I legali del guidatore dello scooter fuggito al posto di blocco, unico responsabile della morte di Ramy, chiedono la galera preventiva per tutti i militari protagonisti dell’inseguimento. E il dramma è che parte della sinistra la pensa come loro: processo a chi ci difende.
La richiesta porta la data del 4 dicembre ed è indirizzata a Marco Cirigliano, pm della Procura di Milano titolare dell’indagine sulla morte di Ramy Elgaml, il giovane egiziano vittima di un incidente mentre insieme a un coetaneo fuggiva dai carabinieri. Erano dunque trascorsi dieci giorni dai fatti quando i legali di Fares Bouzidi, il tunisino che guidava la moto su cui viaggiava Elgaml, chiesero al pubblico ministero di arrestare «tutti i carabinieri coinvolti» nel caso. Per gli avvocati si trattava di «scongiurare il pericolo di profilassi probatoria», ovvero che i militari inquinassero le prove. E al tempo stesso, con una memoria, i due difensori richiedevano il sequestro dei telefoni cellulari di tutti gli uomini delle forze dell’ordine presenti sul luogo dell’incidente.
Certo, non capita di frequente di assistere a un ribaltamento della realtà. Soprattutto non succede abitualmente che i legali di un indagato per omicidio stradale rovescino l’accusa contro chi ha fermato il loro assistito. Tuttavia, questo può accadere all’interno di una strategia difensiva che punti ad alleggerire le responsabilità del proprio cliente, aggravando quelle di altri. Come spiega nella pagina a fianco Pietro Dubolino, ex presidente della Cassazione, la responsabilità penale di quanto è successo, ovvero la morte di Ramy, ricade interamente sulle spalle del conducente dello scooter, che invece di fermarsi all’alt dei carabinieri ha ingaggiato una folle corsa durata decine di minuti nelle vie del centro di Milano.
Ma se il giovane egiziano è deceduto perché Fares Bouzidi ha inscenato una gimkana ad alta velocità per le strade del capoluogo lombardo, perché i suoi avvocati chiedono di arrestare i carabinieri? Tutto si basa sulla deposizione di un testimone, Omar Elsayed, che quella notte si trovava all’angolo della strada in cui è avvenuto l’incidente. Secondo il suo racconto, reso davanti ai pm il giorno prima della richiesta di arresto dei carabinieri presentata dai legali di Fares Bouzidi, la gazzella dell’Arma avrebbe urtato la moto mentre questa cercava di svoltare e il contatto avrebbe fatto finire lo scooter fuori strada, mandando Ramy a sbattere contro il muretto. Elsayed dice di aver ripreso tutto con il suo cellulare, ma alcuni carabinieri, intervenuti subito dopo l’incidente, gli avrebbero imposto di cancellare il video. Il testimone sostiene che i militari hanno voluto accertarsi che lui avesse rimosso le immagini anche dal cestino del suo telefono, ma precisa che non avrebbero visto ciò che lui aveva ripreso. È possibile che, nei momenti di concitazione, la pattuglia pensasse che filmare la scena di un incidente, con un cadavere ancora caldo sul marciapiede, fosse una cinica mancanza di rispetto e non abbiano inteso che nel video potessero esserci anche immagini utili per capire che cosa fosse successo. Perché due uomini dell’Arma abbiano chiesto di cancellare comunque lo chiarirà l’indagine. Però, quel che è abbastanza evidente, con la richiesta di arresto di tutti i carabinieri coinvolti nel caso, di sequestro dei telefoni e, addirittura, di «togliere le indagini al corpo di polizia giudiziaria a cui appartengono i militari responsabili delle condotte appena descritte», è che il processo non lo si vuole fare a chi quella sera, fuggendo, ha fatto rischiare la vita ad altre persone, togliendola con il suo comportamento a Ramy, ma alle forze dell’ordine che - come avviene in tutti i Paesi del mondo - cercavano di impedire ai fuggiaschi di squagliarsela.
A differenza di quanto spiega Dubolino, che insiste sulla responsabilità di colui che sottraendosi all’alt dei carabinieri si è reso responsabile di resistenza a pubblico ufficiale aggravata, l’indagine punta a mettere sul banco degli imputati quanti quella notte del 24 novembre hanno fatto il proprio dovere di inseguire chi cercava di fuggire ai controlli.
Come ho detto, capisco le esigenze della difesa, che le prova tutte per alleggerire la posizione del proprio cliente, ma in questo caso siamo al ribaltamento della realtà, a uno stravolgimento dei fatti. Con il risultato che d’ora in poi (ma anche dopo i fatti di Verona e Rimini) nessun carabiniere e nessun poliziotto si azzarderà mai più a inseguire un ladro, perché se questi mentre fugge si fa male, gli uomini delle forze dell’ordine rischiano di essere accusati. Dopo di che, quei compagni che sostengono come la sicurezza dei cittadini sia patrimonio della sinistra dovrebbero mettersi d’accordo e fare pace con il cervello. Perché delle due l’una: o si danno a poliziotti e carabinieri gli strumenti per arrestare il crimine o ci si arrende ai criminali. Una terza via non esiste.
Ps. Ho letto il fascicolo con la ricostruzione dinamica dell’incidente fatta dai vigili urbani di Milano. Sono 40 pagine, ricche di immagini e di ricostruzioni puntuali. A pagina 17, commentando un frame estratto dalla registrazione delle telecamere si legge: «Il veicolo A (cioè lo scooter), in posizione più avanzata e più spostata verso sinistra rispetto alla parte anteriore del veicolo B (l’auto dei carabinieri), perde l’assetto di marcia, inclinandosi leggermente a sinistra. Si notano i dispositivi luminosi relativi alla frenata d’emergenza del veicolo B (la gazzella) attivi». Più sotto, nella stessa pagina, gli esperti dei vigili urbani precisano che la moto continua a essere inclinata e l’auto dell’Arma, in frenata, marcia in posizione più arretrata e più spostata verso destra rispetto allo scooter. In quegli istanti, mentre cercava di svoltare a sinistra procedendo ad alta velocità, probabilmente Fares Bouzidi ha perso il controllo del mezzo e la corsa è finita come sappiamo. Il resto è cronaca, polemica politica e schermaglie legali affidate ai difensori.