Qual è la verità su Ursula von der Leyen e i suoi rapporti con le case farmaceutiche? Che cosa diceva nei messaggi con i manager della Pfizer? Perché sui contratti siglati dall’Unione europea con Big pharma è stata stesa una coltre di silenzio? E Domenico Arcuri? Qual è la verità sulla sua gestione della pandemia? Perché gli è stato affidato quel potere immenso? Come l’ha gestito? Fa un certo effetto leggere in queste ore le notizie che riguardano due volti simbolo dell’emergenza Covid. Entrambi non se la passano bene, anche se in modo diverso. La presidente Ue, seppur in imbarazzo, resta saldamente al suo posto. L’ex commissario straordinario, invece, sta per essere silurato anche dalla poltrona (che gli era rimasta rigorosamente attaccata al fondoschiena) di amministratore delegato di Invitalia. Un’epoca, in ogni caso, sembra sul punto tramontare.
Ricordo quando Arcuri era potentissimo. E sui giornali comparivano editoriali che elogiavano lui e Rocco Casalino come i giganti della lotta al coronavirus. Fu proprio in quel periodo che, prima su questo giornale e poi in pochissime trasmissioni tv, si cominciò a mettere in discussione la magnifica opera del commissario straordinario raccontando gli spericolati acquisti di mascherine con la mediazione di Benotti & C. Ebbene: ci fu una sollevazione generale. Una pioggia di sopraccigli sollevati. Non si fa. Non dovete farlo. Non dimenticherò mai le telefonate di quelle ore. «Attaccate Arcuri? Siete pazzi? L’uomo che ci sta salvando dal Covid? Lui che è così indispensabile?». Evidentemente non era così indispensabile. Per nulla. Anzi. E ora fa sorridere che, come sempre succede, i suoi ex cantori sono i primi a infierire sull’ex idolo. Se mai uscissero gli sms della von der Leyen sono sicuro che anche il ritornello «viva l’Europa che ci ha salvato durante la pandemia» si spegnerebbe in un attimo. E i suoi intonatori sarebbero, come d’abitudine, i primi a spiegarci i clamorosi errori di Bruxelles nell’acquisto dei vaccini.
Non vogliamo dire che avevamo ragione. È sempre brutto. Ma non si possono nemmeno dimenticare gli insulti e i veleni che hanno circondato, in questi due anni e mezzo, ogni tentativo di sollevare qualche lembo di verità. Non si può dimenticare che si veniva bollati come complottisti, cattivi maestri e financo assassini se si provava soltanto a dare notizie che gli altri oscuravano. Non si poteva parlare dei medici di base che curavano i malati (pensate che cosa strana: dei medici che curavano i malati!) perché si rischiava di mettere in dubbio le mitiche circolari «tachipirina e vigile attesa» del ministro Speranza. Non si poteva parlare della cura del plasma del professor De Donno o dei farmaci monoclonali perché si rischiava di mettere in discussione l’onnipotenza e l’unicità del Dio Vaccino. Non si poteva parlare delle persone vittima di effetti avversi. E ovviamente non si poteva criticare il green pass, eletto strumento di salvezza a furor di mainstream, perché si rischiava di sollevare qualche dubbio sul modo in cui era gestita la pandemia.
Per un certo periodo le campane dei palazzi avevano fatto addirittura risuonare la parola d’ordine dell’Italia come esempio mondiale nella lotta al Covid. Ricordate? E ovviamente la parola d’ordine veniva rilanciata a giornali e reti unificate. Se qualcuno osava dissentire veniva additato come traditore sulla pubblica piazza. Senza mai rispondere alle domande. Perché non avevamo un piano pandemico pronto? Perché a Bergamo sono stati mandati i militari per fare la zona rossa e poi sono stati ritirati? Chi ha deciso? E perché? Chi spingeva il sindaco di Milano Beppe Sala a urlare «Milano non si ferma» e il segretario del Pd Zingaretti a spargere aperitivi in pieno focolaio? In questi giorni mi hanno girato un documento riservato di Confindustria Lombardia datato 11 marzo 2020: si sosteneva che le fabbriche avevano già «adottato tutte le misure di prevenzione per la tutela della salute». Davvero? L’11 marzo? Com’è possibile? «Tutte le misure»? Ma se in quei giorni non si trovavano nemmeno le mascherine? A chi è stato girato quel documento? Quali decisioni ha influenzato?
Non solo l’Italia non è stata un esempio nella gestione della pandemia. Ma è stata un esempio di confusione. Di indicazioni sbagliate. Di costi scaricate su piccole imprese e cittadini senza un perché. Di lockdown eccessivi. Di norme assurde. Di multe pazze. E di falsità di Stato. Siamo il Paese in cui il presidente del Consiglio, un anno fa, in una conferenza stampa ufficiale disse che «chi si vaccina non si contagia». La stessa frase («Ho sentito dire che i vaccinati si prendono il virus e lo trasmettono: è una falsità») l’ha detta il sottosegretario Pierpaolo Sileri in Parlamento. Siamo il Paese in cui l’Aifa non ha voluto le monoclonali gratis per non disturbare il manovratore vaccinale (è in corso l’indagine della Corte dei conti). E in cui il coordinatore del Cts Franco Locatelli si è preso il lusso di dare numeri palesemente sbagliati sui ricoverati in terapia intensiva per accreditare la bufala istituzionale della «pandemia dei non vaccinati». Una cosa che non è mai esistita.
Ora su tutto questo bisogna fare chiarezza. Non si tratta di rivendicare l’«avevamo detto». Non si tratta di bearsi con l’«avevamo ragione». Tutti quelli che, come noi, fin dall’inizio non hanno mandato il cervello all’ammasso, non se ne fanno niente della soddisfazione di averci visto giusto. Però non si può più prescindere da una gigantesca operazione di verità. Questi due anni e mezzo di pandemia vanno completamente rivisti e riscritti, alla luce di quello che oggi sappiamo. E chi ha sbagliato deve essere inchiodato alle sue responsabilità. Non è possibile che Arcuri perda l’ultima poltrona e non ci spieghi la verità sui contratti ancora avvolti dal mistero. Non è possibile che Ursula von der Leyen se la cavi smarrendo gli sms. Non è possibile che al ministero della Salute ci sia ancora colui che ha avallato la circolare «tachipirina e vigile attesa» e ha tenuto fuori dalla sua porta, senza pietà, le vittime di effetti avversi. Bisogna capire cosa è successo e chi ha sbagliato. E chi ha sbagliato deve pagare. Ce lo chiedono migliaia e migliaia di morti per i quali per due anni e mezzo ci è stato chiesto di essere responsabili. Noi lo siamo sempre stati. E voi?