Rieccoli. Sono passati vent’anni, ma la musica non è cambiata. Infatti, lo spartito che suonano è sempre lo stesso: il fascismo, il razzismo, il sessismo, il luogocomunismo. In una parola, la destra: a cui la compagnia di giro di intellettuali e cantanti riserva da tempo i propri allarmati sermoni. Nel 2001, in piena campagna elettorale, fu Roberto Benigni a inaugurare la stagione degli attacchi al candidato del fronte moderato, ovvero Silvio Berlusconi. Enzo Biagi, che all’epoca aveva una rubrica su Rai 1 subito dopo il tg della sera, gli fece da spalla, lasciando al comico tutto lo spazio per dir male del Cavaliere. Non contenti, Michele Santoro, in onda in prima serata nel giorno che anticipava il silenzio elettorale, replicò, riproducendo gran parte dello sketch a uso e consumo di chi se lo fosse perso. L’intervento del premio Oscar faceva parte di una strategia dell’allora presidente della Rai, Roberto Zaccaria, il quale aveva provato a chiamare a raccolta giornalisti e guitti per una campagna contro il centrodestra. A rivelare il piano dei compagni di merende radical chic fu Beppe Grillo, che ancora non aveva fondato il Movimento 5 stelle e certo non pensava alla campagna elettorale, tanto da respingere la chiamata alle armi di colui che dopo aver guidato la Rai passò direttamente fra le fila del Pd, in Parlamento. Peraltro, c’era poco da svelare, perché sulla tv pubblica venne mandato in onda l’Ottavo nano di Sabina Guzzanti, ma anche Satyricon di Daniele Luttazzi, dove il solo a essere preso di mira era il leader di Forza Italia con domande semplici come «Cavaliere, ci dica dove ha preso i soldi». Così, mentre Benigni esordiva dicendo di non voler parlare di politica, ma soltanto di Berlusconi, Guzzanti sfotteva il Cavaliere.
Dunque, con la scusa dell’intrattenimento, già all’epoca la sinistra usava il servizio pubblico per colpire gli avversari. Di nuovo oggi c’è che sono cambiati i volti degli allarmati speciali. La Guzzanti ha smesso da un pezzo di far ridere e Luttazzi, il cui programma dopo la vittoria del Cavaliere fu sospeso, anche. In compenso, resta sempre Benigni, che un giorno si spertica in lodi della Costituzione, definendola la più bella del mondo, e un altro invita a cambiarla, salvo poi pentirsi appena passato il renzismo e tornare a cantarne i pregi dal palco di Sanremo in ossequio a Mattarella. Tuttavia, a sparare a zero a pochi giorni dall’apertura dei seggi per i governatori di Lazio e Lombardia, non c’è solo il Pinocchio toscano. In diretta dall’Ariston abbiamo già potuto assistere allo spettacolino di Federico Leonardo Lucia, in arte Fedez, il quale per far parlare di sé e finire in prima pagina sui giornali non ha trovato di meglio che attaccare il viceministro dei Trasporti Galeazzo Bignami, reo di aver indossato 20 anni fa, durante una festa goliardica, una divisa nazista. Credo che fino a prima della messa in onda, la maggior parte degli italiani neppure sapesse dell’esistenza di Bignami, figurarsi quella di una sua immagine in camicia bruna. Però il cantante aveva bisogno di usare l’onorevole di Fratelli d’Italia per contrapporlo a Rosa Chemical, il rapper di cui una deputata ha chiesto l’esclusione dalla competizione canora per il testo della sua canzone, giudicata troppo gender fluid. «Meglio lui vestito da Hitler?», si è chiesto Fedez strappando in diretta la foto del viceministro. Federico Lucia è un intrepido difensore della libertà anche nel gender e dunque non perdona gli errori di gioventù. Degli altri ovviamente, perché sui suoi è molto meno rigido, preferendo dimenticare le frasi contro i gay e i riferimenti a Tiziano Ferro e ai würstel.
Quando qualcuno gli chiese conto di quelle strofe contro gli omosessuali, il coraggioso cantante che si è assunto la responsabilità di stracciare la foto di Bignami, disse che tutti cambiano nella vita, dunque lui non poteva essere impiccato a quelle rime di dieci anni prima. Sì, tutti cambiano e non vanno impiccati a quello che hanno detto o fatto in una vita precedente, ma solo se non militano in un partito di centrodestra. Eh già, questa è la democrazia a trazione progressista, che consente anche a una campionessa che in Italia ha trovato l’America di poter dire che l’Italia è razzista e attaccare il Paese che l’ha ospitata e nel quale ha trovato il successo e perfino un palco da cui sputare in faccia agli italiani.
Siete stupiti? Io no, ho già assistito 20 anni fa alla passerella dei partigiani con la chitarra in mano, pronti a suonarsela e a cantarsela, ma senza mai rinunciare ad alcun privilegio del servizio pubblico. È per questo che sostengo che la Rai, con le sue camarille radical chic, è irriformabile. Non c’è da scandalizzarsi, c’è da venderla, perché soltanto così sarà possibile far scendere il sipario su uno spettacolo indecoroso pagato con i soldi pubblici.