Marco Reguzzoni (Ansa)
L’ex capogruppo Marco Reguzzoni conferma lo scoop: «Il Cav era informato sulle mosse del capo di Stato, che si muoveva con Sarkozy e la Merkel. Non potevamo metterlo sotto accusa. Fu un golpe. Ora una commissione».
Il 2023 si è portato via Silvio Berlusconi e anche Giorgio Napolitano, due dei protagonisti della storia politica di questo Paese. Tuttavia, la scomparsa del leader di Forza Italia e dell’ex capo dello Stato non può cancellare una delle pagine più fosche della Repubblica, ovvero le dimissioni forzate di un presidente del Consiglio ad opera di una delle più alte cariche istituzionali del Paese.
Alla fine, durante la cerimonia di addio a Giorgio Napolitano, il più sobrio si è rivelato il figlio Giulio il quale, a differenza dei molti che alla Camera hanno preso la parola, ha salutato con affetto e rispetto il padre, come era ovvio che fosse, senza però tacerne gli sbagli. «Ha combattuto buone battaglie e sostenuto cause sbagliate, cercando di correggere errori ed esplorare soluzioni nuove», è stato il commento lapidario. Da un famigliare stretto, di più certo non ci si poteva aspettare. Ma forse, se non qualche parola di critica, dagli altri qualche panegirico in meno sarebbe stato auspicabile. È risultato difficile ascoltare senza sussulti il commissario europeo, e futuro segretario del Pd, Paolo Gentiloni sostenere che l’ex presidente della Repubblica è stato «un precursore della scelta atlantista, che sempre difese». Si può definire «precursore della scelta atlantista» uno che nel 1956 elogiò i carrarmati sovietici che invasero l’Ungheria? E allora Alcide De Gasperi, Amintore Fanfani, Mario Scelba e Antonio Segni, che all’epoca ricoprivano incarichi di governo, cos’erano? Dei marines americani? Non dico che di Napolitano si debba parlar male, né che da morto lo si debba attaccare. Ma almeno un minimo di verità storica è richiesta anche nell’ora dell’addio. E invece in questi giorni, a parte rare eccezioni, è prevalsa sulle pagine dei giornali una sorta di rimozione collettiva, con una riscrittura della storia. Tralascio gli anni degli applausi alla repressione nel sangue della rivolta di Budapest, quando alla Camera sostenne che i sovietici erano intervenuti per «salvare la pace nel mondo». Però se questi sono fatti che appartengono al secolo scorso, c’è molto di più vicino a noi che non può essere taciuto. Sulle pagine del Corriere della Sera ci si sono messi in due a sbianchettare il ruolo avuto dall’ex capo dello Stato nella caduta del governo Berlusconi avvenuta nel novembre del 2011. Qualche giorno fa ho ricostruito con le parole di Alan Friedman, giornalista certo non sospetto di simpatie nei confronti del Cavaliere, che cosa accadde. L’ex corrispondente del Financial Times ha condotto un’inchiesta sui fatti di 12 anni fa, sentendo Mario Monti, Romano Prodi e Carlo De Benedetti, oltre ad alcuni protagonisti di quel ribaltone della democrazia in Italia. L’ex rettore della Bocconi ha confermato di aver discusso con Napolitano di un suo incarico da premier già nell’estate, cioè mesi prima che Berlusconi fosse costretto a rassegnare le proprie dimissioni. E sia Prodi che De Benedetti, in confidenza con Monti, hanno dichiarato di aver saputo, direttamente dallo stesso professore, che il capo dello Stato gli aveva offerto di sostituire Berlusconi. Il complotto, o golpe bianco come lo definì qualcuno, non è un’invenzione del Cavaliere o dei giornali, ma una grave scorrettezza istituzionale compiuta da colui che ieri è stato salutato con tutti gli onori.
