A Largo del Nazareno, sede del Pd, pare stiano già facendo gli organigrammi della prossima segreteria, quella che verrà dopo il 25 settembre. Per lo meno questo è ciò che si dice. Magari sarà una perfidia di chi considera Enrico Letta un perdente abbonato agli insuccessi e non vede l’ora di rispedirlo a Parigi, tuttavia una cosa è certa: nel partito non scommettono un euro sulla vittoria del centrosinistra.
Al punto che più d’un dirigente confida: «Il problema non è se domenica prossima perdiamo, ma come perdiamo». L’aria che tira infatti non dà alcuna chance alla coalizione capitanata dall’ex docente di Sciences Po, e le chiacchiere messe in circolo negli ultimi giorni a proposito di una rimonta che consentirebbe al Pd e ai suoi alleati di fermare l’avanzata del centrodestra, sarebbero un banale tentativo di rianimare il morale dei militanti, finito sotto i tacchi dal giorno in cui Letta ha ristretto il campo largo, chiudendo la porta ai 5 stelle e anche al centrino di Carlo Calenda. Del resto, se una legge stupida, voluta proprio dalla sinistra, non imponesse di nascondere i sondaggi nell’ultimo periodo di campagna elettorale per evitare che gli elettori vengano influenzati, sapremmo come stanno le cose e come si stanno orientando gli italiani. E probabilmente scopriremmo ciò che nelle segrete stanze del Partito democratico si dice a mezza voce.
Significative, a questo proposito, sono le frasi di alcuni dirigenti del Pd riportate fra virgolette, con garanzia di anonimato, dall’Huffington post, il giornale online che fiancheggia Repubblica. «Più d’uno ammette: il brand non tira più, il giocattolo non funziona… Il cuore in campagna elettorale, la testa al congresso… i democratici camminano su due strade verso il 25 settembre». Insomma, mentre straparlano di vittoria nei comizi in piazza (in uno Michele Emiliano prometteva di trasformare la Puglia nella Stalingrado d’Italia, costringendo il centrodestra - letterale - a sputare sangue), in privato i compagni affilano le armi e - a scriverlo è ancora l’Huffington post - lo scenario che si profila è: «Un lungo day after di un partito che ha perso le elezioni e si consuma in una lite furibonda tra sconfitti, con le truppe parlamentari balcanizzate tra lettiani, sinistra ed ex renziani». I primi a pensare al modo migliore per disfarsi del segretario sono peraltro coloro che Letta lo hanno voluto segretario. Da Franceschini a Orlando, passando per Provenzano, in queste ore tutti danno Letta per spacciato, anche se ovviamente giureranno il contrario (oggi, infatti, metto in conto una smentita dei sopraccitati). È dovuta a questo fermento la nascita di voci su improbabili candidature ai vertici del partito, tra cui anche la discesa in campo di Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell’Anci. L’ala sinistra del partito lo vorrebbe schierare contro il governatore dell’Emilia-Romagna, ossia contro l’uomo che per molti sarebbe il miglior segretario possibile. Stefano Bonaccini è infatti inviso alla nomenklatura e dunque c’è un certo numero di dirigenti Pd che si sta dando da fare per tagliargli le gambe.
Sì, mentre gli italiani sono alle prese con le bollette e con le conseguenze del Covid e della guerra, a Largo del Nazareno si prepara la resa dei conti. Sempre l’Huffington post: «Vanno alle urne con l’obiettivo di strappare quanti più voti al centrodestra, ma ognuno si chiede che cosa accadrà dopo. Non mancano i veleni. Si avverte, come dire, un certo disimpegno. Probabilmente, c’è chi ha puntato sulla sconfitta».
La realtà è che il congresso del Pd, come ebbe a dirmi un dirigente del partito, è cominciato il giorno stesso in cui Letta ha approvato le liste per le elezioni, inserendo alcuni ed escludendo altri. Da lì in poi è partita la guerra, anche perché il 17 settembre scadrà l’assemblea nazionale ed entro la primavera, secondo lo statuto, dovrebbe svolgersi l’adunata dei grandi elettori del Pd, quella che voterà il nome del nuovo segretario. E Letta non pare in corsa. Anche perché, se sono vere le cifre lasciate intendere dall’Huffington post, Sottiletta, il segretario più impalpabile di sempre, a marzo potrebbe aver già traslocato. «I sondaggi (quelli che ufficialmente non si possono pubblicare, ndr) registrano un calo di consensi (uno, due punti ma comunque un calo) e le ambizioni si sono ridimensionate. Io non credo che scenderemo sotto il 20 per cento. Ma cambia poco», ragiona un candidato. È vero, cambia poco, ma c’è una cifra che potrebbe cambiare molto e diventare uno tsunami che spazzerebbe via Enrichetto all’istante: 18,7. È quello che prese Matteo Renzi nel 2018, il peggior risultato mai conseguito dal Pd.
Una cifra impossibile? Non è detto. Nelle ultime settimane, i 5 stelle, grazie alla campagna sul reddito di cittadinanza, soprattutto al Sud hanno invertito la tendenza, come accadde cinque anni fa, e sempre a scapito del Pd. Non a caso Giuseppe Conte si è praticamente trasferito in Puglia e altrettanto non a caso c’è chi ipotizza per i pentastellati un risultato al di sopra delle attese. Se i grillini tornassero sopra il 15 per cento, domandarsi se «il giocattolo» di Largo del Nazareno funziona ancora non sarebbe inutile. Anche perché, con il 15 per cento, Conte potrebbe lanciare un’Opa proprio sul Pd. Altro che campo Largo, quello di Letta sarebbe un camposanto.