Piano pandemico, Guerra alle strette
Disposta l’imputazione coatta per l’ex numero due dell’Oms e altri dirigenti, per i quali la Procura chiedeva l’archiviazione. Il gip: «Responsabili del mancato aggiornamento».
Quando mi si chiede di cosa voglio parlare esattamente quando utilizzo l'espressione «Grande Sostituzione», o quella di «cambiamento di popolo e di civiltà», mi chiedo sempre se la domanda sia un trabocchetto (abbastanza spesso lo è) o se colui che la pone sia cieco e sordo. Non vedo altra possibilità.
La Grande Sostituzione, in effetti, non è un concetto, non è una «teoria», è la realtà di tutti i giorni. Su un certo territorio c'era un popolo, formato da secoli di storia comune; e nello spazio di una sola generazione ce n'è un altro o diversi altri. Per convincersene basta scendere in strada, nel metrò, nei corridoi delle scuole, nella vita reale. Basta aprire gli occhi. Basta, soprattutto, credere ai propri occhi, osare vedere ciò che si vede, ciò che si vive, ciò che si soffre. «Credete ai vostri occhi», ecco il mio messaggio. Non affidatevi ai giornalisti, agli uomini politici, ancor meno ai sociologi e alle loro presunte statistiche con cui vi spiegano ciò che accade. Costoro vi hanno mentito per quarant'anni. Vi hanno mentito sulla scuola, in cui «il livello qualitativo si innalzava», secondo loro, e che oggi è un cumulo di rovine. Vi hanno mentito sulla delinquenza, che stava diminuendo, a sentir loro, e che comunque non aveva niente a che vedere con l'immigrazione. Vi stanno mentendo ancora sul cambiamento di popolo. E se per miracolo smetteranno di mentirvi, sarà per dirvi: «Si, è vero, avete ragione, ma oggi è troppo tardi».
Ebbene, no, non è troppo tardi. La seconda metà del XX secolo ha visto dozzine di popoli sollevarsi contro coloro che li avevano conquistati e che li opprimevano, ritrovare la loro libertà, la loro dignità e la loro indipendenza. Vedete, in questi giorni, in occasione della sua morte, non si fa che parlare di Nelson Mandela, l'ultimo campione della lotta anticolonialista. Egli ha liberato i suoi da una minoranza coloniale installata nel Paese da diversi secoli, opprimente, certo, fatale alla libertà e all'eguaglianza, ma che con il proprio lavoro e il proprio spirito di impresa aveva apportato al Paese una prosperità e delle strutture statali senza paragoni con ciò che passava il convento altrove nel continente africano, e le cui vestigia, ogni giorno più deboli, sono loro ancora molto utili. Noi abbiamo un compito più semplice. I nostri colonizzatori non ci colonizzano del tutto, se colonizzare è anche valorizzare. Non dobbiamo loro la prosperità globale della nazione: al contrario, essi sono largamente responsabili del suo disastro e del disordine che colpisce i conti pubblici.
Essi non mantengono l'ordine appoggiandosi su una severa polizia: al contrario, è tra loro che vengono reclutati la maggior parte degli autori del disordine, dai piccoli furbi della vita quotidiana, che pensano che pagare la metro e contribuire al suo mantenimento sia cosa buona solo per gli indigeni, o per i cani, i sotto-cani (*), fino ai grandi responsabili dell'insicurezza.
Perché dovremmo tremare? Il nostro avversario non è più micidiale di quello di Mandela e degli altri eroi della battaglia anti-colonialista, a cui ci dobbiamo ispirare, poiché è il nostro turno di proteggere il nostro popolo dall'occupazione straniera. Certo è numeroso, questo avversario, sempre più numeroso ogni anno che passa, con il suo contingente infinito di nuovi arrivati, da una parte, e le sue nascite innumerevoli, dall'altra, le quali fanno dire a demografi ciechi, o traditori, o entrambe le cose insieme, incoscienti, che la demografia in Francia va a meraviglia mentre essa non fa che accentuare giorno dopo giorno il cambiamento di popolo e dunque, necessariamente, di civiltà: perché solo una concezione molto bassa dell'uomo e dei popoli può credere che con altri uomini, altre donne, altri popoli, nutriti da altre culture, altre religioni, altre lingue, si possa continuare ad avere la stessa storia, a essere la stessa nazione, a godere della stessa civiltà. La Francia può integrare degli individui, l'ha sempre fatto. Essa non può, se vuole restare se stessa, integrare altri popoli.
