Giuseppe Bono (Imagoeconomica)
In un video l’ad uscente celebra il ruolo pro italianità e lancia l’allarme sul futuro. Caccia il manager del caso D’Alema e sceglie il sostituto. Infornata di ordini di servizio.
C’è un’incredibile spy-story dietro allo scontro finale tra Giuseppe Bono, amministratore delegato uscente di Fincantieri, e la sua più stretta collaboratrice, per 38 anni al suo fianco, la «zarina» Paola Bulgarini, sessantaduenne romana, ex potentissimo direttore centrale dell’azienda. Una storia fatta di investigatori privati e pedinamenti ambientata in un perimetro particolarmente sensibile, dentro una società che produce navi da guerra ed è considerata un asset strategico militare del Paese. Un mondo monitorato e protetto dalle forze dell’ordine e dalla nostra intelligence. All’interno di questa cornice, in una guerra tra donne, la suddetta zarina o qualcuno a lei vicino avrebbe commesso un passo falso.
L’occasione ufficiale di questo nuovo colpo di scena è la Barcolana, storica regata velica internazionale sponsorizzata da Fincantieri, entrata nel Guinness dei primati per il numero dei partecipanti e che si svolge da oltre mezzo secolo nel golfo di Trieste. Ma prima di proseguire nel nostro racconto conviene riassumere le puntate precedenti.
Tre giorni fa abbiamo raccontato come il 20 luglio 2020 la manager avesse accettato improvvisamente di lasciare Fincantieri, firmando due scritture private: nella prima ammetteva che tra il 2012 e il 2020 l’ad, «a propria insaputa», le avrebbe elargito prestiti per una cifra complessiva di 1.049.000 euro. Nel documento la dirigente riconosceva il proprio debito e l’amministratore, a fronte dell’incasso della somma citata, si diceva «disponibile a non procedere processualmente». Inoltre «a titolo di pura magnanimità» Bono si impegnava a rinunciare a parte della somma nel caso in cui la Bulgarini avesse sottoscritto un accordo di transazione. Sempre il 20 luglio, la manager aveva firmato con Fincantieri una seconda scrittura in cui era espressa la volontà delle parti di risolvere consensualmente il rapporto di lavoro mediante le dimissioni della Bulgarini.
Ma perché una dirigente di quel livello aveva deciso di lasciare un’azienda in cui era arrivata a ricoprire ruoli di vertice? E soprattutto perché aveva accettato che nella scrittura privata fosse precisato che aveva sottratto fondi all’ad, se poi con chi le chiede conferma nega questa ricostruzione?
La Bulgarini, conversando con alcune persone a lei vicine, ha spiegato: «Questa è una formula che ha individuato un avvocato penalista a tutela del dottor Bono. È lui che ha voluto questo». Ma con chi non comprendeva le motivazioni che l’avevano condotta a siglare un accordo capestro, la manager ha aggiunto: «Lui mi ha accusato di averlo messo sotto controllo. Così nascono le mie dimissioni. Anche questa è un’altra storia molto brutta… non mi aspettavo che mi accusasse e che girasse completamente la frittata. “È una questione penale” mi ha detto. Ma io non ho messo sotto controllo nessuno». Alla fine Bono, risparmiandole la denuncia, avrebbe ottenuto le dimissioni e la restituzione del prestito.
Qual è il motivo per la Bulgarini è stata accusata di spionaggio dal suo capo?
Qui la vicenda inizia a ingarbugliarsi. La donna ricorda l’arrivo in azienda della sua presunta rivale, l’ingegnere nucleare Laura Luigia Martini. Quando l’antagonista diventa assistente di Bono per il business, esplode la competizione e la pierre capitolina avrebbe deciso di «proteggere» il suo capo dalla nuova arrivata. Per questo si para davanti a Bono: «Ma che sta succedendo? Sta apparendo ridicolo!» gli dice, rinfacciandogli le troppe concessioni fatte alla Martini, a cui, per esempio, vengono autorizzate diverse assunzioni. La Bulgarini chiede a Bono di licenziare la «scienziata» di cui contesta il curriculum. Ma qui la storia si complica ulteriormente, perché qualcuno ingaggia un’agenzia di investigazioni private, la Skp Global intelligence di Milano, di Luca Antonio Tartaglia e Roberto Lombardi, entrambi ex poliziotti specializzati in intelligence e protezione aziendale. Nella fattura di pagamento da 17.000 euro più Iva la causale è la seguente: «Attività di security evento Barcolana», quella del 13 ottobre 2019. Ma in realtà il lavoro, che sarebbe durato meno di un mese non avrebbe avuto niente a che fare con la regata velica. Inoltre a pagare non è stata la Security, bensì la Direzione corporate comunicazione ed eventi, quella della Bulgarini. Un uomo che si presenta come dirigente Fincantieri, Marco V., impiegato nei Servizi generali aziendali, considerato un fedelissimo della Bulgarini (che ha assunto il figlio di Marco V. nel suo team alla Direzione centrale comunicazione), chiede alla Skp di pedinare proprio la Martini. «Ci disse che bisognava fare delle verifiche su una persona» ci raccontano all’agenzia. Ma quando su di lei non sembra emergere nulla ecco il salto di qualità: «Ci hanno chiesto in maniera poco velata di fare qualche accertamento su Bono. Volevano mettere le microspie sulla sua macchina o negli alberghi dove alloggiava. Abbiamo capito subito la gravità della cosa. Noi lavoriamo in modo trasparente: ci vuole un attimo per perdere credibilità, licenza e avere conseguenze di tipo penale». È la Bulgarini che vi ha chiesto di fare le intercettazioni? «In realtà noi avevamo come unico interlocutore Marco V.».
