Stretta al giornalismo libero. Dai Renzi a Palamara, quanti scoop «imbavagliati»
I giornalisti che festeggiano la riforma preparata dal Guardasigilli Carlo Nordio sono come i tacchini che esultano per il giorno del Ringraziamento. Ma purtroppo la nostra categoria da tempo alle notizie preferisce i commenti e magari gli encomi al potente di turno. Ma i lettori devono sapere che togliere libertà a chi ha il compito di controllare l’attività dei rappresentanti del popolo non favorisce una parte politica, ma solo chi pretende di farla franca a prescindere e preferisce che nessuno sbirci dentro la stanza dei bottoni. Adesso governa il centro-destra, ma per lustri lo ha fatto il centro-sinistra, il potere è una livella che prima o poi tocca tutti e togliere a chi, come noi, non ha problemi a denunciare i reati, ma anche i comportamenti sconvenienti dei colletti bianchi, la possibilità di leggere tutte le intercettazioni è un danno oggettivo. Ma che cosa sta succedendo esattamente? Stiamo parlando della modifica dell’articolo 114 comma 2 del codice di procedura penale. In passato era consentita la pubblicazione degli atti e del loro contenuto una volta concluse le indagini o anche prima quando era emessa un’ordinanza di custodia cautelare.
Con il ministro grillino della giustizia Alfonso Bonafede c’è stata la prima stretta alla possibilità di pubblicare i contenuti delle captazioni con il decreto-legge numero 161 del 30 dicembre 2019, entrato in vigore l’1 settembre 2020, che apportava «modifiche urgenti alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni». Viene infatti introdotto nell’articolo 114 il comma 2-bis. Che recita: «È sempre vietata la pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni non acquisite ai sensi degli articoli 268, 415-bis o 454» e cioè in occasione dei depositi che avvengono in vista delle udienze stralcio per la trascrizione delle captazioni, degli avvisi di chiusura delle indagini e dei giudizi immediati.
Oggi Nordio vorrebbe proporre un’ulteriore modifica, sostituendo le parole «non acquisite ai sensi degli articoli 268, 415-bis o 454» con «se non è riprodotto (il contenuto, ndr) dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento».
Bonafede ha introdotto per la prima volta il «doppio binario» poiché la pubblicazione delle intercettazioni era sottoposta a una disciplina più restrittiva rispetto a quella degli altri atti del procedimento. Infatti potevano essere pubblicati i contenuti solo delle intercettazioni depositate nei tre casi sopra citati.
Con la riforma Nordio potranno essere riportati sui media unicamente se sono utilizzati nelle motivazioni dei provvedimenti giudiziari (quindi sentenze, ordinanze e decreti) o dalle parti nel dibattimento per sostenere le proprie tesi.
Dunque non potranno più essere rese pubbliche molte intercettazioni pur nella disponibilità dei difensori e, quindi, conosciute da numerose persone.
Ma sulla Verità e su Panorama abbiamo pubblicato molti scoop che senza la possibilità di leggere nella loro interezza gli atti d’indagine difficilmente avrebbero visto la luce.
Ci vengono in mente le inchieste sul gruppo Gedi, sul crollo del ponte Morandi, sul ministero dell’istruzione e i suoi dipendenti infedeli vicino al Giglio magico renziano, sulle mascherine di Domenico Arcuri e Mario Benotti, sul caso di Luca Palamara, sugli ipotetici traffici di influenze illecite dei vecchi collaboratori di Giuseppe Conte.
Per esempio non avremmo letto che l’ex ad di Gedi Monica Mondardini (oggi amministratore delegato del gruppo Cir, la cassaforte della famiglia De Benedetti), riferendosi a un parere pro veritate necessario per la difesa, aveva detto: «Io andrei da uno con il pugno chiuso, oggi dicevo, ma cazzo non lo troviamo un ex comunista» per «salvare i posti di lavoro».
Sul caso del ponte di Genova Panorama pubblicò l’epitaffio per i Benetton (mai indagati) pronunciato dal loro manager di riferimento, Gianni Mion (pure lui non iscritto): «Le manutenzioni», confessava, «le abbiamo fatte calare, più passava il tempo, meno ne facevamo… così distribuiamo più utili e Gilberto e tutta la famiglia erano contenti». In un’altra conversazione aggiungeva: «Tanto i Benetton l’hanno capito tutti che non capiscono un cazzo e che siamo degli inetti, no?». Alessandro Benetton ammetteva: «Allora… la prima cosa da dire è che qui è venuto fuori che era tutto un merdaio».