L'Algeria appena decolonizzata ha ritenuto che il 10% della popolazione del suo territorio non appartenesse al suo popolo, non fosse compatibile con la sua libertà e indipendenza. Il mondo intero ha compreso molto bene tutto ciò, all'epoca. Esso pensava la stessa cosa della nuova nazione. La posizione dell'Algeria sembrava evidente e legittima alla Terra intera. E questi milioni di europei e di ebrei giudicati inassimilabili sono stati gettati a mare in qualche settimana. E nessuno nel mondo è stato scioccato dalla brutalità inaudita con la quale è stata condotta tale operazione. Ricordate lo slogan «la valigia o la forca»? Il cielo mi è testimone, io non auspico nulla di simile.
Sono presidente di un partito che porta la non-violenza nel suo stesso nome, l'in-nocenza, la non-nocenza, la non-nocività, la volontà di non nuocere. La violenza, la nocenza, non sono dal nostro lato. L'antirazzismo al potere, che è l'altro nome del partito sostituzionista, quello dei partigiani e degli artefici del cambiamento di popolo, ci fa carico di tutti i peccati della Terra; e invece non attacchiamo nessuno, noi, non bruciamo le auto, non scippiamo la borsa alle vecchie signore, non controlliamo il traffico di droga, non abbiamo fatto di Marsiglia la capitale dell'iper-violenza, non lapidiamo pompieri e medici, non facciamo regnare la paura sulle metropolitane e i treni notturni, non abbiamo, sin qui, forzato nessuno a cambiare strada o città.
La regola non scritta dei sostituzionisti, i campioni della Grande Sostituzione, è non solamente il loro eterno e caricaturale «due pesi e due misure», che essi applicano sistematicamente a ogni situazione; è anche il mondo al contrario, in cui gli offesi diventano gli offendenti, gli aggrediti diventano gli aggressori, gli umiliati, derubati, attaccati, sfruttati, importunati in ogni modo possibile diventano i razzisti e gli xenofobi.
E allora, rimettiamolo a posto, questo mondo capovolto dai nostri sostituendi e dai loro amici sostituzionisti, che d'altro canto saranno presto sostituiti a loro volta, quando avranno terminato di giocare il loro ruolo storico di strumenti del disastro e i conquistatori non avranno più bisogno di loro. È d'altronde ciò che si osserva in tutte le grandi città d'Europa, che cadono le une dopo le altre e dove si svelano ogni giorno più apertamente i partiti confessionali e comunitaristi, dopo essersi sbarazzati dei loro mentori socialisti o sostituzionisti (è spesso la stessa cosa). Non è la prima volta che il popolo francese deve battersi per la sua indipendenza e libertà, per rifiutare una conquista di cui è fatto oggetto. Io chiamo tutte le mie energie alla costituzione di una forza che dica «no» al cambiamento di popolo e di civiltà.
(*) Gioco di parole intraducibile fra sous-chiens e souchiens, termine satirico e dispregiativo con cui taluni, in Francia, usano chiamare i «français de souche», cioè i francesi «originari», di «ceppo».
Scusateci, ma non siamo imbecilli. Ho sentito con le mie orecchie Laura Boldrini, poco più di un anno fa, ripetere a una plaudente platea milanese che non esisteva alcuna «emergenza immigrati». Adesso il sindaco di Milano Beppe Sala viene a dirci, tramite letterina stampata ieri da Repubblica, che «in tema di immigrazione è tempo di prendere atto che le condizioni intorno a noi sono profondamente mutate. Non definiamola più emergenza», pontifica il primo cittadino democratico, «oggi siamo nel pieno di una dolorosa, costante problematica da gestire». Se siamo passati da una «non emergenza» a qualcosa di peggio dell'emergenza, significa che qualcuno ci ha nascosto un passaggio. Significa che la Boldrini e gli altri volonterosi Profeti dell'accoglienza attualmente al potere hanno consapevolmente mentito, salvo venire a piagnucolare oggi sostenendo che gli stranieri sono troppi e non riusciamo più ad accoglierli.
