Mentre il mondo, dagli Stati Uniti all'Europa, deve fronteggiare un'emergenza sanitaria senza precedenti, con aumenti di contagi da Covid 19 ogni giorno, in Africa la situazione è ancora abbastanza tranquilla. Nel continente africano vivono almeno 1,3 miliardi di persone e al momento i contagi sono arrivati a 8.000, tra tutti i 54 stati. Si tratta di una buona notizia per una zona della terra abituata a fronteggiare calamità naturali ogni anno, tra siccità e carestia, e malattie ancora più pesanti del coronavirus, come ebola e malaria. Ma l'attenzione resta alta. E gli stati iniziano a essere preoccupati più che per la pandemia mondiale per la crisi economica sempre più imminente. Non a caso la Nigeria sta già ragionando sulla possibilità di riaprire la prossima settimana per evitare che la crisi economica mieta più vittime del coronavirus, per evitare soprattutto rivolte della popolazione
L'Africa è una zona strategica per lo scacchiere geopolitico mondiale, stretta tra Stati Uniti e Cina, con un Europa in ritardo e spesso troppo lontana. Di questo si è discusso venerdì 10 aprile in una video conferenza organizzata dalla Vento& Associati di Andrea Vento, che dall'11 marzo sta lavorando in modalità smart working. L'ottavo incontro era incentrato sulla situazione africana, con un panel di almeno 50 persone, tra esperti del settore, manager di Eni, Enel e Leonardo, consoli, ambasciatori, parlamentari e imprenditori impegnati nel continente africano. La crescita dell'epidemia è lenta da queste parti. Diversi stati hanno adottato misure molto stringenti, con coprifuoco molto rigidi, come in Sud Africa e Tunisia. A Tunisi la scorsa settimana, come ha ricordato la professoressa Maria Gabriella Pasqualini appena rientrata, «sono state arrestate 800 persone che hanno violato il coprifuoco».
Ma allo stesso tempo c'è la necessità di riaprire il prima possibile, in una zona che vive soprattutto di lavoro sommerso, di turismo, di un'importazione di cibo pari al 90% dell'approvigionamento totale e di un'esportazione di petrolio pari al 95% in stati come quello della Nigeria. Il blocco degli spostamenti e delle esportazioni come il calo del prezzo del petrolio rischiano di innescare una bomba socioeconomica senza precedenti, con milioni di disoccupati, governi al collasso economico e rivolte per il cibo.
Massimo Zaurrini, direttore di Africa e Affari, ha raccontato che in Sudan in prezzo del pane è raddoppiato in una settimana e che c'è un rischio di recessione economica senza precedenti. Roberto Ridolfi, vicedirettore generale della Fao, ha invitato a ragionare su una diversificazione delle aziende: «Servono filiere agroalimentari più corte nel futuro». Cleo Dioma, burkinabè e noto per il suo lavoro di pontiere tra Africa e Italia, ha invece parlato dei pericoli della scomparsa del lavoro nero agli angoli delle strade. Il lockdown non permette a quelle lavoratrici informali (in nero) di sfamare i propri figli. «E' una grande preoccupazione – ricorda Dioma -. Perché le giovani generazioni che si sono laureati, la nuova classe dirigente africana, è nata grazie a loro. Questo lavoro sommerso permette a milioni di persone di vivere e crescere».
C'è anche un aspetto geopolitico che non bisogna dimenticare. La Cina è stata la prima a mandare aiuti in Africa, anche perché tra gli stati esteri più impegnati nella zona. «Ma anche l'Italia dovrebbe darsi da fare – dice Dioma -. Bisogna riallacciare i rapporti. Tutto il lavoro che stanno svolgendo gli italiani sul fronte dell'emergenza coronavirus può essere utile anche in Africa». Per l'ex ambasciatore negli Stati Uniti Sergio Vento, «il fatto che l'Africa sia diventata in questo momento centrale nello scacchiere geopolitico è un fatto positivo. Stretta tra Usa e Cina mostra però tutte le lacune dell'Unione Europea, ancora in ritardo e con una Francia molto attiva soprattutto nella zona del Sahel, tra Niger e Mali».
Raffaele Matarazzo, senior analyst di Eni, ha ricordato l'impegno del Cane a sei zampe in queste zone. «Stiamo fornendo energia a tutta la popolazione. Ma il problema è che un paese come la Nigeria inizia ad avere fretta di riaprire. C'è il rischio che una chiusura prolungata possa creare problemi ben più seri di un'epidemia di Covid 19». Basti pensare che in Nigeria la scorsa settimana, Fitch ha lanciato l'allarme sulle banche Gli istituti di credito hanno iniziato a fare i calcoli sulla caduta dei prezzi del petrolio e sul lockdown. Le esportazioni di petrolio rappresentano il 95% delle entrate delle esportazioni del paese e influenzano fortemente l'economia in generale. Il calo delle entrate petrolifere può anche portare a un'ulteriore svalutazione della valuta. Il settore petrolifero e del gas rappresentava circa il 30% dei prestiti lordi delle banche nigeriane alla fine del terzo trimestre 19. Riaprire il più presto possibile, insomma, potrebbe essere fondamentale per la sopravvivenza della popolazione.
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