Scendiletta, un uomo votato ad arrendersi

Scendiletta, un uomo votato ad arrendersi
Enrico Letta (Ansa)
Il tiepido Enrico si fa prendere a sberle dal Bullo dei Parioli, tutto chiacchiere e niente voti. Così Luigi Di Maio, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni hanno alzato il prezzo. Ma l’unico punto in comune con la banda di sinistrati sono le tasse. Da #enricostaisereno a #enricostaialcapolinea.

Povero Scendiletta, chi avrebbe immaginato che si sarebbe ridotto a fare da zerbino a un tipo come Carlo Calenda. Quando le tribù del Pd lo acclamarono come segretario, rinunciando al rito delle primarie per un’incoronazione plebiscitaria, nessuno poteva pensare che sarebbe finito così, cioè a fare da stuoino al bullo dei Parioli e a Di Maio e compagni. Richiamato in fretta e furia da Parigi, dove insegnava alla prestigiosa Sciences Po, università in cui si era ritirato dopo aver ceduto la campanella di presidente del Consiglio a Matteo Renzi, Sottiletta Enrico, meglio conosciuto come il Nipotissimo per la parentela con il braccio destro di Silvio Berlusconi, fu incaricato di fare dimenticare Nicola Zingaretti. Dopo aver scambiato Giuseppe Conte per il punto di riferimento dei progressisti italiani, il governatore del Lazio se n’era andato sbattendo la porta e accusando la classe dirigente del partito di pensare solo alle poltrone. Così qualcuno deve aver creduto che un uomo senza poltrona sarebbe stato perfetto per tenere a bada coloro che miravano a conquistarne una. Purtroppo non avevano fatto i conti con il carattere conciliante di Scendiletta, uomo più versato alla mediazione che all’azione.

Di quanto poco fosse pronto alla lotta lo aveva già dimostrato nel passato, quando da sottosegretario alla presidenza del Consiglio gli furono affidati i più scottanti dossier. Per evitare scontri, Sottiletta praticamente s’inabissò nei meandri di Palazzo Chigi, facendosi dimenticare per due anni, salvo poi riemergere un anno dopo come vicesegretario di Pier Luigi Bersani, posto che conservò senza che nessuno se ne accorgesse fino a quando fu scelto da Giorgio Napolitano per fare il premier. Anche questo incarico non fu memorabile, tant’è che durò meno di un anno.Matteo Renzi infatti, lo liquidò in un amen appena diventato segretario.

La carriera politica sarebbe potuta finire così, con un addio sofferto immortalato dalla consegna della campanella a rappresentare tutto lo sdegno dell’uomo. Ma come dicevo, dopo il disastro di Zingaretti, a Goffredo Bettini e compagni è venuta l’idea di richiamarlo in servizio, dunque eccoci qui, alle prese con un uomo votato alla resa. Che buttasse male lo si poteva capire fin dal principio, ossia quando, travolto da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, Scendiletta si ritrovò nel pieno della campagna elettorale privato della sponda dei 5 stelle. Fino a prima che il governo cadesse, Enrico il tiepido aveva sempre fatto conto sulla stampella grillina, coltivando la teoria del campo largo per poter far mettere radici a un’alleanza giallorossa. Ma quando il governo Draghi è caduto per mano di Giuseppe Conte, il campo improvvisamente si è ristretto e per di più si è accorciato anche l’orizzonte elettorale: invece della primavera dell’anno prossimo, il 25 settembre di quest’anno. Senza l’alleato pentastellato e senza una nuova legge elettorale, Sottiletta si rese conto di dover cercare in fretta nuovi compagni di viaggio e così iniziò la trattativa per comporre un difficile accordo. Escludendo i grillini, al povero Enrico restavano gli avanzi di Di Maio, i comunisti di Fratoianni, i Verdi di Bonelli e i voltagabbana di Calenda. Sciaguratamente cominciò da questi ultimi. Forse pensava che con un moderato tendenza Parioli sarebbe stato più facile e invece finì con 70 a 30, ossia con la promessa di cedere quasi un terzo dei collegi uninominali a un partito che la maggior parte dei sondaggi accredita di un 3-4 per cento.

