Mimmo Lucano (Ansa)
Secondo le toghe il Comune di Riace, con la scusa dell’emergenza migranti, avrebbe versato 4 milioni di euro a società non qualificate ad assisterli. L’eurodeputato e due ex assessori dovranno pagare 500.000 euro.
I fondi del ministero dell’Interno e dell’Unione europea, per una sorta di contrappasso, sono stati investiti anche per insegnare a fare pane e pizza alle celeberrime «risorse» di boldriniana memoria. Ma questa volta a usare quel termine per indicare gli extracomunitari non è stata l’ex presidente della Camera, né Matteo Salvini con accezione sarcastica. No, sono stati i parenti di Aboubakar Soumahoro nelle causali delle fatture finite al centro dell’inchiesta della Procura di Latina per reati che vanno dalla bancarotta fraudolenta all’autoriciclaggio, dalla frode nelle pubbliche forniture all’evasione fiscale. Ma in questo capitolo della storia, più che la suocera del deputato con gli stivali, Marie Terese Mukamitsindo, o la compagna, Liliane Murekatete, qui il protagonista è il cognato del parlamentare, Richard Mutangana, il quale, a un certo punto della sua vita, con i soldi delle cooperative, ha fatto armi e bagagli ed è tornato a vivere in Ruanda a fare affari.
Il commissario liquidatore della Karibu Francesco Cappello ha elencato le spese contestate al contumace Mutangana, uno dei due irreperibili nel processo di Latina.
Nell’elenco delle somme distratte alla Karibu in favore di Richard ha inserito 154.000 euro di bonifici inviati all’estero («alcuni disposti in un periodo di conclamato dissesto finanziario» specifica il professionista); 511.000 euro di pagamenti effettuati in Italia (tra stipendi, rimborsi, ricariche postepay, pocket money, ecc.) e 277.000 euro per un’altra carta prepagata utilizzata dal quarantasettenne. Il tutto senza che Mutangana risulti aver ricoperto cariche all’interno delle coop. È stato, invece, assunto come «operaio» dal 2018 al 2022, nonostante si trovasse all’estero. Da dove gestiva, come vedremo, le finanze delle società riconducibili alla madre. Il cognato di Soumahoro si sarebbe occupato anche della gestione dell’associazione Jambo Africa a cui la Karibu ha erogato nel tempo 2,7 milioni di fondi e da cui, Richard, ha ricevuto stipendi a partire dal 2011.
Un veicolo che, per l’accusa, sarebbe servito a drenare altri fondi per fini tutt’altro che lodevoli. La moglie, Valeria G., ex operatrice socio-legale e collaboratrice della Karibu sin dalla fondazione, avvenuta nel 2004, è stata licenziata nel 2022. Il 13 settembre di quell’anno ha raccontato ai magistrati come abbia fatto carriera il consorte, suo coniuge dal 2006, e come si sia, successivamente, volatilizzato: «Nell’anno 2011, a seguito dell’emergenza del Nord-Africa, ricordo che Mutangana si propose alla madre per gestire i progetti inizialmente su Aprilia, per supervisionare le attività di gestione dei centri di accoglienza e occuparsi della gestione finanziaria compreso i pagamenti dei pocket money». Ma nonostante i fondi destinati alla Karibu andassero investiti in Italia, a un certo punto, i coniugi decidono di cambiare aria, con i soldi delle coop: «Nel luglio del 2016, siccome i miei figli non conoscevano il Ruanda, mio marito ci propose una vacanza per il periodo estivo. Arrivati a Kigali, la capitale, mio marito, dopo aver ripreso i contatti con alcuni suoi familiari ed amici, mi propose di restare lì e di aprire un piccolo supermercato per la vendita di prodotti importati dall’Italia». La moglie accetta e il locale viene inaugurato. «A seguito dell’apertura dell’attività ricordo che andai con mio marito presso la Bank of Kigali per l’apertura di un conto cointestato. So, perché me lo ha riferito lui, che aprì altri conti correnti».
Richard, con a disposizione i soldi dell’accoglienza garantiti dal governo italiano, inizia «a essere molto impegnato e poco presente in famiglia». Ma gli affari procedono. Come riferisce Valeria: «Agli inizi del 2018 mi prefigurò la possibilità dell’apertura di un ristorante che proponesse cibi italiani acquistati dal suo supermercato. Verso l’estate del 2018 fu inaugurato il ristorante chiamato “Gusto Italiano”».
Bene, direte, voi, Richard a questo punto avrà salutato i parenti che vivevano a Latina e si sarà licenziato dalla coop pontina. Niente di più falso. «Durante tutto questo periodo mio marito ha continuato a gestire finanziariamente la Karibu dal Ruanda» puntualizza la consorte con gli inquirenti. «Di questo sono certa in quanto vedevo mio marito che tramite home banking provvedeva a disporre i bonifici per conto della Karibu». Insomma Richard gestiva i soldi della coop da Kigali, ma a casa era diventato praticamente un fantasma, adducendo «impegni lavorativi» e «allontanandosi per più giorni» da casa. La donna, a verbale, ha spiegato, però, di non conoscere i costi sostenuti dal coniuge per avviare le attività, né i fatturati, dal momento che lei si sarebbe occupata per lo più di crescere i figli. Ha comunque specificato che lei e Richard non avrebbero avuto «grosse disponibilità finanziarie» e che vivevano dei loro salari. A questo punto i finanzieri le hanno mostrato le entrate sul conto cointestato (in particolare bonifici da 4.000 euro mensili) e la testimone si è detta sorpresa: «Non ne ero a conoscenza anche perché tali bonifici erano disposti da mio marito che gestiva i conti Karibu […] presumo che fossero legati al pagamento dei suoi stipendi».
