«La Chiesa del futuro è sinodale?». Orde di «No» e il sondaggio sparisce
Il Vaticano cancella il questionario sui social dopo i voti contrari di migliaia di cristiani.
Caro Don Matteo, non oso chiamarla eminenza per non appesantire di trionfalismo preconciliare quell’immagine dimessa e modesta che tanto scrupolosamente ella ha creato di sé. Essere eminenti presuppone infatti una posizione di superiorità e di responsabilità, dinanzi a Dio e alla comunità rispetto agli altri, che le si riconoscono gerarchicamente inferiori. Credo quindi di farle cosa gradita rivolgendomi a lei come farei con il mio idraulico o con l’impiegato delle Poste: l’abbigliamento e l’eloquio, più o meno, sono gli stessi. Devo dire che trovo poco spontaneo questo négligé soigné, questo suo atteggiarsi a ultimo degli ultimi quando, a differenza dei veri ultimi, ella conserva e sfrutta ampiamente tutti i privilegi connessi con il fatto di essere arcivescovo di Bologna, presidente della Cei e cardinale di Santa romana Chiesa. Questo impegno nel costruirsi un’immagine mediatica è di gran moda nella Chiesa sinodale cui ella appartiene. Il gesuita argentino che vive al residence Santa Marta anziché negli appartamenti papali del Palazzo apostolico non è da meno: se ne va a comprare scarpe ortopediche a Borgo Pio e occhiali da vista in via del Babuino come un pensionato qualunque, con l’accorgimento di farsi seguire dai reporter e dai fotografi che, estasiati, celebrano sulla stampa l’umiltà di papa Francesco. Un’umiltà di facciata che stride con il suo comportamento tirannico e collerico ben noto a chi lo conosce da vicino. Il cliché è, quindi, evidente e forse sarebbe il caso di introdurvi una qualche variazione, non fosse che per fugare l’impressione di volersi ingraziare Bergoglio o di ambire a succedergli.
Leggo su La Verità un resoconto del suo intervento al Festival di Giffoni, località che a molti è del tutto sconosciuta e che proprio per questo rientra in quella selezione di luoghi prediletti dall’élite bolognese di ricchi radicali rigorosamente di sinistra che vive in lussuosi appartamenti del centro, lasciando ai comuni mortali le «periferie esistenziali» dei condomini popolari di via Stalingrado, dove essere un operaio e avere una famiglia normale è più problematico che fare la drag queen al Cassero. Dove un cattolico è più emarginato di un maomettano.
Ella parla di accoglienza in una città che, come quasi tutti i capoluoghi italiani, si è trasformata in un suk di derelitti, drogati, criminali e prosseneti proprio grazie alla sua «accoglienza», in un lucroso business foraggiato dallo Stato e dall’Unione europea. Se ella percorresse a piedi via Indipendenza di sera, potrebbe assaporare e respirare il clima che, a parole, sembra piacerle tanto, ma che le è evidentemente sconosciuto. E forse dovrebbe rifugiarsi in un bar o farsi venire a salvare dai carabinieri per non dover consegnare orologio e cellulare ai delinquenti che tengono in ostaggio la città di cui ella - lo ricordo per chi non se ne fosse accorto - è arcivescovo.
