Domenico Arcuri (Ansa)
Il Tribunale di Roma ha condannato Palazzo Chigi a risarcire un fornitore di Dpi: il contratto fu revocato su basi illegittime.
Esattamente tre anni fa proruppe nella celebre esclamazione: «Non rispondo alle polemiche di chi parla dal salotto col cocktail in mano». Sembra passato un secolo, da quando il suo volto rotondo e scapigliato entrava nelle nostre case attraverso lo schermo televisivo, pronto a snocciolare i dati di contagi e decessi. Adesso quel compagno di tanti bollettini, l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, è quasi sparito dai radar, ma presto potrebbe finire alla sbarra.
Dopo tre anni, finalmente, un giudice deciderà se mandare a processo lui ed altri dieci imputati per la maxi commessa da 801 milioni di mascherine cinesi costate 1,2 miliardi di euro. È stato un parto lungo e faticoso, ma a partire dal 15 settembre il gup Mara Mattioli darà il via all’udienza preliminare, propedeutica al rinvio a giudizio chiesto in questi giorni dagli inquirenti capitolini. Il nome di maggior peso è proprio quello di Arcuri, accusato di abuso d’ufficio, il reato di chi «intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale» e che prevede una pena da uno a quattro anni («aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità»). Secondo i pm capitolini, infatti, Arcuri in concorso con il suo collaboratore Antonio Fabbrocini e con l’imprenditore Nicolas Venanzi, concedendo a tre consorzi cinesi, presentati dagli intermediari guidati dall’ingegnere Andrea Vincenzo Tommasi, «anticipazioni dei pagamenti […]prima di ogni verifica in Italia sulla qualità delle forniture e validità dei documenti di accompagnamento», avrebbe di fatto limitato le offerte a favore di Tommasi & c., dal momento che a tutti gli altri importatori italiani veniva negato lo stesso trattamento «imponendo loro di acquistare, a proprio carico, i dispositivi da fornirsi, con pagamento a verifica della merce in Italia».
Tommasi e Venanzi sono anche indagati per traffico di influenze illecite, insieme agli altri mediatori dell’affare: il giornalista Mario Benotti, la sua compagna Daniela Rossana Guarnieri, il broker ecuadoriano Jorge Solis, il banchiere sammarinese Daniele Guidi, l’imprenditore Georges Fares Khouzam e il cittadino cinese residente a Roma Cai Zhongkai, il rappresentante in Italia delle tre società che hanno fornito le mascherine.
Durante l’indagine la già enorme somma di 66 milioni di euro di provvigioni accertate, destinate a Tommasi (48,8 milioni), Benotti (per gli inquirenti alle società da lui controllate insieme con la compagna sarebbero arrivati 11,9 milioni) e a Solis ( destinatario di 5,8 milioni) è cresciuta di altri 12,2 milioni, finiti su un conto corrente della Hang Seng bank di Hong Kong e destinati a Guidi.
A Fabbrocini, responsabile unico del procedimento di approvvigionamento di dispositivi di protezione, la Procura contesta anche la frode in pubbliche forniture, in concorso con Tommasi, Venanzi, Guidi e Zhongkai. I cinque, secondo l’accusa, avrebbero fornito al governo italiano, «essendo venuti a conoscenza della inidoneità delle forniture e, ciononostante, avendo agito per validarle all’uso sanitario» prodotti «non conformi» e «inidonei all’uso sanitario» se non «addirittura pericolosi per la salute». Il riferimento è a vari lotti di mascherine che hanno portato nello scorso ottobre la Procura di Roma a sequestrare tutti i dispositivi della fornitura ancora presenti nei magazzini.
In assenza delle certificazioni europee, in alcuni casi espressamente previste dai contratti, i cinque avrebbero superato l’ostacolo «con l’artifizio di far pervenire al Comitato tecnico scientifico (Cts, ndr) test report/certificati di conformità non genuini, così promuovendo validazioni in violazione di legge». Un comportamento che ha portato anche alla contestazione di falsità ideologica: Guidi per aver procurato «le certificazioni utili alla validazione delle forniture irregolari» e Zhongkai per averle depositate presso il Cts. Tommasi e Venanzi avrebbero anche effettuato «la sostituzione delle certificazioni inizialmente valutate non a norma», inducendo così «il Cts ad attestare falsamente la conformità dei presidi sanitari importati». Dunque mentre Arcuri ammoniva gli italiani dalla tv, questa banda del buco gli forniva protezioni farlocche per combattere la guerra contro la pandemia con armi spuntate.