Il milanese Beppe Sala, nella sua filippica, mena fendenti a vuoto contro l'Unione europea che «non riesce a controllare i flussi in partenza» e «non riesce a gestire qui le persone che arrivano». Che l'Europa sia totalmente imbelle di fronte all'Invasione è evidente da mesi, e Sala dovrebbe prendersela piuttosto con i suoi capoccia al governo, a cominciare da Matteo Renzi e Angelino Alfano. I quali sono rimasti appesi a Bruxelles come cagnolini al guinzaglio: vertice dopo vertice dopo vertice, ci hanno propinato la fiera dell'inutilità e delle parole vuote. Intanto, le nostre frontiere restavano spalancate. I dati ministeriali aggiornati a ieri parlano chiaro: dal 1 gennaio del 2016 sono arrivati qui 130.561 immigrati, il 5,53% in più rispetto all'anno precedente. Attualmente, nelle strutture d'accoglienza sparse sul territorio italiano ospitiamo quasi 160.000 stranieri, per lo più in Lombardia (13% del totale, al secondo posto la Sicilia con il 9%).
In luglio e in agosto, le autorità italiane hanno esaminato circa 13 mila richieste di asilo politico. Sapete quanti sono coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato? Il 6% dei richiedenti. Gli stranieri che non hanno diritto di restare qui sono il 58%. Vuol dire che la maggioranza degli sbarcati è composta da clandestini, non da «profughi». I quali, a differenza del passato, non ci fanno nemmeno la cortesia di andarsene in altri Paesi, visto che intorno a noi le frontiere sono blindate praticamente ovunque. Già, perché altri Stati europei si sono attrezzati: vacante l'Ue, hanno fatto da soli. Noi no: siamo rimasti in attesa del miracolo di Bruxelles.
Giusto ieri il governo ha dato segni di attività cerebrale e ha annunciato che intende creare una «cabina di regia a Palazzo Chigi» per gestire l'emergenza immigrazione (quella che non esisteva...). Possono creare tutte le cabine che vogliono, comprese cabine telefoniche e cabine armadio. Ma è evidente che non serviranno a nulla, almeno fino a che la parola d'ordine resterà «accoglienza».
Del resto, l'apertura delle frontiere è il diktat che giunge dall'alto. Ieri a New York, l'Onu ha organizzato il primo «summit sui rifugiati e migranti» della sua storia, tra gli invitati figuravano anche Renzi e Alfano. La preoccupazione principale del Segretario generale dell'Onu è la seguente: «Rispondere alla crescente xenofobia e trasformare la paura in speranza». Che commozione, il cuore già ci ballonzola nel petto. «Migranti e rifugiati non sono un peso», ha aggiunto Ban Ki-Moon, «ma un grande potenziale, se solo venisse sbloccato. Dobbiamo cambiare il modo in cui pensiamo a migranti e rifugiati». Di che cosa si lamenta, allora, il povero Beppe Sala? Con tutto il «potenziale» che ha a disposizione per Milano, dovrebbe gongolare. Idem per i cittadini di Como: festeggino, poiché la loro stazione, da settimane, è ricca di un enorme «potenziale» sotto forma di immigrati che bivaccano.
Non siamo imbecilli, dicevamo. Però ci trattano come tali. Adesso, da sinistra, sfoderano la faccia cattiva. Ma, nella realtà, nulla cambia. Ieri il premier britannico Theresa May ha fatto sapere ai signori delle Nazioni Unite che il suo Paese ha «il diritto di proteggere le frontiere». Sapete che cosa ha detto Renzi, invece? Primo: che non esistono legami fra immigrazione e terrorismo, affermazione smentita dai fatti accaduti più o meno in ogni Stato europeo. Poi, il premier ha spiegato che «se l'Europa continua così, noi dovremo organizzarci in modo autonomo sull'immigrazione». Forse a Matteo è sfuggito un particolare: stiamo già facendo da soli. Infatti gli immigrati li prendiamo praticamente tutti noi.