Una città in cui ci sono più persone al pride che alla processione del Corpus domini o della Madonna di San Luca. La sua accoglienza, caro don Matteo, è una grottesca chimera e una menzogna. Una chimera, perché si limita a enunciare principi velleitari che la storia ha ampiamente sconfessato. Una menzogna, perché l’utopia di una società multirazziale e multireligiosa serve in realtà a demolire quel modello di società che la Chiesa cattolica - quella a lei sconosciuta, precedente al Concilio Vaticano II - aveva costruito nel corso dei secoli non solo con le sue chiese e i suoi capolavori d’arte e cultura, ma anche con gli ospedali, gli ospizi, le scuole, le confraternite, le opere di carità. Le chiese di Bologna, come quelle di tutta Italia, sono deserte e servono ormai come luoghi in cui tenere concerti, conferenze o incontri ecumenici riservati ai pochi privilegiati della sua ristrettissima cerchia, che poi è la stessa della Murgia, della Schlein e della gauche caviar oggi convertita alla religione woke e al globalismo, all’ideologia Lgbtq+, al gender e al green. Quelle chiese abbandonate, in cui pochi adepti del culto modernista si raccolgono per compiacersi di quanto sono bravi e umili e inclusivi e di quanto brutti e cattivi siano gli indietristi (che scomunicate), sono il sintomo di una crisi di cui la sua Chiesa è principale responsabile, sin dai tempi in cui il progressismo cattolico italiano di Dossetti trovava ampia protezione sotto il manto del cardinal Lercaro.
E non è un caso se ella, pochi giorni fa, ha ritenuto opportuno celebrare una messa da requiem per l’anima del modernista Ernesto Buonaiuti, sacerdote eretico ridotto allo stato laicale, scomunicato vitandus e morto impenitente nella difesa di quegli errori dottrinali che oggi lei, la sua Chiesa e il suo Bergoglio avete fatto vostri e volete imporre anche ai comuni fedeli, dei quali disprezzate la semplicità di fede e l’esasperazione per questo mondo che la rinnega col vostro plauso. E quando sui campanili di Bologna la mezzaluna sostituirà la croce e nelle vie del centro risuonerà la voce del muezzìn al posto delle campane, i cattolici superstiti sapranno chi ringraziare. Sta già avvenendo in molte nazioni europee, vittime prima dell’Italia della sostituzione etnica che voi colpevolmente incoraggiate.
Chi le scrive ha avuto il privilegio di vedersi comminata la scomunica per scisma proprio dagli eredi di Buonaiuti, intimo amico di Angelo Giuseppe Roncalli quanto Giovanni Battista Montini lo fu di don Lorenzo Milani e di altri egocentrici ribelli. Un bell’ambientino, non c’è che dire. Coloro che fino a Pio XII erano pericolosi deviati nella fede e nella morale, oggi sono i numi protettori di una gerarchia non meno corrotta, che cambiando il magistero della Chiesa spera di riabilitare sé stessa con loro e di poter così coprire le proprie vergogne e i propri scandali. Ma non basta cambiare nome ai vizi per renderli virtù: l’eresia rimane eresia, la fornicazione rimane fornicazione, la sodomia rimane sodomia. E come tali, queste piaghe continuano a dannare le anime, perché le allontanano da Dio, che è verità e carità.
Il suo appello a «volersi bene» non significa nulla. Quando un’anima è perduta, è compito del buon pastore andarla a cercare, prenderla con la forza della parola di Dio - questo simboleggia il pastorale - e ricondurla all’ovile. La sua indulgenza verso il «mondo queer» tradisce la mancanza di quella visione soprannaturale che dovrebbe avere ogni sacerdote e ogni vescovo. Voler bene a una persona significa volere il suo bene nell’ordine stabilito da Dio, non confermarla nei suoi errori. Il medico che nega la piaga purulenta non cura il paziente, ma tradisce la sua vocazione per quieto vivere o compiacenza; e il paziente a cui dovrà essere amputato l’arto in cancrena non lo ringrazierà per la sua indulgenza, ma anzi lo detesterà per il suo tradimento.
Lei si bea della conventicola di seguaci che la invita a destra e a sinistra (più a sinistra, in realtà). Finché si vestirà come un conducente dell’autobus, finché terrà la croce pettorale ben nascosta nel taschino e ratificherà le loro istanze con discorsi equivoci e ipocriti, la chiameranno anche alla sagra della piadina di Borgo Panigale, forse più famosa del Festival di Giffoni. Ma se avesse l’ardire di fare l’arcivescovo e il cardinale, di predicare opportune importune il Vangelo anche nei suoi punti più ostici per la mentalità del mondo, ella dovrebbe tornarsene in episcopio e sarebbe ferocemente attaccato come tutti i suoi predecessori fino al Concilio. La massoneria si scaglierebbe contro l’intolleranza papista, la sinistra la additerebbe come fascista, e lo stesso Bergoglio - che tradisce allo stesso modo l’intero corpo ecclesiale - la rimuoverebbe e le farebbe omaggio della medesima scomunica che ha comminato a me, che cerco di non venir meno ai miei doveri di pastore.