Forse a Scendiletta l’intesa è parsa un buon affare, ma in realtà è stato l’inizio della fine. Infatti, farsi taglieggiare da un tipo come Calenda, tutto chiacchiere e niente voti, ha prodotto la reazione degli altri, i quali hanno cominciato ad alzare il prezzo. Di Maio, che era pronto ad accettare di essere candidato da solo nelle liste del Pd, ha iniziato a batter cassa e così pure Bonelli e Fratoianni. Risultato, il numero dei posti a disposizione della truppa Pd si è ridotto drasticamente e in cambio sono cresciuti a dismisura i malumori all’interno del partito.

Come se non bastasse, Calenda, che pensava di essere il numero uno dell’alleanza, si è reso conto di essere in cattiva compagnia. Lui che si riempiva la bocca con l’Agenda Draghi, alla fine avrebbe dovuto fare i conti con dei compagni di viaggio che l’Agenda Draghi erano pronti a bruciarla. Quindi, nonostante Sottiletta avesse accettato le condizioni del Bullo dei Parioli, concedendogli il 30 per cento dei posti e pure rinunciando a candidare quegli altri nei collegi uninominali, alla fine il fondatore di Azione gli ha voltato le spalle. Così, il tenero Enrichetto non soltanto ha perso i pezzi prima ancora di cominciare, ma si ritrova con un’alleanza che pende pericolosamente a sinistra. Difficile infatti presentarsi come custode del Pnrr e continuatore della politica di Mario Draghi con una compagnia di giro che non vuole né le trivelle né i rigassificatori, è contraria alla Nato e pure all’invio di armi all’Ucraina. Alla fine, l’unico punto in comune con la banda di sinistrati sono le tasse, che Scendiletta vorrebbe imporre anche ai defunti, aumentando l’imposta di successione, e quegli altri vorrebbero estendere a chiunque non sia sotto la soglia di povertà.

Certo, nessuno poteva immaginare che il segretario del più grande partito della sinistra sarebbe finito a fare lo zerbino dei micropartitini della sinistra, costretto a rincorrere Giuseppe Conte pur di non consegnarsi a una devastante sconfitta, ma tant’è. Da #enricostaisereno di renziana memoria siamo passati a #enricostaialcapolinea. E il 25 settembre finisce il viaggio.

Grande fratello alla Procura di Roma. Spiati e intercettati pm e finanzieri
Il procuratore di Roma, Francesco Lo Voi (Imagoeconomica)
Per una sospetta fuga di notizie, messi sotto inchiesta con captazioni ambientali gli uomini delle Fiamme gialle che lavorano con gli inquirenti. Risultato: «ascoltati» anche tutti i magistrati che passavano di lì. Ecco i retroscena di un caso mai raccontato.
Mattarella tace sulle toghe fuori controllo
Sergio Mattarella (Imagoeconomica)

La storia che Giacomo Amadori racconta oggi sulla Verità è un effetto collaterale di un sistema fuori controllo. Apparentemente non c’è nulla di incredibile nell’indagare anche chi ricopre funzioni di polizia giudiziaria: pure tra le forze dell’ordine ci sono mele marce. Ma l’aspetto sorprendente dell’indagine avviata dal procuratore capo di Roma, quel Francesco Lo Voi al centro delle polemiche per aver iscritto il premier nel registro delle notizie di reato, è che oltre ad aver messo sotto controllo tutti gli uomini della Guardia di finanza distaccati presso la Procura, sospettandoli di aver violato il codice, l’alto magistrato ha lasciato che venissero intercettati indirettamente alcuni suoi colleghi.

K.I.S.S. | L'orgoglio di Aristide

A Torino, nei primi del Novecento, un giovane ingegnere fece la fortuna di un celebre imprenditore e poi se ne andò dall'azienda per costruire aeroplani. Il suo fu il primo aereo completamente italiano a volare con un pilota italiano.

Angelo Emo: l'ultimo ammiraglio che cercò di salvare la «Serenissima»
Angelo Emo in un ritratto di fine Settecento

Negli ultimi anni della Repubblica di Venezia si impegnò in una guerra di tre anni contro i pirati barbareschi di Tunisi nel tentativo estremo di salvare la declinante potenza di Venezia e riformarne un governo ormai cristallizzato. La sua morte rappresenta ancora un «giallo».

Le Firme

Scopri La Verità

Registrati per leggere gratuitamente per 30 minuti i nostri contenuti.
Leggi gratis per 30 minuti
Nuove storie
Preferenze Privacy