2024-12-06
Minacce social all'eurodeputata di FdI Donazzan: «Devi fare la fine degli ebrei negli anni Quaranta»
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Elena Donazzan. Nel riquadro, Nicky Savage e Simba La Rue (Ansa)
L’esponente del partito di Giorgia Meloni aveva condannato i messaggi sessisti e violenti contenuti nelle canzoni dei trapper Niky Savage e Simba La Rue, chiedendo l’annullamento dei loro concerti a Bassano del Grappa e Castelfranco Veneto.
«Spero che bruci, devi fare la fine degli ebrei negli Anni ‘40». Oppure: «Ti auguro le peggiori cose». E ancora: «Speriamo che ti chiudano la bocca». Insulti, minacce, messaggi carichi di livore, odio e antisemitismo stanno travolgendo in queste ore i profili social della deputata europea di Fratelli d’Italia Elena Donazzan, vicepresidente della commissione Industria all’Eurocamera e membro sostituto della delegazione per le relazioni con Israele. All’origine dell’inquietante vicenda, la ferma condanna dell’esponente del partito di Giorgia Meloni ai messaggi sessisti e violenti contenuti nei testi musicali di Niky Savage e Simba La Rue. I due trapper, già risaliti alla ribalta delle cronache, avrebbero dovuto esibirsi nel mese di dicembre a Bassano del Grappa e Castelfranco Veneto ma proprio la polemica sollevata da Donazzan ha spinto i gestori dei locali ad annullare i concerti. «Non mi faccio di certo intimorire da insulti e minacce, ma trovo allarmante il rigurgito antisemita che caratterizza le esternazioni di questi leoni da tastiera», commenta Donazzan. «Cosa c’entrano le persecuzioni subite dal popolo ebraico con la mia richiesta di annullare le esibizioni di due trapper che nelle loro canzoni esprimono attacchi violenti contro le donne o le forze dell’ordine?», si interroga l’eurodeputata di Fratelli d’Italia. «Probabilmente con la mia azione ho colto nel segno, perché oggi più che mai ritengo necessaria l’intrapresa di una battaglia culturale e di educazione di comunità – sottolinea –. Ognuno nel proprio ruolo, a partire da famiglie e istituzioni, deve agire per proteggere le nuove generazioni dai cattivi maestri. Serve più fermezza contro i propalatori d’odio, quelli convinti che valgano solo le regole della strada, tra risse, accoltellamenti e sparatorie. Il rischio è che il fenomeno delle baby gang diventi sempre più consistente», aggiunge Donazzan. «Alcune delle minacce che sto ricevendo sui social provengono da account con nomi in arabo ma che parlano in italiano, probabilmente si tratta di giovani di seconda generazione. Ma dopo aver assistito alla rivolta di Corvetto a Milano non mi stupisco. Alle anime belle della sinistra, ai paladini dell’integrazione a tutti i costi dico: volete aprire gli occhi?».
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Beppe Sala (Getty Images)
Vertice in prefettura con il ministro dell’Interno. Sala ammette i problemi però insiste: «Gli immigrati fanno i lavori che rifiutiamo». Piantedosi: «Il 65% dei reati in città commesso da stranieri, ma il Corvetto non è una banlieue». Salis loda la rivolta: «Ultima arma».
«Non mi spingo a dire che Milano è una città sicura». E se non si spinge nemmeno Beppe Sala a dirlo, chi può farlo?
Una dichiarazione del genere, dopo la mezza sommossa degli stranieri al Corvetto, sarebbe sufficiente per invitarlo a riporre gli oggetti personali in uno scatolone e a lasciare Palazzo Marino. Sì: è sindaco da più di otto anni, ora si accorge che Milano non è sicura. Tutto normale? Ed è normale che l’eurodeputata Ilaria Salis, su Instagram, benedica le barricate? L’onorevole, ieri, ha rilanciato il post di una pagina di «giovani di origine migrante e operaia», «da leggere tutto d’un fiato»: «La rivolta è l’ultima e la prima arma di chi non ha nulla». Maurizio Landini deve aver fatto scuola, anche se lei era già ben istruita. Salis chiede «verità e giustizia. Ramy vive». Ramy Elgaml era l’egiziano di 19 anni morto in un incidente in motorino: insieme a un giovane tunisino, stava scappando dai carabinieri. Domani sera, sarà ricordato con una fiaccolata nel quartiere sudorientale del capoluogo lombardo. «Si sentiva italiano», ha commentato il padre.
