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A inguaiare l’ex ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta, indagato per finanziamento illecito e falso dalla Procura di Roma, sono stati due tappi. Non intesi come persone di bassa statura, ma due piccoli filtri da infilare nel naso come dispositivo di protezione anti Covid. Essì, perché anche se nessun giornale se ne era mai accorto, per due anni i magistrati hanno indagato sull’attività imprenditoriale (a un certo punto, a giudizio del Tribunale dei ministri, «occulta») dell’ex membro del governo, interessato a piazzare i tappi del «socio di fatto», brevettati nella prima versione nel 2013 e battezzati «Sanispira», nelle scuole italiane, con un fatturato previsto di 650 milioni di euro «a carico dello Stato» e 7 milioni di filtri da distribuire ogni giorno. È un curioso contrappasso per Brunetta quello di essere sotto inchiesta per un dispositivo che andava infilato su per il naso, dal momento che era stato lui a compiacersi per l’introduzione dei tamponi obbligatori per chi non voleva inocularsi il siero: «Non ti fai il vaccino? Allora ti fai il tampone. I tamponi sono un costo psichico…», sogghignava nel 2021. Davanti allo sguardo interrogativo della platea di fronte a quel «costo psichico» aveva spiegato un po’ sadico: «Fatevi infilare sino al cervello i cotton fioc lunghi…». Quindi aveva gongolato anche per il «costo monetario» e il «costo organizzativo» che sarebbero toccati ai ribelli. Ma contemporaneamente lui, secondo i magistrati, cercava di fare robusti affari con la pandemia.
Purtroppo per l’attuale presidente del Cnel il business sperato, a quanto ci risulta, si sarebbe limitato alla vetrina offerta dai treni Frecciarossa dove i filtri erano distribuiti all’interno dei kit consegnati ai passeggeri durante la pandemia. Oggettini misteriosi che in pochissimi hanno indossato, nonostante l’approvvigionamento di almeno 1 milione di pezzi.
L’obiettivo, come si apprende dalle intercettazioni contenute nelle informative dei carabinieri del nucleo investigativo di Roma, era quello di allargare la platea dei tappini sino ai bambini di 6 anni, nonostante l’utilizzo di tali dispositivi fosse in quel momento vietato ai minori di 12 anni.
Le captazioni registrano in presa diretta l’impegno con cui Brunetta e il suo vice capo di gabinetto, il colonnello (oggi in pensione) dell’Arma Paolo Narciso (indagato pure lui, insieme con altre tre persone) cercano di vendere il prodotto.
E lo fanno dagli uffici del ministero. Una postazione privilegiata da cui contattano i vertici dell’Inail, del Comitato tecnico scientifico, dell’Istituto superiore di sanità.
L’ex ministro della Sanità Roberto Speranza viene definito dal gruppo «molto amico» di Brunetta. Ma i carabinieri inseriscono tra i «principali soggetti» della vicenda personaggi come il generale dell’esercito Antonio Battistoni, responsabile delle relazioni istituzionali della struttura commissariale anti Covid, Achille Iachino, capo della direzione generale dei dispositivi medici del ministero della Salute, Giuseppe Lucibello, dg dell’Inail, Mario Fiorentino, dirigente del Mise, l’ex direttore esecutivo dell’Ema Guido Rasi, Giuseppe Petrella, ex parlamentare dei Ds e medico, l’ex politico di centrodestra Giuseppe Nisticò, commissario della fondazione Dulbecco, e il figlio medico Robert, oltre a un diplomatico dell’Ambasciata della Repubblica popolare cinese
La squadretta avrebbe messo in campo anche una pierre, Carmen Zizza, per avvicinare i leghisti Matteo Salvini e Luca Zaia, senza però ottenere i risultati sperati.
La storia è piuttosto semplice. Nel 2013 Brunetta diventa socio al 50% della Rem research and consulting acquistando le quote per 5.000 euro. La restante metà appartiene alla moglie di Narciso, Emilia Cantera. Nel 2021 Brunetta decide di cedere la sua parte. Ufficialmente sempre per 5.000 euro, ma a ottobre, in un secondo atto, il corrispettivo della vendita diventa di 60.000 euro e a versarlo è la Hsd Europe riconducibile al colonnello, ditta che produce i tappini.
Per gli inquirenti la cifra cambia perché nel frattempo l’ex ministro ha scoperto di dover pagare 84.000 euro («Mortacci, un sacco di soldi» commenta Narciso) di tasse arretrate e «in quel momento» sarebbe stato «privo della liquidità necessaria per fare fronte al debito tributario» puntualizzano i magistrati.
Per questo Narciso decide di saldare le rate al posto del suo principale. Di fronte a questo quadro i pm capitolini contestano inizialmente il reato di corruzione e il 14 marzo 2022 trasmettono al Tribunale dei ministri il procedimento.
Infatti, è l’ipotesi accusatoria, il vice capo di gabinetto avrebbe versato quel denaro per asservire a sé Brunetta e per essere assunto al ministero. In realtà, obiettano i nuovi giudici, nel decreto di archiviazione datato 15 dicembre 2022, Narciso prende possesso dell’ufficio ben prima che si profili all’orizzonte il problema delle tasse e la compravendita della partecipazione nella Rem.
