Il Tribunale di Napoli ha archiviato l’accusa di corruzione internazionale aggravata contestata a Massimo D’Alema e ad altri sette indagati. A mettere in salvo l’ex primo ministro potrebbe essere stata l’amata Internazionale socialista o, forse, la rete diplomatica parallela che, da ex premier e ministro degli Esteri, aveva messo in moto per cercare di far ottenere a Leonardo e Fincantieri una commessa miliardaria da parte del governo colombiano. Tanto che uno dei suoi sodali venne da lui direttamente introdotto presso l’ambasciata italiana di Bogotà.
L’inchiesta riguardava la trattativa per una compravendita di armamenti (4 corvette, 2 sommergibili e 24 caccia militari) del valore 4 miliardi di euro che D’Alema aveva cercato di mediare in cambio di 80 milioni di euro di provvigioni per se stesso e gli altri broker.
Il 27 marzo scorso il gip Rosaria Maria Aufieri ha accolto la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura di Napoli nei confronti dell’ex primo ministro e i suoi presunti sodali, ma nel provvedimento ha usato parole molto dure: «In data 17 gennaio 2025 i pubblici ministeri avanzavano richiesta di archiviazione, escludendo nel merito l'infondatezza della notizia di reato, sottolineando, anzi, la ricchezza di elementi dai quali poter desumere con estrema certezza l'esistenza di una trattativa sottesa da accordi corruttivi in fase avanzata, interrottasi nella fase dell'accordo tra le parti, prima, cioè, del perfezionamento contrattuale, presupposto necessario per dare successiva attuazione al pagamento degli importi concordati». Ma i magistrati napoletani, guidati dal procuratore Nicola Gratteri, pur certi della bontà della loro pista investigativa avrebbero deciso di arrendersi per un motivo molto semplice: la mancata collaborazione del governo colombiano, che, va ricordato, è guidato dall’agosto 2022, cioè dall’inizio delle indagini, dall’ex guerrigliero di sinistra Gustavo Petro, uno dei governanti socialisti del Sud America con cui D’Alema ha intrattenuto rapporti, sia per motivi ideologici che istituzionali.
Per esempio, nel 2016 Petro sul suo profilo Facebook aveva pubblicato una sua foto con l’ex premier italiano e con l’ex sottosegretario Donato Di Santo, accompagnandola con questo commento: «Unendo le vie del progressismo». Lo stesso anno aveva postato un altro scatto, abbracciato a Baffino: «Sono stato insignito, insieme all'ex Primo ministro italiano Máximo D’Alema, della Legion d’onore nazionale messicana» aveva puntualizzato.
E alla cerimonia di insediamento di Petro, nell’agosto del 2022, il governo di Mario Draghi non inviò come proprio rappresentante il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, ma l’allora ministro del Lavoro Andrea Orlando, che aveva salutato l’elezione con malcelato entusiasmo («Una bellissima notizia, per la prima volta nella storia la sinistra vince in Colombia») e che D’Alema, nel 2017, aveva sponsorizzato come segretario del Pd.
E anche se lo stesso Petro, quando esplose la notizia dell’inchiesta, aveva fatto sapere di volere avviare un’indagine pure in Colombia la sua determinazione deve essere un po’ scemata con il passare dei mesi. Al punto che il giudice nel decreto di archiviazione motiva il fallimento del procedimento con la scarsa collaborazione del governo sudamericano: «Tuttavia, il mancato riscontro (parziale) alle richieste rogatoriali internazionali (che passano attraverso il ministero degli Esteri dello Stato interrogato, ndr), non consentiva, a parere dei pubblici ministeri, di acquisire i fondamentali elementi di prova necessari per poter formulare una ragionevole previsione di condanna».
Quindi a salvare a D’Alema sarebbe stato il combinato disposto della mancata collaborazione dell’esecutivo di Bogotà e la riforma Cartabia, varata dal governo Draghi (sostenuto con convinzione da Pd e compagni), una legge che per il rinvio a giudizio richiede una prognosi di condanna quasi certa.
L’archiviazione arriva dopo tre anni di inchiesta. Nel giugno del 2023 i magistrati avevano fatto perquisire gli indagati e acquisito presso la nostra redazione l’audio pubblicato dalla Verità in cui si sentiva D’Alema trattare con Edgar Ignacio Fierro Florez, 50 anni, meglio conosciuto come «don Antonio», già condannato a 40 anni di prigione per i crimini commessi da comandante delle Autodefensas unidas de Colombia, le famigerate Auc, gruppi paramilitari di estrema destra che si sono distinti in operazioni di pulizia etnica e narcotraffico.
Del gruppo di lavoro faceva parte anche Oscar José Ospino Pacheco, classe 1966, alias Tolemaida, accusato «di massacri, omicidi selettivi, sfollamenti e sparizioni forzate mentre era a capo di un gruppo del Blocco Nord delle Auc».
Il gip, in un provvedimento di quattro pagine, ricostruisce la genesi del procedimento. Ricorda che l’iscrizione, dopo un nostro scoop, era avvenuta per un’ipotesi di truffa e sostituzione di persona, e che, successivamente, «lo sviluppo delle indagini aveva consentito di intravedere una diversa notizia di reato, quella di corruzione internazionale». La toga, nel decreto, mette a fuoco il ruolo di D’Alema e come sia stato agganciato : «Le indagini svolte dalla Digos consentivano di apprendere dell'esistenza di una articolata trattativa relativa alla fornitura di armamenti al governo della Colombia da parte delle società italiane a partecipazione pubblica Leonardo e Fincantieri, impegnatesi a riconoscere, in caso di positiva conclusione degli accordi, una success fee pari al 2% del valore complessivo dell'affare, ammontante a circa quattro miliardi di euro, a titolo formalmente di provvigione per l'intermediazione, allo studio legale americano Robert Allen Law (Ral)», il cui ruolo, come vedremo avrebbe dovuto essere decisivo.
