Giuseppe Conte (Getty Images)
La Corte dei conti seppellisce definitivamente la misura grillina: i costi che schiacciano il bilancio pubblico non sono compensati da benefici. Decenni per chiudere il buco.
Gli effetti del famoso Superbonus non finiscono mai di stupire, ma in negativo. Secondo la Corte dei conti, che ha calcolato i costi e i benefici di questo intervento, serviranno 35 anni di tasse e risparmi energetici per rientrare nei costi. In termini più semplici, se si calcola quanto si è speso, il Superbonus, scrivono i magistrati dei Conti: «Non appare sufficiente ad assicurare il conseguimento degli obiettivi fissati dal nuovo Piano nazionale energia e clima». Si sono spesi una marea di soldi, si sono spesi in nome di un efficientamento energetico e green, ma i benefici sono lontani, si giungerà alla meta nel 2057.
In economia si parla di «debito buono» e di «debito cattivo». Il debito buono è quello che, non solo, fa da motorino di avviamento per l’economia generando più soldi di quelli che si spendono e, quindi, anche più introiti fiscali per lo Stato. In altre parole: lo Stato contrae un debito per contribuire allo sviluppo dell’economia che riparte da sola generando un incremento di Pil che, alla fine, risulta superiore all’importo investito, quindi, viene recuperato tutto l’importo, in più lo Stato incassa anche più tasse dipendenti dal maggiore sviluppo stesso. Il debito cattivo è quello che spende i soldi dello Stato non generando un pari risultato di sviluppo, né un introito fiscale maggiorato dallo sviluppo stesso (se cresce il Pil, cioè la ricchezza prodotta, crescono anche le tasse incassate dallo Stato), ma i tempi del recupero diventano tempi biblici pensando solo che il provvedimento ha preso il via con il decreto Rilancio introdotto dal governo Conte con l’agevolazione per ristrutturare casa al 110% di sconto. I costi sono saliti via via: 35 miliardi di euro calcolati dalla Ragioneria generale dello Stato fino al 2035; nel 2024, secondo i dati Enea, il Superbonus è costato 114 miliardi di euro. Per esempio, si sarebbe potuto attuare il taglio del cuneo fiscale per dieci anni e questa sì, sarebbe stata una misura che avrebbe incrementato il reddito dei cittadini consumatori e, quindi, i consumi e la produzione e, in definitiva, il Pil. Infatti, questa diversa destinazione dei soldi si sarebbe trasformata in consumi in tempi molto brevi e molto efficaci.
Da una tabella del ministero dell’Economia, che ci dà una sintesi delle cessioni e degli sconti in fattura relativi ai bonus edilizi (compreso il bonus facciate), si stima che, dal 15 ottobre 2020 al 14 novembre 2023, il totale dei bonus sarebbe arrivato a 160 miliardi di euro di spesa totale. Dalla stessa tabella si evince che i crediti utilizzati fino a ora sono 25,5 miliardi di euro. Conclusione: rimangono da smaltire 135 miliardi di euro, costo totale del Superbonus che rimane sul groppone dei governi post Conte. Da tener presente che, sempre secondo l’Enea, 114 miliardi di euro sono serviti a ristrutturare 480.000 edifici, di cui 121.000 condomini. Essendo che gli edifici residenziali in Italia sono 12,1 milioni, di cui 1,2 milioni di condomini, vuol dire che con i soldi del Superbonus è stato ristrutturato poco meno del 4% degli edifici residenziali e circa il 6% dei condomini italiani. Facendo due conti, per avvicinarsi agli obiettivi della direttiva europea Case green, che riguarda l’efficienza energetica, per essere rispettati servirebbero altri 217 miliardi di euro in 25 anni.
Tanto fumo, poco arrosto e, tra l’altro, bruciacchiato: questo, in sintesi, il risultato del tanto conclamato Superbonus. Ma i dati non sono ancora tutti perché è difficile prevedere con esattezza quello che succederà, anche perché molti degli impegni incentivati dal Superbonus riguardano materiali e impianti - ad esempio caldaie e pompe di calore - che non hanno una vita utile lunga come quella indicata dalla Corte dei conti e, quindi, l’analisi di quello che è costato il provvedimento e dei benefici che esso ha recato, come indicato dalla Corte dei conti, potrebbe rivelarsi ancora più negativo. Non è un caso che la Corte stessa sia d’accordo con la scelta del governo Meloni di rimodulare drasticamente la misura e che vi sia una differenziazione tra i singoli interventi: cappotto termico, sostituzione degli infissi o degli impianti, installazione di collettori solari che siano realmente collegata ai risparmi energetici, altrimenti, come sottolineato sopra, non saranno raggiunti gli obiettivi fissati al momento della decisione di questa spesa che pare folle in relazione ai risultati ottenuti. C’è un dato interessante che è l’investimento medio per la ristrutturazione che si aggira attorno ai 600.000 euro per i condomini, ai 120.000 euro per gli edifici unifamiliari, ai 100.000 euro per quelli funzionalmente indipendenti e - udite, udite - 250.000 per i castelli. Ora, io vorrei trovare in tutta Italia, isole comprese, e compreso anche lo Stato Città del Vaticano e la Repubblica di San Marino uno, dicesi uno, che mi spiegasse l’importanza di spendere soldi pubblici, e l’urgenza di farlo, per creare cappotti termici e cambio degli infissi nei castelli. E, soprattutto, vorrei capire perché, per creare un cappotto termico ai castelli, abbiamo dovuto creare un cappotto di legno - detto anche bara - all’interno dei conti pubblici italiani che già soffrono di un permanente stato di agonia cronica dove il passo dalla vita alla morte è più breve di quello della formica.
Che volete che vi dica. I numeri sono testardi più delle idee e l’economia ha delle regole piuttosto rigide, anche se semplici, e tali regole vanno rispettate perché altrimenti l’economia si arrabbia e il sistema di mercato, insieme con quello dell’economia pubblica, genera mostri, come in questo caso.
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Giuseppe Conte (Getty Images)
La Corte dei conti seppellisce definitivamente la misura grillina: i costi che schiacciano il bilancio pubblico non sono compensati da benefici. Decenni per chiudere il buco.