Per i giudici l’ex ministro avrebbe ceduto solo «fittiziamente» le sue quote, mentre Brunetta avrebbe confermato l’autenticità dell’operazione con questa motivazione: «Per questioni di tempo e anche di potenziale conflitto con l’attività pubblica, oltre che al fine di disporre di liquidità per poter estinguere debiti tributari di cui nel frattempo aveva ottenuto la rateizzazione».
Pertanto i 60.000 euro incriminati non sarebbero una mazzetta, ma un acconto dei futuri «utili societari» e conseguenti «dividendi» ottenuti da Narciso con le sue ditte (controllate anche attraverso una fiduciaria e prestanome).
«Un anticipo delle prossime cose che arriveranno» spiega il carabiniere al telefono. Anche se in un’altra intercettazione non sembra così sicuro che quei fondi entreranno davvero nelle casse.
Le toghe danno per pacifico anche l’impegno dedicato da Brunetta e Narciso alla diffusione dei filtri. Una presa d’atto che potrebbe fare arrabbiare molti dei presunti «fannulloni» della pubblica amministrazione messi all’indice dall’ex ministro. «Narciso parallelamente alla sua attività istituzionale di vicecapo di gabinetto si è dedicato alla propria impresa Hsd assumendo una serie di iniziative finalizzate in via principale alla commercializzazione su larga scala di un dispositivo medico endonasale, prodotto da una società controllata, denominato Sanispira» si legge nel decreto di archiviazione.
Il colonnello, in servizio sino al 2022, avrebbe avuto un concetto elastico della sua mansione: «Narciso, anche grazie al proprio ruolo pubblico e talvolta spendendo il nome del ministro allo scopo di avvalorare le proprie richieste, ha tessuto una fitta rete di relazioni, in particolare con rappresentanti istituzionali in grado di determinare o agevolare l’accreditamento del dispositivo medico Sanispira come farmaco anti Covid in vista della sua commercializzazione su vasta scala, segnatamente di far ottenere ai filtri la certificazione quali Dpi (dispositivo di protezione individuale) e l’approvazione da parte del Cts in vista della sua successiva adozione negli uffici pubblici, nelle scuole».
Per i giudici le intercettazioni avrebbero messo «in chiara luce l’intensa attività di lobbying svolta da Narciso». Ma anche la ricostruzione del ruolo del «ministro Brunetta» non è meno sorprendente: «Seppur da posizione defilata, ha costantemente supportato Narciso nell’esercizio dell’attività di impresa, ora tenendosi informato sugli sviluppi dell’attività di lobbying svolta dal collaboratore, ora esortando quest’ultimo ad accelerare i tempi di conseguimento degli obiettivi, ora partecipando in prima persona ad alcuni incontri con rappresentanti istituzionali funzionali all’accreditamento dei filtri».
Le intercettazioni dimostrerebbero la «natura simulata della cessione» delle quote e il fatto che Brunetta, «a dispetto dell’apparenza e di quanto dichiarato, abbia mantenuto la partecipazione sociale e continuato, quindi, a coltivare gli interessi imprenditoriali curati in prima persona da Narciso e relativi al prodotto Sanispira e ai brevetti della Hsd». Addirittura avrebbe «curato la promozione del prodotto nel corso della cena» a casa sua, a cui era stato invitato un diplomatico cinese.
«Il ministro e il suo collaboratore, nel periodo monitorato» si sarebbero «dedicati, parallelamente all’attività istituzionale e in piena sintonia, all’impresa di comune interesse, e in particolare che l’onorevole Brunetta non ha mai mancato, in quanto diretto interessato al successo dell’operazione in qualità di socio della Rem (prima ufficialmente, poi occultamente), di fare la propria parte, supportando il collaboratore nelle molteplici iniziative da questi assunte, anche presso interlocutori istituzionali, per l’accreditamento e la commercializzazione dei filtri».
Per i giudici, dalle captazioni non emergerebbero «apprezzabili differenze di “impegno” tra periodo antecedente e successivo al patto corruttivo ipotizzato, avendo il ministro sempre continuato, nella stessa misura, ad interessarsi dell’attività di impresa».
In verità Narciso dichiara al telefono di voler pagare le tasse per far sentire il ministro «un po’ più obbligato» nei suoi confronti. Ma, secondo le toghe, dalle intercettazioni «non si coglie con sufficiente chiarezza che cosa in ipotesi il ministro avrebbe pattuito di fare, ma soprattutto non si apprezza l’esistenza di univoci elementi di correlazione tra utilità e attività istituzionale, elementi idonei a qualificare la promessa/dazione quale utilità corrisposta da Narciso per assicurarsi l’asservimento della funzione ministeriale agli interessi societari».
In sostanza Brunetta non avrebbe svenduto il proprio ruolo di ministro, ma dal suo ufficio si sarebbe limitato a gestire i propri affari di rappresentante di dispositivi anti Covid.