La storia dell’anarchismo italiano del primo Novecento è più stratificata di quanto non si creda. Una pagina poco ricordata è quella che vide molti seguaci di Bakunin schierarsi al fianco di Benito Mussolini.
La vicenda di Alfredo Cospito ha fatto tornare sotto la luce dei riflettori il mondo dell'anarchismo. Un’ideologia, quella anarchica, che attraversa la modernità lasciando dietro di sé molto sangue versato – sia proprio che altrui – un bel po' di utopia e qualche episodio spiazzante. Uno di questi è senza dubbio quello relativo alla trasmigrazione di molti quadri anarchici dalla casa ideologica di Bakunin a quella di... Benito Mussolini. Un tema su cui esiste anche un saggio uscito una ventina d'anni fa, scritto da Alessandro Luparini (Anarchici di Mussolini, M.I.R. Edizioni, Firenze 2001)
Tra i maggiori gerarchi fascisti, il più illustre ad avere trascorsi anarchici fu il controverso ras di Bologna Leandro Arpinati. Ferroviere, ex sguattero, ex operaio automobilistico, Arpinati aveva abbandonato la causa socialista del padre per avvicinarsi all’anarco-individualismo di Massimo Rocca, di cui parleremo tra poco. A Bologna, Arpinati aveva svolto attività per l’Unione sindacale italiana di Corridoni e De Ambris. Fu tra i principali protagonisti dell’interventismo rivoluzionario per poi avvicinarsi a Mussolini e divenire un riconosciuto e temuto squadrista nella sua Bologna. Sansepolcrista, in seguito divenne vice-segretario generale del Pnf, console della Mvsn, deputato e podestà della città felsinea. Nel 1929 venne nominato sottosegretario agli Interni. Poi, però, qualcosa si ruppe. Il 19 luglio 1934 venne mandato al confino per contrarietà «alle direttive e all’unità del Regime». La nascita della Rsi lo trova isolato e scettico. Il 7 ottobre del 1943 Mussolini lo incontra per cercare di averlo di nuovo fra i suoi, ma il tentativo finisce nel nulla. Arpinati finisce con il dare rifugio a partigiani e membri dell’Oss, anche se tutto ciò non lo salva dall’essere ammazzato dalla brigata Garibaldi.
Un altro anarchico in camicia nera fu Edoardo Malusardi. Lodigiano, classe 1889, «Malus» – come si firmava talvolta – si era fatto notare sul foglio bolognese L’agitatore per la sua verve da consumato polemista. Già all’epoca della militanza anarchica aveva comunque mostrato tratti pre- fascistoidi, formulando una teoria dell’azione violenta dai tratti soreliani, nella quale si innestava il culto dell’azione risolutrice del singolo. Folgorato dall’interventismo, divenne direttore del «settimanale anarchico interventista» La guerra sociale. Volontario nella Grande guerra, aderirà poi al fascismo dopo essere passato per la Fiume dannunziana. Al fianco dell’ex compagno di militanza anarchica, Italo Bresciani, darà un’anima movimentista al fascio veronese, dotandolo, almeno inizialmente, anche di una notevole indipendenza d’azione. Dopo aver aderito alla Rsi, nel dopoguerra partecipò attivamente al sindacato vicino al Msi, la Cisnal, proponendo la sua visione sociale di matrice corridoniana cui fu sempre fedele.
Un altro pilastro dell’anarcofascismo fu Mario Gioda. Operaio tipografo con la passione del giornalismo, aderirà all’Unione Sindacale Italiana per abbracciare entusiasticamente l’interventismo. Conosciuto Mussolini ai tempi della battaglia politica per l’entrata in guerra dell’Italia, Gioda diventerà corrispondente da Torino del Popolo d’Italia. Volontario nella Grande guerra, sarà esonerato dopo breve tempo per motivi di salute. Sansepolcrista, fascista della prima ora, sarà tra i principali animatori del fascismo torinese. Nel 1924 verrà eletto deputato, ma dopo qualche mese morirà a causa della stessa malattia che ne aveva impedito l’impegno al fronte.
Ma la figura decisamente più originale passata dall’anarchismo a fascismo resta sicuramente Massimo Rocca. Anche lui torinese e operaio tipografo, come Gioda, Rocca era stato un collaboratore de Il grido della folla, nonché l’animatore del Novatore Anarchico. Appassionato lettore di Stirner, era anche personalmente animato da una urticante vis polemica. Evolutosi pian piano verso una forma di individualismo tecnocratico, Rocca diventerà un esponente dell’ala normalizzatrice e modernizzatrice del primo fascismo, salvo venir pian piano isolato a causa del suo carattere intrattabile.
Tra le figure minori, gli anarcofascisti furono ben più presenti di quanto non ci si immagini. Pensiamo, per esempio, a Edmondo Mazzuccato: di estrazione repubblicana, si era avvicinato alla causa anarchica lavorando come tipografo al Grido della folla per poi collaborare a fogli anarchici come La protesta umana e L’operaio. Interventista, partirà volontario e combatterà con gli Arditi, per finire nel dopoguerra nelle file del fascismo dopo un’esperienza nell’ambito dell’impresa fiumana. Sarà tra i protagonisti del celebre assalto delle camicie nere alla sede dell’Avanti!, il 15 aprile 1919. Oppure pensiamo ad Alfredo Consalvi: animatore tra il 1906 e il 1911, con Massimo Rocca, della rivista anarco-individualista Novatore, tra i principali esponenti dell’anarco-interventismo, aderirà con convinzione al fascismo e sarà fortemente legato alla figura di Edmondo Rossoni. E ancora, citiamo Ottavio Dinale, Italo Bresciani, Alceste Salvadori, Carlo Rivellini, Armando Senigallia, Vittorio Boattini, Adolfo Fanelli...
Alla fin fine, la rappresentazione migliore del rapporto tra fascismo e anarchia la dà un episodio della vita di Berto Ricci, lo scrittore fascista caduto in Africa, dove era andato volontario. Anche Ricci, da giovane, era stato anarchico e si era avvicinato al fascismo solo tra il 1925 e il 1927. Quando, nel 1932, chiederà la tessera del Pnf, nel questionario d’ordinanza, alla domanda «Perché non vi siete iscritto prima?», risponderà: «Perché ero di idee contrarie». La cosa gli valse una convocazione a Roma, dove il vicesegretario del partito, Arturo Marpicati, gli chiese conto di questa risposta. Alla rivelazione dei trascorsi anarchici, Marpicati esclamò sorpreso: «E noi non si era anarchici?».