Nel riquadro, il professor Sergio Romagnani (Ansa)
L’immunologo Sergio Romagnani: «Parlai degli errori nei test anche con Abrignani e altri colleghi, tutti concordi. Però pubblicamente non potevano dirlo, c’era troppa pressione».
A leggere le trascrizioni delle discussioni che avvenivano all’interno del Comitato tecnico scientifico che affrontò l’emergenza Covid, c’è da rimanere agghiacciati. Infatti, il dibattito fra i cosiddetti esperti nelle riunioni che si tennero tra maggio e giugno del 2021, e di cui c’è testimonianza nei verbali redatti dal nucleo per la tutela della salute dei carabinieri di Genova, verte tutto intorno agli effetti collaterali. Cioè, i «tecnici» che lavoravano al fianco di Roberto Speranza sapevano perfettamente delle reazioni collaterali provocate dal vaccino, in particolare da Astrazeneca, il farmaco appena ritirato dal commercio in tutto il mondo dalla multinazionale anglosvedese. E però dopo ampia e approfondita valutazione decidono di non fare niente, di lasciare che le iniezioni proseguano, ritenendo che i rischi fossero tutto sommato eccezionali.
Attenzione: i rischi di cui parliamo sono il decesso di alcune persone, un «danno indesiderato» che non solo era noto e calcolato, ma considerato alla fine sopportabile nonostante fosse possibile evitarlo. Lo spiega bene Sergio Abrignani, immunologo con una sfilza di titoli il quale, in una delle riunioni del Comitato tecnico scientifico agli inizi di maggio di tre anni fa disse, testualmente: «Io rimango dell’idea che vista la presenza di questi eventi rari, ma che esistono, perché rischiare anche un solo morto? Perché andare a causare anche un solo morto quando ho altre alternative». Già, perché? La risposta è agli atti: c’è il problema di consumare le dosi già acquistate, di Astrazeneca e di Johnson & Johnson, cioè dei vaccini che più hanno causato trombosi e che l’opinione pubblica, allarmata dalle notizie di reazioni avverse pubblicate dalla stampa, non vuole più. E allora Giuseppe Ippolito, altro luminare, propone di dare il farmaco della multinazionale con base a Cambridge, alle persone in età più avanzata. «Se lo diamo a ottantenni e settantenni, non commettiamo un reato», spiega, «perché se noi entriamo col diritto di scelta del vaccino, alla fine non ne veniamo fuori. La decisione va presa per fascia di età, anche per consumare queste dosi. Se diamo quelle che ci avanzano, […] facciamo solo un bene».
Il problema dunque è vaccinare tutti, ma anche smaltire le scorte. Lo illustra bene Cinzia Caporale, della commissione etica del Cnr, la sola donna presente. Dice la dottoressa: «Noi stiamo facendo i conti con le dosi di Astrazeneca che abbiamo in casa, ma poi ne arriverà una nuova fornitura». Abrignani spiega che le dosi non si esauriranno in fretta, perché presto l’Italia riceverà altre 26 milioni di dosi, più 16 milioni di Johnson & Johnson. Quindi? Si rinvia a due giorni dopo, quando l’Aifa rilascerà le ultime informazioni sulle reazioni avverse: 34 casi di trombosi venose, 29 celebrali e 5 splancniche.
Donato Greco, direttore del laboratorio epidemiologico dell’Istituto superiore di sanità, avverte: «Il rapporto di farmacovigilanza del governo francese riporta una incidenza di Astrazeneca di tromboflebiti molto più elevata di quella che abbiamo visto in Italia». E c’è sempre una forte prevalenza femminile in tutti i casi, anche in quelli inglesi e tedeschi. E allora, che si fa? Qui interviene Rezza. «A me avevano dato indicazione effettivamente preferenziale al di sopra dei 60 anni, il che non vuol dire che Astrazeneca stessa non possa essere usata al di sotto, cioè nel senso l’autorizzazione e l’approvazione rimane sempre dai 18 anni in su, quindi se vogliamo fare l’Astrazeneca day, lo si può fare. Non è che adesso mettiamo una prescrizione, cioè dai 60 anni in giù non si può fare. C’è l’indicazione preferenziale dai 60 in su, tenendo conto del fatto che il beneficio aumenta con l’aumentare dell’età; quindi, è chiaro che più andiamo su con l’età, maggiori sono i benefici, più andiamo giù sono minori i benefici e quindi automaticamente i rischi sono maggiori».
Chiaro, no? E allora Franco Locatelli, il coordinatore del Cts, dice di scrivere nel verbale che non c’è limitazione all’uso sopra i 18 anni di età «e il secondo punto che metterei è che i dati attualmente disponibili dimostrano che vi è un vantaggio nel rapporto benefici-rischi che è incrementale con l’aumento dell’età». Fin qui tutti d’accordo, chiede? No, non sono tutti d’accordo. E addirittura c’è chi propone di differenziare le prescrizioni in base al genere sessuale. Cioè vaccinare con Astrazeneca solo i maschi, ma Rezza dice no. E quindi un altro dirigente propone di vaccinare con Johnson & Johnson un’altra «popolazione speciale», come gli studenti dell’Erasmus, nonostante gli studenti siano quelli che, secondo Rezza, hanno minori benefici e si assumono i maggiori rischi. Infatti, solo su una cosa sono tutti d’accordo, e cioè che per quanto rarissimi, i rischi ci sono e sono legati all’età. «Non possiamo dire che c’è equipollenza di rischio, perché non corrisponde a verità» spiega Locatelli «al massimo possiamo dire che non possiamo escluderla, che è un concetto diverso».
Così, si va verso l’Astrazeneca day, quello in cui morirà Camilla Canepa. Nessuno, sebbene i dubbi siano molti, si prende la briga di dire che il vaccino non va fatto ai più giovani. Solo dopo si spaventano, perché è evidente la connessione. Abrignani si dice turbato, forse perché ha figli di 21 e 22 anni. Ma quando legge sul sito del Corriere di questa ragazza di 18 anni operata per trombosi (morirà dopo alcuni giorni) si ricorda che in Gran Bretagna non si dava Astrazeneca al di sotto dei 30 anni. Fabio Ciciliano dice che se le cose fossero state fatte bene, quella ragazza non sarebbe morta.
Perché i membri del Cts abbiano esitato tanto a dire che il vaccino era utile per chi aveva almeno sessant’anni e non per i ragazzi lo spiega incidentalmente il presidente del comitato, Giorgio Palù, parlando liberamente senza accorgersi che il microfono della riunione è aperto. A uno sconosciuto a cui chiede un incontro parla di pressioni che non capisce per portare più in basso l’età dei vaccinati con Astrazeneca e Johnson & Johnson. Chi fece quelle pressioni? E soprattutto perché, pur conoscendo i rischi, non si presero i necessari provvedimenti?
Nella riunione del comitato all’indomani della morte della Canepa, Palù viene registrato con un mister X, forse dell’esecutivo: «Ci chiedono un parere diverso e di autorizzare Astrazeneca sotto i 60 anni. Per insistenze ministeriali... Io non tornerei indietro...».
Astrazeneca ritira in tutto il mondo il suo prodotto e ammette gli effetti avversi. Che il nostro Cts conosceva. Ma siccome verificare la predisposizione alle trombosi avrebbe rallentato la campagna, si è tirato dritto.