«Non serve a nulla crocifiggere questa città», si giustifica Sala. «Sta facendo uno sforzo per un modello che non è del centrosinistra, ma che caratterizza tutte le città internazionali». È un modello che forse accontenta chi risiede entro la Cerchia dei Bastioni, chi compra appartamenti panoramici nei grattacieli, le multinazionali, le modelle , i viveur. Tutto bellissimo. Ma poi ci sono le periferie. Anzi: il sindaco non vuole si parli «in senso generico di periferie»; semmai, di «problemi in alcuni specifici quartieri». D’accordo. Fatto sta che al Corvetto, situato a soli due chilometri e mezzo dalla centralissima Porta Romana, di problemi ce ne sono parecchi. È «molto esagerato» assimilarlo alle banlieue, sostiene il ministro dell’Interno, che ieri era in Prefettura per un vertice con lo stesso Sala, il prefetto Claudio Sgaraglia e il questore Bruno Megale. Ne è scaturito un piano stile San Siro: un misto di controlli, sgomberi e progetti sociali. Il sospetto è che a separarci dall’inferno dei ghetti francesi, ormai, ci sia solo il tempo: da noi gli immigrati sono il 10% della popolazione, Oltralpe già più del 14. Appunto: con i confini permeabili e i magistrati poco collaborativi, è questione di tempo. «Non si può dire che Milano sia una città fuori controllo», ribadisce Matteo Piantedosi. E il Viminale promette 600 agenti in più da gennaio 2025.
Il primo cittadino, ovviamente, non è uno sceriffo. E i guai di Milano non sono solo colpa sua. Però, dalla sua posizione, ha il compito di sorvegliare, segnalare, tampinare l’esecutivo per risolvere le emergenze di ordine pubblico. In otto anni e mezzo, sono stati affrontati quei famigerati «problemi specifici di alcuni quartieri»?
Sala conferma la propria linea: non basta «agire solo con la repressione». «Milano è una città che vuole continuare a essere accogliente e a integrare». Lo racconti a chi ha paura di uscire di casa, perché magari mentre è fuori gliela occupano. La metropoli, aggiunge, ha bisogno degli stranieri: se no, chi la «manda avanti nei lavori che i nostri figli non vogliono più fare?». Il luogocomunismo danza con le frasi precotte: l’integrazione «non deve essere in contrapposizione al fatto che le regole devono essere rispettate». Già. Si rivolge ai milanesi o ai figli degli immigrati? Sala parla da chi ha il polso della situazione: «Io ci sono stato», al Corvetto, «con il comandante dei vigili, in pattuglia, tre settimane fa». Ma non ha dovuto inseguire un egiziano e un tunisino in scooter, com’è successo ai carabinieri il 24 novembre. L’altro ieri aveva accusato la destra: le piace «fomentare queste situazioni». Gli ha risposto il governatore della Lombardia, il leghista Attilio Fontana: «Bisogna prendere atto di una incapacità di integrare alcune fasce dell’immigrazione. Fintanto che si cerca di scaricare le responsabilità, non si va da nessuna parte».
«Il ministro dell’Interno Piantedosi ha confermato la grave e preoccupante situazione che vede, in città, il 65% dei reati commessi da stranieri», ha sottolineato il meloniano Riccardo De Corato, vicepresidente della commissione Affari costituzionali alla Camera ed vicesindaco nelle giunte milanesi di centrodestra. Vero. Il titolare del Viminale critica un sistema di integrazione che passa solo per «un pezzo di carta». «Non basta essere munifici con il rilascio di permessi di soggiorno». Piantedosi, comunque, smorza i toni. Forse, per evitare che si riaccenda la miccia della sedizione, capeggiata da un montenegrino clandestino, trasferito ieri dalla cella ai domiciliari.
A margine della riunione in Prefettura, a proposito dell’incidente di domenica, il ministro si limita a invocare «comprensione per la difficoltà del lavoro delle forze di polizia». Concede che le proteste del Corvetto sono «segnali che vanno tenuti in considerazione», giura che «non sono stati sottovalutati e non verranno sottovalutati», «perché sono segni di un disagio». Chi scende in strada a dare fuoco alle auto si ritrova compatito dalle istituzioni; chi in quel «disagio» ci affonda da anni in silenzio continua a essere ignorato. Piantedosi rassicura: il fenomeno di «effervescenza» del Corvetto è «in regresso». Il Corvetto non è una banlieue. Non ancora?
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Beppe Sala (Getty Images)
Vertice in prefettura con il ministro dell’Interno. Sala ammette i problemi però insiste: «Gli immigrati fanno i lavori che rifiutiamo». Piantedosi: «Il 65% dei reati in città commesso da stranieri, ma il Corvetto non è una banlieue». Salis loda la rivolta: «Ultima arma».
Beppe Sala (Imagoeconomica)
Da anni raccontiamo dei pericolosi ghetti dove si intrecciano stranieri, degrado, case occupate e criminalità. La risposta è sempre stata il vuoto ritornello: ci vuole più integrazione. Così ora ci ritroviamo con le banlieue.