Grecia a parte, siamo il Paese in cui, da Monti in poi, gli immobili si sono deprezzati di più. Colpa di imposte alte e salari bassi. Pd e Commissione hanno una sola ricetta: riforma del catasto e più green, cioè altri balzelli.
«Zavorra il mattone» è il gioco che piace e fa comodo a tanti partiti e centri di interesse che con la scusa di spostare le tasse dal lavoro all’immobiliare non perdono occasione per invocare nuovi obblighi e balzelli sulle nostre case. Un gioco che piace per esempio al Pd e che vede da anni l’Unione Europea (basti ricordare che l’Imu è stata introdotta nel 2011-2012 dal governo più filo-Bruxelles che il Paese abbia avuto, quello di Mario Monti) in prima fila. Morale della favola: i recenti dati Eurostat certificano che negli ultimi 12 anni (dal 2010 ai primi quattro mesi del 2023) mentre nel resto d’Europa i prezzi delle abitazioni crescevano, solo in Grecia, Italia e Cipro hanno subito una flessione. L’andamento del grafico in pagina spiega più di mille numeri, ma vale la pena fare qualche confronto. Ovvio che gli aumenti siano legati al rialzo del Pil - così per esempio si possono spiegare le performance straordinarie di Estonia (+200%), Ungheria (+180%) e Lituania (+146%) - ma il paragone è altrettanto imbarazzante anche se si sposta sulle economie più simili alla nostra. In Germania il rialzo è intorno all’80%, in Francia vicina al 30%, la Spagna viaggia sul più 10% e in media nei Paesi dell’area euro i valori delle case sono aumentati quasi del 50%. Insomma, qualcosa non torna rispetto al meno 9% dell’Italia, dove, bisogna sempre ricordarlo, il 75% delle famiglie vive in immobili di proprietà, contro il 50% della Germania e il 65% della Francia.
Buona parte della spiegazione è data dal peso del fisco. Tutti i recenti dati – dall’Ocse allo stesso Eurostat – evidenziano che i nostri immobili sono tra i più tartassati d’Europa con un’incidenza delle imposte che oscilla intorno al 2,5% del Pil. In Francia il livello è superiore, ma è altrettanto vero che in Germania siamo circa a un terzo e soprattutto che il sistema tributario italiano a differenza di altri non considera alcuni balzelli, per esempio la tassa sui rifiuti che vale circa 10 miliardi. In soldoni: negli ultimi 12 anni, secondo le stime dell’economista Andrea Giuricin, il valore del parco immobiliare italiano si è ridotto di circa 850 miliardi.
«Ogni anno», spiega alla Verità il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa, «le tasse drenano più di 50 miliardi dal sistema immobiliare. La questione fiscale è fondamentale ma è tutto il sistema che rema contro. Prendiamo i contratti sulle locazioni commerciali non abitative: la legislazione impone a entrambe le parti una serie di vincoli - soprattutto la durata che in alcuni casi arriva fino a 12 anni - che sono un freno all’affitto. Così come ha lasciato un vulnus indelebile nel rapporto di fiducia tra proprietari e Stato la questione del blocco degli sfratti durante la pandemia. Se aggiungiamo poi le politiche di alcuni sindaci di sinistra e anche del ministro del Turismo Daniela Santanchè contro gli affitti brevi il dado è tratto».
La dice lunga sullo sfilacciamento del rapporto tra proprietari di casa e istituzioni il dato sui ruderi. Rispetto al 2011, infatti, gli immobili ridotti alla condizione di ruderi sono più che raddoppiati, passando da 278.121 a 594.094 (+113,61%). Motivi ce ne sono tanti. Tra questi il fatto che la patrimoniale (l’Imu) voluta da Monti stanga pure i fabbricati definiti «inagibili o inabitabili», ma non ancora considerati «ruderi». Così i proprietari hanno provveduto a rimuovere il tetto per far rientrare il proprio bene nella categoria degli esenti.
Insomma, di fronte a queste evidenze, non si riesce a capire per quale motivo il maggior partito dell’opposizione senta il dovere di mettere al centro della sua controriforma fiscale, la riforma del catasto. Certo c’è sempre quel riferimento alla «parità di gettito complessivo, per redistribuire i costi in modo più equo», che se sei all’opposizione non costa nulla, ma poi è nei fatti che una rimodulazione a costo zero è pressoché impossibile e che alla fine si tornerà al solito gioco: nuove tasse per i proprietari di casa. E che sia questo il piano dem lo si capisce dai particolari. Dalle parole dell’onorevole ed ex sindaco di Bologna, Virginio Merola, che ha parlato, a proposito dell’auspicio di un nuovo catasto di «un altro tassello della nostra lotta alla rendita», e dalla volontà espressa dai dem di «rivedere» la cedolare secca che si paga sugli affitti in senso restrittivo, non prendendo neanche in considerazione l’ipotesi di allargarla agli immobili di tipo commerciale.
Del resto, che la situazione si stia ingarbugliando l’hanno detto ieri i ministri dell’Economia impegnati all’Ecofin - «l’inasprimento delle condizioni di finanziamento e la riduzione dei redditi delle famiglie hanno frenato la domanda e avviato una correzione dei prezzi delle abitazioni»-, ma è la stessa Europa che non vuol sentir ragioni e tira dritto, per esempio, sulla strada della direttiva green sulla casa che impone agli edifici residenziali di rientrare nella classe energetica «E» entro il 2030 e nella «D» entro il 2033. Il problema riguarda tutti, ma l’Italia è tra i Paesi messi peggio. Il 60% del patrimonio immobiliare ha, infatti, più di 45 anni di vita e il 58% è stimato nelle due classi inferiori in termini di efficienza energetica. Uno dei motivi per i quali già da tempo, in sede di trattativa per l’acquisto di una casa, il potenziale nuovo proprietario fa presente che dopo la compravendita sarà costretto a sobbarcarsi lavori di ristrutturazione. Per cui chiede uno sconto (la media è passata dall’8-12% al 18%) e le operazioni si allungano o saltano addirittura. Secondo Rse, la società pubblica di ricerca controllata dal gestore dei servizi energetici l’impatto dei lavori green potrebbe pesare in media per 22 mila euro a famiglia con tagli risibili di CO2.
Una postilla. I dati sulla decrescita dei prezzi delle case in Italia possono essere visti in contraddizione con le difficoltà degli italiani a comprarsela una casa. Ma non è così, perché l’impasse ha altre motivazioni. Dipende dalle politiche monetarie della Bce che hanno fatto impennare in modo repentino i tassi dei mutui, per cui oggi sottoscrivere un prestito e molto più complicato e meno conveniente rispetto anche solo a un anno fa. Dal fatto che Milano e Roma non solo l’Italia. Nel senso che i prezzi in alcune grandi città continuano a crescere, ma nelle province soprattutto al Sud i valori sono in picchiata. Senza dimenticare la peculiarità del capoluogo lombardo che sta diventando sempre più una città solo per «ricchi» dove i prezzi (dati Nomisma) crescono nonostante il calo delle compravendite (-20%). E la terza variabile è quella degli stipendi. Per i quali la soluzione non è il salario minimo, perché se sono fermi al palo o quasi i motivi sono altri. Ma questa è un’altra storia.