La storia riassunta dal giudice è quella che La Verità ha raccontato nei dettagli a partire dal 2022: i broker pugliesi Francesco Amato e Emanuele Caruso, in veste di «consiglieri del ministro degli Affari esteri della Repubblica di Colombia», per il tramite di Giancarlo Mazzotta, ex sindaco di Carmiano (Lecce), e del figlio, Paride, consigliere regionale di Forza Italia, «avevano preso contatti con D'Alema», dopo averlo «individuato quale interlocutore privilegiato per mediare i rapporti commerciali, in ragione dello standing istituzionale e della consolidata esperienza maturata nella cooperazione estera», e in un incontro avvenuto nell'ottobre del 2021 a Roma, gli «avrebbero esposto gli investimenti stanziati dal governo colombiano nel settore energetico e di ammodernamento delle forze armate e le conseguenti possibilità di business». L’ex premier si sarebbe reso subito «disponibile ad aprire un canale di comunicazione con le società Leonardo e Fincantieri, forte dei suoi rapporti personali con i rispettivi amministratori delegati». Ma soprattutto avrebbe trovato il sistema per nascondere il giro dei soldi. Per il gip, infatti «individuava» nello studio Allen «il soggetto idoneo a cui rivolgersi al fine di seguire, per conto di Leonardo e Fincantieri, tutte le incombenze sul territorio sudamericano». Una scelta che non sarebbe stata casuale, dal momento che Robert Allen law «avrebbe usufruito dello statuto di protezione e segretezza, riconosciuto dal sistema legale americano all'attività degli studi legali, rappresentando, così, lo schermo ideale, dietro al quale celare e successivamente smistare le commissioni destinate ai soggetti ultimi della trattativa, senza correre il rischio di accertamenti da parte delle autorità statunitensi».
La gip precisa come si sia arrivati al confronto tra D’Alema e l’ex paramilitare Fierro: «Dal copioso compendio investigativo si ricava che le trattative tra la "parte italiana" e la "parte colombiana”, non senza difficoltà, proseguivano tra l'ottobre 2021 e il febbraio 2022, coinvolgendo a vario titolo funzionari, politici ed alti ufficiali militari colombiani, i massimi rappresentanti delle società interessate alla vendita, e culminavano in un colloquio telefonico tenutosi tra D'Alema Massimo e Edgar Fierro Florez, capo del gruppo di lavoro per la presentazione di opportunità in Colombia, al fine di superare lo stato di stallo in cui si trovava la negoziazione».
Nella conversazione si fa riferimento alla commissione riconosciuta dalle società partecipate «per l’attività di intermediazione svolta da D’Alema, dallo studio legale e dai negoziatori italiani e colombiani»: «In questo caso è un contratto commerciale al 2% dell’ammontare del business. Questa è una decisione straordinaria, non è stata facile da conseguire. È chiaro? Perché il valore di questo contratto è più di 80 milioni» sottolinea D’Alema a Fierro. Quest’ultimo fa dichiarazioni decisive per ipotizzare la corruzione. Infatti, quando l’ex premier si mostra preoccupato per le imminenti elezioni legislative colombiane, che potrebbero rimettere in discussione l’affare, Fierro offre rassicurazione sui suoi contatti: «Il ministro della Difesa se ne andrà tra due o tre mesi, ma ci sono ancora due funzionari che fanno parte della nostra squadra, che possono gestire tutto ciò di cui abbiamo bisogno e tutto ciò per cui ci siamo impegnati con Leonardo». Fierro cita anche un generale che può «accelerare il processo di acquisto dei prodotti offerti da Leonardo». Ma tali soggetti non sarebbero stati identificati.
La Aufieri conclude: «La trattativa, tuttavia, falliva ufficialmente con la comunicazione del ministero della Difesa colombiano a Fincantieri del 16 febbraio 2022, verosimilmente a causa di problemi relativi alla spartizione della commissione spettante ai soggetti riconducibili alla "parte colombiana”».
Nel giugno del 2023 Petro, a causa del tam-tam relativo all’inchiesta italiana, è costretto a intervenire su X e annuncia: «Tangenti per un valore di 80 milioni di dollari dovevano essere distribuite tra un’azienda italiana e alti funzionari del precedente governo per l’acquisto di equipaggiamento militare navale. L'inchiesta italiana sta andando avanti e chiedo alla Procura di avviarla in Colombia». Il presidente allega un articolo del Corriere della sera con la foto di D’Alema e dell’ex amministratore di Leonardo Alessandro Profumo.
Nei commenti gli utenti del social network rilanciano le foto pubblicate da Petro nel 2016 e le accompagnano con battute velenose: «Sei tu che hai voluto “unire le vie del progressismo” con D’Alema» gli contesta uno. «L’amico che l’ha decorata» rincara un altro. Dopo un anno e mezzo la Procura di Napoli è stata costretta a chiedere l’archiviazione per la mancata collaborazione del governo di Petro. E il gip l’ha accolta, «condividendo integralmente quanto dedotto dal pm».