L’agenzia dopo aver sentito odore di bruciato, inizia ad «accampare scuse» e a mollare la presa. Quindi, utilizzando canali interni all’azienda, informa Fincantieri di aver ricevuto strani ordini e che ci sono delle «incongruenze». Alla fine la Martini resta al suo posto e Bono, venuto a conoscenza di tutta la storia durante un viaggio all’estero, dopo poche settimane fa dimettere la Bulgarini e le fa firmare la scrittura privata in cui ammetteva di avergli sottratto i soldi. Ma la vera causa scatenante è stata l’indagine.
Alla Skp spiegano: «Se le investigazioni fossero state legittime ce le avrebbe dovute affidare la Security, non la Direzione eventi che ha pagato la nostra fattura e ci ha ingaggiati. Come mai i vertici della società non sapevano niente del nostro lavoro? Grazie alla causale che ci hanno fatto mettere in fattura abbiamo capito che volevano mascherare la nostra attività. Noi non abbiamo fatto sicurezza, ma un’attività di indagine».
Secondo voi era Bono l’obiettivo finale?
«Sì. Ci siamo fatti l’idea che qualcuno volesse arrivare a lui e danneggiarlo».
Eppure alla Skp all’inizio non si erano insospettiti, anche se non avevano mai collaborato con l’azienda triestina, visto che il lavoro era iniziato in maniera normale: «Come detto il target era la Martini. All’inizio l’indagine era nata come una normale verifica di fedeltà aziendale, un lavoro che facciamo spesso. Volevano capire chi incontrasse, che facesse, se vedesse dei competitor. Poi ci è stato ventilato che mirasse a danneggiare Bono, anche se successivamente abbiamo capito che era lei la vittima. L’abbiamo seguita per quasi un mese. Faceva quello che fa una madre lavoratrice: andava in ufficio, a prendere i figli a scuola, quindi a casa con la famiglia. Non abbiamo visto niente fuori posto. Era irreprensibile, sia quando si trovava a Genova che quando girava per lavoro. Mai un evento, mai niente. Alla fine sapevamo tutto di questa persona. Ce l’avevano dipinta come una possibile fonte di problemi per Fincantieri, ma per noi era un soggetto impeccabile sia sotto l’aspetto lavorativo che personale. Una donna normalissima. Ci siamo chiesti come fosse entrata nel mirino e quello ha iniziato a farci aprire gli occhi».
Bono con i suoi più stretti collaboratori ha sfogato tutta la sua amarezza per il tradimento della sua vecchia compagna di viaggio: «Qui non si parla di retroscena. È tutto documentato per bene. Paola ha carpito la mia fiducia e ha approfittato del fatto che dopo tanti anni irreprensibili poteva quasi parlare e agire come se fossi io. Si era montata la testa e ha approfittato della mia fiducia». La mente va anche al Colombia-gate a causa del quale ha perso le ultime speranze di essere confermato ad, dopo che il suo fedelissimo Giuseppe Giordo, direttore generale Navi militari, era volato, a gennaio, a Bogotà a trattare con una banda di improvvisati mediatori d’armi capitanati da Massimo D’Alema. «La storia della Bulgarini è un po’ come quella di Giordo che si credeva già amministratore delegato al posto mio. Ma come spesso capita il diavolo fa le pentole, ma dimentica i coperchi. Ingenuo può darsi, ma non fesso. Sono sempre calabrese e mi sono fatto non nei palazzi ma sulla strada, sempre con il massimo rigore morale e una capacità non comune sempre al servizio del Paese».