Ermanno Boffa, marito di Cristina Benetton, rincarava: «Sarebbe devastante se venisse fuori che i Benetton si sono distribuiti 200 milioni di euro nel loro momento peggiore», cioè successivamente alla strage sul Polcevera.
Ma non avremmo saputo nemmeno delle matte risate dei manager di Autostrade che si consigliavano l’un l’altro di prendere l’aereo per evitare di passare sotto le gallerie gestite da loro stessi.
Avremmo ignorato pure che cosa pensasse Matteo Renzi del padre Tiziano («Non è credibile che non ricordi di avere incontrato uno come Romeo […] Devi ricordarti tutti gli incontri e i luoghi, non è più la questione della Madonnina e del giro di merda di Firenze per Medjugorje») o di Enrico Letta, prima di farlo cadere («Lui non è capace, non è cattivo, non è proprio capace…»).
Nel caso del cosiddetto procedimento «Complotto» che vede imputato il faccendiere Piero Amara non vi è stato alcun provvedimento emesso dal Tribunale o dalla Procura in fase di indagine (misure cautelari o sequestri) se non perquisizioni in cui ovviamente non vengono riportate le intercettazioni. Poiché il dibattimento non si è ancora aperto, seppur si tratti di un procedimento del 2017, nessuna captazione avrebbe potuto essere pubblicata. Lo stesso discorso vale per l’indagine della Procura di Perugia sull’ex presidente dell’Anm Luca Palamara. Le intercettazioni del trojan inoculato nel cellulare dell’ex magistrato, quelle sul suk delle nomine, nel 2019 non finirono in alcun provvedimento e quindi gli italiani avrebbero conosciuto il malcostume che aveva infettato il mondo delle correnti delle toghe chissà quando.
Ma c’è anche il caso dell’inchiesta sulle mazzette legate alla costruzione del Mose di Venezia, coordinata dallo stesso Nordio quando era procuratore aggiunto nella città lagunare. Anche in quel caso i giornali pubblicarono molte intercettazioni non contenute nei provvedimenti giudiziari che riguardavano esponenti politici di tutti i colori.
Alcune oggi probabilmente farebbero stracciare le vesti del Nordio ministro. Come quelle in cui il principale indagato dell’inchiesta, Giovanni Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia nuova, l’ente accusato di aver versato tangenti per un centinaio di milioni, commentava con il figlio Carlo (quando le captazioni vennero pubblicate quest’ultimo era già morto) il fatto che Beppe Grillo avesse avvicinato due loro parenti sulla spiaggia di Bibbona: «Le ha fermate e ha voluto farsi fotografie insieme. E poi ha detto alla Giovanna che è identica alla Puppato, hai presente?» disse Carlo. Il commento di Mazzacurati padre fu durissimo: «È un pazzo manicomiale. Leggo su Panorama che hanno un certo Casaleggio che ha tutta una teoria sugli extraterrestri». E Carlo confermò: «Sì, tipo che gli americani hanno trovato un sistema per iniettare una cosa alla gente per convincerli ad avere un pensiero unico». Giovanni Mazzacurati: «Roba da matti». Carlo: «È lì che cammina tutto il giorno sulla spiaggia di Marina di Bibbona, è suonato come una campana». La telefonata si concludeva con il genitore che, sconsolato, commentava: «Gli vanno dietro, però».
Difficile comprenderne la rilevanza penale, ma le intercettazioni vennero trascritte, depositate e pubblicate. Non vi è dubbio che quelle captazioni fossero utili a far conoscere l’opinione che il presunto grande corruttore dell’epoca avesse dei 5 stelle. In un’altra conversazione Mazzacurati avvertiva un altro figlio, Giuseppe, che la famiglia, dopo l’esplosione dell’inchiesta, aveva perso il bancomat: «Sulla roba del Consorzio non possiamo più far conto». Il riferimento sarebbe stato all'olio che Pino Mazzacurati produceva e vendeva al Cvn: 20mila bottiglie per l'equivalente di 260mila euro. Soldi pubblici che servivano a far contenti i maggiorenti di turno, ai quali il Consorzio regalava le bottiglie di olio toscano della prestigiosa tenuta Mazzacurati. Negli atti e sui giornali sono finite anche le trascrizioni archiviate dalla Guardia di finanza come «non inerenti all’inchiesta». Persino quella in cui Mazzacurati con la moglie parla dei condizionatori di casa poco potenti, macchinari che nelle giornate d’afa «fanno la differenza tra la vita e la morte». Grazie alle intercettazioni emersero anche rapporti tra la cricca del Mose con un noto sindaco del Pd, che, però, non era indagato. Nonostante questo i giornali poterono parlarne e svelare legami discutibili che altrimenti sarebbero rimasti sconosciuti.