Le tensioni, in Mali e in Ucraina coinvolgono la Francia, direttamente o come presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea. La Verità ha chiesto al geopolitologo francese Alexandre Delvalle (*) quali conseguenze potrebbero produrre queste due situazioni.
Quali errori ha commesso Emmanuel Macron in Mali ?
«Penso che il suo errore più grande sia stato di non ritirare i militari francesi prima. Questo perchè la loro missione primaria era solo quella di impedire agli jihadisti di arrivare fino a Bamako, la capitale. Fatte le debite proporzioni è un pò come quello che è accaduto in Afghanistan per gli Stati Uniti e in Iraq. Quando un’operazione militare supera la durata dei due o tre anni, significa che il Paese di stanza con le proprie truppe, non potrà fare meglio di quanto già fatto. E poi, l’opinione pubblica nelle democrazie occidentali non accetterebbe di mandare mille persone a morire in un altro Paese. Secondo me, Emmanuel Macron avrebbe dovuto riportare a casa le truppe appena dopo la sua elezione nel 2017».
E ora che succede in Mali ? Ritiene che la Francia debba preoccuparsi della situazione ?
«Non credo, perché la situazione che sta vivendo il Mali rimane un caso a se. Se, da un lato, i maliani pretendono la partenza dei soldati francesi, dall’altro, i Paesi vicini del Sahel (gli altri quattro componenti de G5, ovvero Mauritania, Burkina Faso, Niger e Ciad, ndr) chiedono che la Francia rimanga. Per capire il perché dell’atteggiamento maliano attuale bisgna fare un passo indietro. Nel 2013, sotto la minaccia jihadista, il governo di Bamako dell’epoca aveva chiesto a Parigi un aiuto contro i terroristi. La Francia aveva risposto positivamente ed i suoi militari erano stati ben accolti. Successivamente però i francesi hanno commesso quello che, agli occhi dei maliani, è un errore: per dividere l’alleanza tra varie formazioni terroristiche, Parigi ha stretto un accordo con i separatisti delle etnie berbera e touareg del nord del Paese. Per i maliani è stata come una pugnalata alle spalle che ha favorito i separatisti, minacciando l’integrità territoriale e la sovranità nazionale. D’altra parte però, questo è un Paese enorme e, soprattutto nelle zone desertiche del nord, senza un’alleato sul campo è difficile operare. Poi va detto che la Francia è ben presente in Ciad (dove ci sono anche i giacimenti di Uranio), un Paese che dispone del miglior esercito di quell'area geografica».
Dove nascono le tensioni tra il nord e il sud del Mali ?
«Dalla storia e dalle differenze etniche. La zona settentrionale di questo enorme Paese è scarsamente abitata. Come detto, qui vivono le etnie berbera e touareg che, per secoli, hanno compiuto scorrerie nel sud abitato da popolazioni nere, per alimentare il commercio degli schiavi. In più tra queste popolazioni ci sono istanze separatiste. Quindi la notizia dell’accordo tra francesi e separatisti ex schiavisti è stata recepita malissimo. Quindi la popolazione maliana, oltre all’esercito, ha cominciato a vedere nei russi come un'alternativa interessante. Ricordo che, già quattro o cinque anni fa, un mio conoscente in Mali mi segnalava manifestazioni di gente che urlava, nelle vie della capitale Bamako, contro la Francia e a favore della Russia».
Ma perché la giunta militare maliana ha fatto appello proprio ad una società paramilitare russa ?
«Credo che i russi stiano semplicemente approfittando dello scontento nei confronti dei francesi per riempire un vuoto enorme. Inoltre, a differenza dei francesi, loro non stringono accordi con i sepraratisti. Non va inoltre dimenticato che i russi non danno lezioni di morale, come fanno i francesi e gli occidentali, e non intervengono nella politica interna».
Pensa che la fiducia riposta nei russi dai maliani, possa finire come è accaduto con i francesi ?
«Per i russi, questa situazione permette di aver accesso all'Africa. Però credo, se rimanessero troppo in Mali, anche loro rischierebbero di arrivare ad un fallimento. D’altra parte, gli interventi di Mosca all’estero o in zone di guerra entro i confini russi, non sono mai culminate in grandi successi. Basti pensare all’Afghanistan, ai tempi dell’URSS, e alla Cecenia dove, l’unico modo di calmare la situazione è stato di mettere a capo della repubblica autonoma un filo integralista islamico».
Crede che ci sia un legame tra la situazione in Mali e le tensioni in Ucraina ?
«Non penso, perchè in realtà le due situazioni sono nate in momenti diversi e la Francia le affronta entrambe solo perché, in questo momento, Parigi assicura la presidenza semestrale del Consiglio dell’Unione Europea. Ma, se guardiamo indietro, già nel 2008 con Sarkozy, l’UE riuscì a ristabilire un dialogo tra Russia e Georgia, Paese che, come l’Ucraina, intendeva aderire alla Nato. E’ questo il nodo della questione: a Mosca non piace perdere i propri vicini alleati. Poi non dimentichiamo che la scelta di ritirare una parte di soldati dal Mali era già stata presa da Parigi l’anno scorso».
Ma ritiene che i russi siano in grado di sconfiggere gli islamisti in Mali ?
«Dubito, perché ci vorrebbero molti più uomini. I miei contatti in Mali mi spiegano che se, un giorno, viene eliminato un jihadista, l’indomani ci sono due dei suoi nipoti che prendono il suo posto. Quindi non penso che i russi riusciranno ad ottenere risultati migliori di quelli francesi».
Pensa che l’Europa debba attendersi delle nuove ondate migratorie provocate dalle tensioni in Mali ?
«Non ne sono sicuro. Bisogna dire che il Mali è già uno dei Paesi che manda più migranti in Francia. Purtroppo l'immigrazione maliana è spesso mal integrata, violenta, meno istruita e che pratica la poligami. Da questo punto di vista, non credo che possa andare peggio. Inoltre le tensioni con la giunta di Bamako, potrebbero paradossalmente ridurre il flusso di partenze dirette verso la Francia. Parigi stessa potrebbe usare questo pretesto per rifiutare anche molti più immigrati regolari provenienti da questo Paese».
(*) Alexandre Delvalle è autore di diversi libri dedicati alla minaccia islamista e alle infiltrazioni in occidente dei Fratelli Musulmani. Tra quelli tradotti in italiano vanno ricordati : “Il complesso occidentale. Piccolo trattato di de-colpevolizzazione” (Ed. Paesi Edizioni, 2019. Con prefazione di Marcello Veneziani), “Comprendere il caos siriano. Dalle rivoluzioni arabe al Jihad mondiale” (coautore insieme a Randa Kassis, Ed. D’Ettoris, 2017). “Verdi, rossi, neri. L'alleanza fra l'islamismo radicale e gli opposti estremismi” (Ed. Lindau, 2009) e “Perché la Turchia non deve entrare in Europa” (Ed. Guerini e Associati, 2009).