Marta Cartabia ha un curriculum che mette soggezione. Cocca dell’ex presidente della Corte costituzionale, Valerio Onida, dopo fior di studi in Francia e America è approdata alla Statale di Milano e a soli trent’anni ha svolto funzioni di assistente presso la Corte costituzionale. Boom. Da lì in poi la strada è stata tracciata, con la cattedra in varie università italiane e lezioni tenute negli atenei di mezza Europa: Francia, Spagna, Germania eccetera. Ari boom.
L’approdo poi è stato all’altezza dell’esordio: il 2 settembre del 2011, a quarantotto anni non ancora compiuti, Giorgio Napolitano la nominò giudice costituzionale, facendo di lei uno dei più giovani magistrati della legge chiamati a ricoprire il prestigioso incarico (così recita l’enciclopedia libera di internet). Triplo boom. Tre anni dopo eccola vicepresidente e nel 2019, a 56 anni, a furor di popolo (14 voti a favore e una sola scheda bianca, presumibilmente la sua) eccola divenire la prima presidente donna della Consulta. Super boom. Finito il mandato il giorno del suo cinquantasettesimo compleanno, una luminare del diritto come lei poteva essere collocata in pensione dalla Repubblica che aveva così degnamente servito? Ovviamente no. E così è stata ripescata dopo pochi mesi come ministro della giustizia nel governo dei migliori, ovvero quello presieduto da Mario Draghi. A dire il vero prima che si sapesse che il premier lo avrebbe fatto l’ex governatore della Bce, il nome della professoressa milanese era circolato quale possibile capo del governo, ma alla fine, nonostante l’importante curriculum, aveva dovuto cedere il passo al banchiere, di ritorno in patria dopo il successo del «Whatever it takes», parolina magica che aveva fermato la speculazione contro l’euro e, soprattutto, contro l’Italia.
Da pochi mesi, cioè da quando l’arrivo di Giorgia Meloni l’ha scalzata dalle terne per i più alti incarichi istituzionali, Marta Cartabia è disoccupata. Tuttavia, i soliti beninformati dicono di lei che presto Sergio Mattarella, suo vero nume tutelare, potrebbe imporla alla guida del Consiglio superiore della magistratura. Essendo stata giudice costituzionale prima, presidente della Consulta poi e, infine, ministro della Giustizia ne avrebbe tutti i titoli e difficilmente si potrebbe trovare qualcuno con un curriculum migliore. Se non fosse per un piccolo neo, che da insignificante quale pareva fino all’altro ieri, quando Cartabia sedeva in via Arenula, oggi rischia di diventare una macchia sulla carriera, una macchia in grado di oscurare tutti i meriti. Già, perché la professoressa, quando ha assecondato le richieste dell’Europa per velocizzare i processi, ha firmato una riforma della giustizia che snellisce le pratiche giudiziarie, stabilendo che senza querela di parte alcuni reati non debbano essere perseguiti. E allo stesso tempo, sempre per fare in modo di abbreviare i tempi di attesa, con la sua legge ha tolto di mezzo udienze in cui si devono giudicare imputati che non sono stati rintracciati. Sì, Cartabia, sollecitata da Bruxelles (ma anche da Mattarella e Draghi) si è sbarazzata di una serie di norme allo scopo di dimezzare i fascicoli che giacciono in Tribunale. Peccato che così facendo la Cartabia (non lei fisicamente, ma la legge che porta il suo nome) stia mandando liberi fior di delinquenti. Nei giorni scorsi abbiamo segnalato ladri presi con le mani nel sacco che sono stati scarcerati con le scuse perché la vittima non essendo in Italia non ha potuto firmare la denuncia presso i carabinieri. Grazie all’irreperibilità, anche un uomo accusato di sfruttamento della prostituzione verrà prosciolto con sentenza inappellabile e un caso analogo riguarda pure uno stupratore, che se anche domani venisse rintracciato dalle forze dell’ordine, saluterebbe polizia e carabinieri con il gesto dell’ombrello. Da Palermo arriva pure il proscioglimento di alcuni boss mafiosi: finiti sotto processo per lesioni aggravate dal metodo mafioso e sequestro di persona, non potranno essere giudicati perché le vittime, interpellate dal giudice come prevede la nuova legge Cartabia, si sono rifiutate di denunciare i picciotti. Insomma, le norme volute dall’ex ministro della Giustizia e aspirante vicepresidente del Csm, si stanno rivelando un boomerang, perché invece di semplificare i processi stanno semplificando i reati, depenalizzandone di fatto molti e non di lieve allarme sociale. Furti, stupri, estorsioni così diventano difficili da perseguire e più passano i giorni, più si scoprono nuove falle nelle maglie della giustizia.
Come dicevamo all’inizio, il curriculum di Marta Cartabia fa spavento. Tuttavia, a far più paura è la sua riforma, che ormai si sta trasformando in una specie di liberi tutti che assolve i peggiori delinquenti. Al punto che viene spontanea una domanda: chi ha varato una super amnistia senza neppure rendersene conto, può fare il numero due del parlamentino dei giudici? A voi la risposta.