Gianfranco Fini, protagonista di quello sgambetto, ieri sul Corriere ha definito falso il racconto di un intervento di Napolitano affinché lo stesso Fini facesse cadere il governo guidato dal fondatore di Forza Italia. L’ex presidente An, come è a tutti noto, giocò la sua battaglia contro Berlusconi nella convinzione di sostituirlo alla guida del centrodestra e, di conseguenza, dell’esecutivo. È possibile, secondo voi, che il presidente della Camera si sia mosso contro il premier senza ascoltare l’autorevole parere del capo dello Stato? L’idea che la terza carica della Repubblica abbia guidato una rivolta dentro il partito di maggioranza con il dichiarato intento di sfiduciare l’esecutivo ma senza informare il Colle, oltre che ridicola, è semplicemente irrealistica, per la delicatezza della situazione economica in cui in quel momento si trovava l’Italia. Evidentemente, Napolitano avallava, ma forse sarebbe meglio dire ispirava, le decisioni che oggi l’ex presidente di An nega. Ma fu Amedeo Laboccetta, già parlamentare di Alleanza nazionale molto vicino al leader della destra, a confermare nel 2015, raccontando di aver ascoltato in diretta una telefonata fra il capo dello Stato e l’allora presidente della Camera. A Fini che si diceva intenzionato ad andare avanti contro Berlusconi, il presidente della Repubblica replicò dicendo: «Fai bene, ma fallo sempre con la tua ben nota scaltrezza». Invenzioni di un onorevole poi entrato in conflitto con lo stesso ex presidente della Camera? E allora leggete che cosa ha scritto Marco Reguzzoni, capogruppo a Montecitorio della Lega Nord. «La prima volta che l’ho incontrato, al Quirinale, mi riempì di complimenti personali e di aneddoti storici, soprattutto sull’alternanza dei governi repubblicani. Il presidente voleva convincermi che - dopo lo strappo di Gianfranco Fini - il governo non aveva i numeri e che occorreva cambiare premier e maggioranza. Mi permisi qualche timida obiezione. Si irritò, andammo in Aula e il governo mantenne la maggioranza». Napolitano si arrabbiò e non poco, ma non mollò la presa. «Il secondo colloquio fu meno affabile, più deciso: non avrebbe acconsentito a sciogliere le Camere, lui era il presidente. Poi mi prese sottobraccio, come fa un vecchietto con un giovane che ha tutta la carriera davanti, ma con la stretta più simile all’artiglio di un’aquila. Congedandomi mi disse: “Stia con noi, è così giovane che ha tutta una carriera davanti, non si metta contro di noi”». Ecco, questo era Napolitano, un uomo di potere, che ha giocato un ruolo determinante in quella stagione. Forzò le regole e fece di tutto per sostituire un presidente del Consiglio eletto dagli italiani, ma che lui non amava. In un Paese normale, un arbitro che scende dal piedistallo per giocare la partita sarebbe stato destituito. Ma appunto, stiamo parlando di un Paese normale.
Ps. Sempre sul Corriere, oltre alla ricostruzione sbianchettata dei fatti di 12 anni fa, ieri si poteva leggere una risposta di Aldo Cazzullo alla domanda di un lettore. Secondo il rubrichista, che lo intervistò il 13 novembre, il giorno dopo le dimissioni Silvio Berlusconi appariva sollevato per aver dovuto lasciare Palazzo Chigi. Beh, non so perché il collega abbia avuto la sensazione che il Cavaliere avesse tirato un respiro di sollievo per essere stato mandato a casa, tuttavia so che l’11 novembre il suo stato d’animo era quello di una persona ferita. Berlusconi era convinto di essere vittima di un complotto, cosa che gli fu chiara quando poi i fatti di quella pagina nera della democrazia italiana vennero confermati. Altro che grande rispetto per le istituzioni, Napolitano non ha fatto gli interessi di tutti gli italiani, ma di quella parte da cui proveniva. Con buona pace di tutti i laudatores post mortem.