Il silenzio del Pd sul caso del compagno magistrato Marcello Degni resiste anche alle provocazioni di Giorgia Meloni. Il premier affronta con parole dure la vicenda del magistrato della Corte dei conti che voleva «far sbavare di rabbia» il governo sulla Manovra finanziaria e osserva: «La cosa più grave è la sfrontatezza con cui questo giudice della Corte dei conti ritiene sia normale farlo e l’altra cosa che mi ha colpita è che nessuno a sinistra abbia detto due parole sul tema». Da sinistra, solo un imbarazzato silenzio e la sensazione che se la toga fosse stata nera, anziché rossa, avremmo le prefiche dell’indipendenza della magistratura in piazza.
Il professor Degni è abituato a parlare da cattedre e pulpiti di convegni giuridici, con acume e in punta di diritto. Poi, quando vede la «X» nera di Elon Musk, si traveste (o si denuda?) da hooligan della sinistra. In un post del 30 dicembre, mentre le Camere approvavano la Finanziaria 2024 e si evitava l’esercizio provvisorio (che avrebbe scatenato lo spread), Degni non solo non festeggia, ma si dispera. E scrive: «Occasione persa. C’erano le condizioni per l’ostruzionismo e l’esercizio provvisorio. Potevamo farli sbavare di rabbia sulla cosiddetta manovra blindata e gli abbiamo invece fatto recitare Marinetti». Poi, con una rara operazione trasparenza, ha anche veduto bene di taggare il segretario del Partito democratico, Elly Schlein. Sincero amore o speranza di fare ulteriore carriera?
E così ieri Meloni, al suo ritorno sulla scena e nel corso della conferenza stampa di fine anno, ha risposto per le rime. «La cosa più grave è la sfrontatezza con cui questo giudice della Corte dei conti ritiene sia normale farlo e l’altra cosa che mi ha colpita è che nessuno a sinistra abbia detto due parole sul tema», ha attaccato il presidente del Consiglio, dopo una domanda sul caso. Per poi aggiungere: «Nessuno ha ritenuto di farlo temo perché, se chi ha nominato questo giudice dicesse che è sbagliato, quando si svolge e si ricopre un ruolo super partes non svolgerlo da militante politico sarebbe un segnale diverso da quello che ha dato in questi anni, che invece è il contrario». Ovvero, «immaginare che le persone di nomina politica anche se nominate in incarichi super partes dovessero comportarsi da militanti politici. Questo mi fa paura, che si consideri normale. Questa è la mentalità che ha devastato la Repubblica ed è quella che io combatto», ha proseguito Meloni.
Per poi concludere con una domanda rimasta per ora senza risposta: «Ho da chiedere alla sinistra se sia normale che persone nominate dalla sinistra in questi incarichi si comportino da militanti politici. Mi attendo una risposta da parte del segretario Pd Elly Schlein e magari anche da chi ha nominato questa persona» ha concluso. Per la cronaca, la nomina di Degni faceva parte di un pacchetto di designazioni alla Corte dei conti volute dall’ex premier del Pd, Paolo Gentiloni.
A parti invertite, una tirata del genere del premier su un magistrato che avesse attaccato un governo da destra, oltre tutto dispiacendosi di una mancata sciagura finanziaria come l’esercizio provvisorio, avrebbe provocato una cascata di dichiarazioni politiche e un profluvio di polemiche. Ieri, invece, hanno prevalso silenzio e massima prudenza. Forse perché il caso del «partigiano» Degni potrebbe non essere isolato neppure nelle alte magistrature. Ha fatto eccezione il senatore della Lega Claudio Borghi. L’economista fiorentino ha scritto su X nel pomeriggio: «Da dove deriva l’infiltrazione sinistra nella Corte dei conti? La più sfacciata è stata, guarda caso, quella del solito Gentiloni, che insieme all’ineffabile Degni ne ha piazzati un esercito fra le proteste della Corte medesima ma con il consenso di Sergio Mattarella». E Borghi ha ripubblicato un vecchio post del 2017, in cui aveva criticato l’infornata di nomine governative alla Corte dei conti della quale faceva parte Marcello Degni.
Nel silenzio del Pd sul caso Degni, spicca il coraggio solitario di «Nomfup», al secolo Filippo Sensi, blogger e giornalista che è stato portavoce di Matteo Renzi e sa perfettamente che di fronte alle notizie è inutile fare gli struzzi. Come abbiamo riportato ieri, Sensi ha ammesso sui social: «Non penso sia cedere alla campagna della destra per coprire Pozzolo e Delmastro, ritenere inopportuna e inaccettabile l’uscita social di Degni. Se ne occuperà la Corte dei conti, nessuna reticenza a dire che è sbagliato, libertà e senso delle istituzioni devono convivere». Insomma, e vale per Schlein innanzitutto, non sarebbe difficile dire due parole su Degni, anche se ha sparato senza pistole.
Il magistrato con la passione per le intemerate social, del resto, è un personaggio che ormai quando si mette alla tastiera ormai si fa del male da solo. Tre giorni fa ha scimmiottato Francesco Saverio Borrelli ai tempi di Mani Pulite, scrivendo: «Sulla questione del mio post è montata tanta intolleranza, che travalica lo specifico. A questo punto rispondo con le parole di un grande magistrato: “Resistere, resistere, resistere”». E due giorni fa ha raccontato all’Ansa che quel post disgraziato «oltre a tutto era una critica all’opposizione». Sarà per questo che c’è tanto silenzio.