosetto, con riferimento al primo articolo, aveva evidenziato «come lo stesso contenesse informazioni coperte da segreto, in quanto relative alla partecipazione della moglie a una selezione presso l’Aise che, essendo un’articolazione del Dis, è una struttura le cui procedure di reclutamento del personale sono sottoposte ad un rafforzato sistema di protezione dei dati».
Crosetto, nel verbale del 22 gennaio 2024, spiega: «Ho parlato della vicenda con il sottosegretario Alfredo Mantovano, delegato ai servizi, e con la premier Giorgia Meloni e ho anche esplicitato le mie rimostranze al direttore dell’Aise, generale Caravelli. Ho chiesto di svolgere un accertamento perché evidentemente la notizia era uscita da quel contesto e non ho saputo gli esiti ma credo che questi accertamenti siano stati compiuti. Ho parlato della vicenda anche con l’ambasciatrice Elisabetta Belloni, direttrice del Dis, alla quale pure ho chiesto di operare verifiche su come questa notizia fosse uscita». Cantone nella missiva inviata a Palazzo Chigi riporta alcuni passaggi del verbale di Crosetto, per poi spiegare il motivo della comunicazione: «Con la presente, essendo in corso indagini sull’attività di dossieraggio compiuta in danno del ministro Guido Crosetto ed essendo quindi indispensabile comprendere se le vicende da ultimo riportate negli articoli sopra citati siano collegate a quelle già oggetto dell’attività investigativa in corso, si chiede alla S.V., ai sensi dell’articolo 256 comma 1 codice di procedura penale (dovere di esibizione di atti all’autorità giudiziaria, ndr), di valutare, qualora non vi siano ragioni ostative all’ostensione degli atti, la possibilità di riferire se effettivamente sono stati compiuti accertamenti sulla possibile provenienza delle informazioni dagli organismi di sicurezza e, in caso positivo, di valutare la possibilità di trasmettere gli esiti degli stessi».
Il 4 marzo 2024 risponde il sottosegretario Alfredo Mantovano, a cui è stata affidata dalla Meloni la delega sui servizi segreti: «In merito alla sua richiesta di informazioni rivolta alla presidente del Consiglio, che mi ha delegato per la risposta, confermo che il ministro Guido Crosetto mi ha espresso le segnalate perplessità. Effettuati i dovuti accertamenti, essi hanno escluso la provenienza delle notizie dagli organismi di intelligence». Questione chiusa.