È troppo comodo, don Matteo, stare al passo coi tempi: è la tentazione di tutti i secoli e contro di essa ci ha messo in guardia anche la Sacra scrittura. Non lasciarsi contaminare da questo mondo (Giac 1, 27) non significa vivere in un iperuranio di sedicenti intellettuali progressisti incuranti di chi muore nel corpo e nell’anima, né incoraggiare i peccatori a continuare sulla via della perdizione per essere amici di tutti e non avere nessuno contro. Chi ha ricevuto la sacra porpora dovrebbe sapere che essa simboleggia il sangue che deve essere pronto a spargere per la Chiesa, come hanno fatto tutti coloro che hanno preso sul serio il Signore: «Voi siete miei amici se farete quello che Io vi comando» (Gv 15, 14). Ha sentito bene: quello che Io vi comando. La redenzione non è un’opzione tra le altre, come vorrebbero farci credere i modernisti: morendo in croce, il Figlio di Dio ha dato la sua vita per noi e noi non possiamo rimanere indifferenti davanti al sacrificio di Cristo. Senza quella croce, senza la passione e morte di Cristo l’umanità sarebbe ancora sotto il potere di Satana. La vera umiltà non consiste nell’apparire umili, ma nel riconoscersi tali dinanzi a Dio, nell’obbedire ai suoi Comandamenti, nell’avere in lui l’unico scopo della nostra esistenza, nel condurre a lui tutte le anime, per le quali egli ha sofferto.
La Chiesa non è una sala di teatro o un tendone da circo da riempire con del pubblico purchessia, cambiando di tanto in tanto gli spettacoli in cartellone. Essa è la sala delle nozze dell’Agnello, in cui si entra solo con la veste nuziale che lo sposo ci dà nel battesimo. Il «todos todos todos» del suo Bergoglio è un inganno ed è tanto più grave quanto maggiore è la vostra consapevolezza di andare contro le parole stesse del Signore, che pretendete di rappresentare e di cui calpestate il Vangelo. Ipocriti: la vostra inclusività comprende tutti solo in teoria, ma finisce con l’escludere nella pratica chi non ha le vostre idee e non adora i vostri idoli, esattamente come fa la sinistra woke che tanto le piace.
Affermare che non serve credere in Dio per salvarsi è una bestemmia: una bestemmia che piace al mondo proprio perché si illude di rendere Dio superfluo con la vostra complicità, mentre tutto ruota intorno alla croce di Cristo e nessuno che non rinneghi sé stesso e non lo segua potrà avere la salvezza eterna. Una bestemmia che rende la Chiesa inutile e lei con essa. Continui a compiacere il mondo che le chiede di abiurare la fede e di abbracciare le sue ideologie false e ingannatorie. Essi dicono ai veggenti: «Non abbiate visioni» e ai profeti: «Non fateci profezie sincere, diteci cose piacevoli, profetateci illusioni!» (Is 30, 10). Continui a farsi invitare al Festival di Giffoni e a celebrare messe di suffragio per eretici scomunicati. Continui a far credere a tante anime perdute che la loro vita peccaminosa non precluderà loro la felicità eterna e agli immigrati maomettani che sottomettendo l’Europa all’islam andranno in Paradiso. Ma almeno abbia la coerenza di riconoscere che di cattolico e conforme alla volontà di Cristo, in quello che ella fa e che è, non c’è nulla. Non le occorre nemmeno che si cambi d’abito.
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