
La guerra in Ucraina è perduta da tempo, forse da quando è fallita l’illusione di una controffensiva da parte di Kiev, ovvero due anni fa. Però ieri, dopo centinaia di migliaia di morti in più, dopo una montagna di miliardi andati in fumo e una terra ridotta allo stremo, abbiamo avuto la plastica rappresentazione della sconfitta. La lite in diretta tv fra Donald Trump e Volodymyr Zelensky rappresenta lo stato della guerra. Sotto gli occhi dei giornalisti è andata in scena la realtà dei fatti, senza le finzioni della diplomazia, senza i sotterfugi con cui in pubblico i politici in genere addolciscono i fatti.
Qualcuno penserà che il duello in mondovisione sia tutta colpa del nuovo presidente degli Stati Uniti e che senza di lui non avremmo assistito a una scena agghiacciante. Ma la verità è che quando le guerre sono perse è meglio dirlo e soprattutto ritirarsi. E questa è un’operazione in cui gli americani, a prescindere da chi ci sia alla Casa Bianca, sono maestri. Quando valutano che non esistano margini per resistere e ribaltare il fronte, abbandonano il campo e lo fanno in tutta fretta, senza mezze parole, senza troppi imbarazzi. È successo in Vietnam, con le immagini che sono passate alla storia degli elicotteri che mettevano in salvo i funzionari dell’ambasciata a Saigon. Una fuga che riconosceva la sconfitta e lasciava il Paese al proprio destino, cioè ai guerriglieri filo comunisti. Più di recente è capitato anche in Afghanistan, con l’abbandono di mezzi militari e di quei civili che avevano aiutato gli americani durante il periodo della gestione alleata. Ora la storia si ripete in Ucraina.
Probabilmente il ritiro da un conflitto che gli Stati Uniti hanno combattuto virtualmente con armi e aiuti sarebbe avvenuto anche con Joe Biden, perché pressato dal Congresso anche lui non sarebbe stato in grado di sostenere una guerra costosa e destinata a protrarsi nel tempo. Con Trump, che dalla sua ha la brutalità e la franchezza dell’uomo d’affari abituato a negoziati duri, l’addio alle armi è stato repentino e senza giri di parole. L’America non ha più intenzione di continuare a sostenere un conflitto che non ha possibilità di essere vinto, ma che probabilmente rischia di estendersi, fino a trasformarsi in una guerra mondiale. E la reazione rabbiosa di Zelensky di fronte al mondo appare per quel che è: un gesto di stizza, una mossa disperata, forse una reazione orgogliosa ma che è soprattutto la rappresentazione della sconfitta. È dura riconoscerlo, ma le parole con cui il presidente americano ha liquidato quello ucraino sono la pura verità: senza l’aiuto degli Stati Uniti, Kiev non avrebbe potuto resistere due settimane di fronte ai carri armati russi. Si può anche dire che senza gli Usa probabilmente la guerra non ci sarebbe stata o per lo meno non sarebbe così lunga lunga e sanguinosa, perché un cessate il fuoco con qualche concessione alla Russia nei primi mesi era possibile. Di sicuro il sostegno occidentale ha motivato Zelensky e l’Ucraina a resistere, lasciando loro credere che avrebbero potuto farcela a ricacciare indietro i soldati di Vladimir Putin. A un certo punto, con la retorica delle sanzioni, della pace giusta, della difesa dei principi democratici, l’America e gli alleati hanno illuso Kiev che fosse addirittura possibile riprendersi la Crimea e il Donbass occupato undici anni fa.
Tre anni di morti e devastazioni, tre anni di crisi economica e di instabilità geopolitica hanno però dimostrato il contrario e fatto cadere il velo di ipocrisia di un Occidente che è disposto a combattere per gli ideali di libertà e pace ma solo a patto che a farlo siano gli altri. Si è finanziata una guerra per procura, la difesa della democrazia con il sangue degli ucraini, ben sapendo che nessuno, non gli americani ma nemmeno gli europei, era disposto a versarne una sola goccia. Così, mille giorni dopo, siamo di fronte alla realtà. L’America è stanca del conflitto e lo è anche l’Europa, sebbene i suoi governanti fingano di non saperlo. Trump, dopo avergli detto che il presidente ucraino gioca con la vita di milioni di persone, ha cacciato Zelensky dalla Casa Bianca. Noi che faremo? Continueremo a dire che non si può darla vinta a Putin? Sì, nessuno vuole alzare bandiera bianca di fronte a un dittatore, ma l’alternativa qual è? Questa è la domanda che avremmo dovuto farci tre anni fa, ma è soprattutto la risposta che avremmo dovuto darci da quando è iniziata la guerra.