Nel verbale la moglie ha ammesso di aver gestito per un breve periodo il supermercato e che nell’occasione le parve che gli affari non andassero particolarmente bene: «Aveva debiti nei confronti dei tre dipendenti (stipendi arretrati) e dei fornitori». A un certo punto Valeria G. decide di tornare a vivere in Italia con i figli, nel «totale disinteresse del marito» con cui avrebbe praticamente perso i contatti, essendo lui rimasto in Ruanda.
Gli investigatori, con un certo coraggio, chiedono alla signora se sia a conoscenza dei rapporti con la politica della suocera Maria Terese e nuora risponde, indicando una pista che porta, ovviamente, in direzione del Partito democratico: «Ricordo solo la presenza di Tommaso Ciarmatore presso l’ufficio di Latina Scalo, il quale era stato contrattualizzato dalla cooperativa Karibu pur essendo consigliere del Comune di Roccagorga. A tal proposito, ricordo che mia suocera in un’occasione mi riferì che tale persona era stata segnalata dall’allora Sindaco di Roccagorga Carla Amici», sorella dell’ex potente sottosegretario (in tre governi, Letta-Renzi-Gentiloni) Sesa Amici.
La testimonianza della signora, si conclude con un interessante ricordo: «Nel periodo in cui ho vissuto in Ruanda ricordo che mio marito Mutangana, in accordo con la madre, mi coinvolse presso un notaio in Kigali per l’apertura di una Karibu ruandese. Che sarebbe dovuta servire per delle attività di prevenzione e formazione di soggetti provenienti da altre aree critiche dell’Africa, partecipando a bandi sia europei che internazionali. Che io sappia tale società non ha di fatto mai gestito progetti. Aggiungo che durante il 2019, se non ricordo male, andai in Ruanda e di comune accordo con mio marito mi feci cancellare dall’impresa».
La Karibu Ruanda limited, però, come risulta dagli atti depositati in tribunale, è riuscita a emettere più di una fattura nei confronti delle consorelle italiane. Proprio per il corso «Pane e pizza per cinque risorse» la Karibu Rwa, il 12 giugno 2017, ha presentato un conto alla coop Karibu della bellezza di 4.730.000 franchi ruandesi, che al cambio corrispondono a 4.730 euro. Anche per l’organizzazione di presunti convegni risultano investimenti consistenti. In particolare per quello che si sarebbe tenuto nella sede del Social welfare di Accra, in Ghana, in previsione della registrazione di Karibu come Ong: il 18 gennaio 2018, la società di Mutangana presenta un conto da 9.345 euro. Al Lake Kivu Serena hotel di Gisenyi, cittadina sul mare a un’oretta di auto dalla capitale Kigali, si sarebbe discusso della creazione di cooperative di produzione gestite da donne. Alla fine, l’1 agosto del 2018, sono stati fatturati 5.000 euro tondi. Ma è per altri progetti africani che la Limited ruandese manda le notule per le cifre più alte. Per l’individuazione e l’acquisto di un terreno per coltivare spezie per realizzare prodotti omeopatici, per esempio, sono stati pagati 11.327 euro, 7.640 dei quali solo per comprare il terreno. Ci sono, poi, i défilé di moda, in Benin e in Burkina Faso, per cui sono state rimborsate spese per la fornitura di «tessuti africani» e «accessori»: 3.640 euro per i primi e 4.000 per i secondi. Ovvero 7.640 euro per le due sfilate. Entrambe le fatture sono del 2018. La passione per la ristorazione di mamma Mukamitsindo e del figlio Richard emerge anche dalle attività all’estero. Per la ristrutturazione dei locali di un ristorante afro-tricolore, probabilmente il già citato «Gusto italiano», con corsi di formazione annessi, la Karibu Rwa ha chiesto, nel 2018, il pagamento di 12.870 euro, così suddivisi: 7.640 per i lavori e 5.230 per i seminari. D’altra parte, Marie Terese aveva spiegato ai magistrati di essersi dovuta trasformare in una chef di cucina etnica per cercare di convincere i migranti che ospitava a mangiare. Avrebbe persino acquistato vagonate di riso africano (come attesterebbe un bonifico da 15.000 euro versato, questa volta, a una presunta Karibu Belgique). Poi deve aver deciso di esercitarsi a casa, visto che con i soldi della coop è stata comprata una cucina Scavolini modello Grand relais del valore di 11.500 euro che risulta essere stata consegnata a Latina proprio al suo domicilio.
In Africa, sono partiti pure altri corsi, tra i quali uno per «panettiere con farina italiana» da 5.230 euro. La Limited puntava anche a produrre prosciutti e salami a Kigali. Infatti, negli atti dell’indagine si trova traccia di un bonifico del luglio del 2017 da 12.520 euro per un «Progetto allevamento maiali». Tre giorni dopo, ne segue un altro da 7.800 euro, questa volta destinato alla Jambo Africa, con causale: «Progetto maiali per ospiti». Evidentemente suini da compagnia.