I pm hanno allegato alla richiesta di rinvio a giudizio un’informativa del Nucleo speciale di Polizia valutaria della Guardia di finanza con l’elenco di circa 900 «conversazioni di interesse»: 332 riguardano l’utenza di Benotti, 238 quella di Tommasi, 20 quella di Arcuri. Tra le telefonate del giornalista-imprenditore ne spicca una dell’11 ottobre 2020 diretta al cellulare dell’ex premier Romano Prodi e durata una trentina di secondi. Contattato dalla Verità, l’ex premier ci ha spiegato: «Non ho avuto con Benotti nessuna telefonata che avesse per oggetto le mascherine o qualsiasi altra questione di tipo commerciale». Il fondatore dell’Ulivo non ricorda quando abbia conosciuto il giornalista e il motivo per cui lo abbia contattato in quell’occasione. Ma esclude che lo abbia fatto per affari. Tra gli interlocutori di Arcuri, in conversazioni apparentemente istituzionali, compaiono il presidente della Regione Abruzzo Marco Marsilio, quello della Regione Umbria Donatella Tesei, l’ex sindaco dell’Aquila Massimo Cialente, il direttore generale della Prevenzione sanitaria presso il ministero della Salute Giovanni Rezza, e Walter Ricciardi, già consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza.
La telefonata che Ricciardi fa ad Arcuri avviene il 19 novembre, giorno in cui La Verità svela l’esistenza dell’indagine. Tra le comunicazioni del 2021 due sono con Luciano Flor, direttore della Sanità della Regione Veneto; una è con Letizia Moratti, all’epoca assessore al Welfare della Regione Lombardia; l’ultima è con Sandra Zampa, sottosegretario alla Salute del Governo Conte 2. Anche in questo caso, si tratta di contatti apparentemente fisiologici visto il ruolo di Arcuri, anche se la telefonata della Zampa (durata oltre 15 minuti) avviene il 27 febbraio 2021, quando la ex portavoce di Prodi non ricopre alcun ruolo istituzionale. La Zampa infatti tornerà al ministero solo il 18 marzo: «Il contenuto della conversazione? Come faccio a ricordare una telefonata del febbraio del 2021?», ci domanda.
Dall’elenco degli atti depositati emergono le rogatorie inoltrate dalla Procura di Roma a San Marino per approfondire la posizione del banchiere Guidi. Nel 2022 i pm capitolini hanno aperto un fascicolo parallelo a quello principale che probabilmente ha ritardato la richiesta del rinvio a giudizio. Era un procedimento per reimpiego di denaro proveniente da attività illecite che è andato alla ricerca di soldi versati estero su estero alla banda. Ma, a quanto risulta alla Verità, i magistrati hanno chiesto l’archiviazione dell’indagine. L’indagine partiva dalla ricostruzione dei flussi di denaro relativi alle provvigioni percepite da Guidi attraverso la Bgp partners di Hong Kong. Nel settembre 2020, insieme alla moglie Stefania Lazzari, Guidi aveva costituito in Cina una «newco», la Chenxing management consulting ltd, che i due avrebbero utilizzato «quale veicolo per l’ottenimento del permesso di soggiorno presso il territorio di Hong Kong».
Un progetto perseguito anche attraverso lettere di referenze emesse a favore della Lazzari da due delle società fornitrici della maxi commessa, la Luokai trade e la Wenzhou light. L’ipotesi investigativa era che una parte dei soldi arrivati al banchiere fosse stata oggetto di «potenziali investimenti fatti da Guidi in prestiti obbligazionari, per complessivi 1.294.090,37 euro», ma anche nel settore immobiliare, attraverso una società francese, la Logica associates. Tra questi affari ce ne sarebbe stato uno «da effettuare in Portogallo, a Sud della capitale Lisbona», del valore di 1,5 milioni di euro; la «possibile acquisizione» di un’azienda vitivinicola a Montalcino, in provincia di Siena. I finanziari hanno anche approfondito la partecipazione a un progetto, che avrebbe visto coinvolta la Sunsky di Tommasi, per una «torre dell’altezza di 285 metri destinata ad uso commerciale» in corso di realizzazione a Parigi. La stessa città in cui la Logica ha pagato sei mesi di affitto di un appartamento in pieno centro, in uso esclusivo a Guidi. I finanzieri hanno, però, concluso che le indagini «non hanno permesso di appurare con assoluta certezza la realizzazione o meno di tali investimenti».
Guidi nei giorni scorsi è stato condannato sul Monte Titano a 5 anni e dieci mesi di reclusione e a una multa da 30.000 euro per una truffa (sono stati calcolati 81 milioni di euro di danni) legata a dei fondi pensione depositati presso la sua banca. Guidi è coinvolto anche in altri procedimenti presso il tribunale sammarinese e nel gennaio 2019 (un anno prima di diventare fornitore per Arcuri) era stato arrestato nell’ambito di un’indagine in cui gli venivano contestati i reati di associazione per delinquere, amministrazione infedele, corruzione, concorso in truffa aggravata e ostacolo alle funzioni di vigilanza. Nell’anno di grazia 2020 il governo italiano riempiva di milioni questi signori.