L'ex premier preferisce non fare esprimere i militanti sulla riforma Cartabia. Prova a farla passare come una Bonafede bis. Poi è costretto ad ammettere la sconfitta, giustificandola così: non è ancora lui il capo.
Domenico Arcuri, Giuseppe Conte, Roberto Speranza (Ansa-iStock)
Pochi giorni fa il Corriere della Sera ha ricordato le terribili immagini del 2020, quando nella notte del 18 marzo una colonna di camion dell'esercito trasportò nei cimiteri di altre regioni i morti della provincia di Bergamo. Settanta mezzi militari carichi di bare attraversarono in un silenzio irreale la città. Dopo la vittoria della Nazionale a Wembley, le stesse vie percorse dal funereo corteo sono state teatro di altre immagini, ma questa volta di festa. Un simbolo di riscatto, hanno scritto sui social: «È bello, bellissimo». Tutto dimenticato, dunque? No, per niente.
Oggi resa dei conti tra i parlamentari, ma dopo l'intervento di Beppe Grillo e il voltafaccia dei ministri si è già capito che i sogni di gloria di Giuseppi stanno evaporando: pochi sono disposti a rischiare il posto per seguirlo nella sua guerra a Mario Draghi. I duri e puri del Movimento preparano il Vietnam in Parlamento. Dem in imbarazzo.
Il prof, tentato dal partito personale, rischia lo stesso errore di Mario Monti: farsi convincere da sondaggi e adulatori di godere d'un consenso inesistente. Capita a chi viene catapultato a Palazzo Chigi senza passare per le urne.
Il presidente del Consiglio rovina la festa ai tifosi dell'avvocato del popolo. Sconfessa il governo giallorosso: «Impensabile uno sforzo del genere un anno e due, tre mesi fa». E sull'immigrazione: «Tema fuori dall'agenda Ue. Ma l'ho chiesto ed è tornato».