Sorvolando sulla notevole quantità in cui si è avvolto (non da oggi), bisogna riconoscere a Roberto Saviano di aver svolto una fenomenale opera di disvelamento. Da giorni l’autore di Gomorra rilascia interviste e scrive articoli per denunciare quella che secondo lui è una persecuzione da parte delle autorità, e cioè il fatto che sia finito a processo, accusato di diffamazione, per aver dato dei «bastardi» a Giorgia Meloni e Matteo Salvini. È una situazione in cui i giornalisti e i cosiddetti «intellettuali pubblici» si trovano spesso e sempre malvolentieri, anche quando non si esprimono attraverso insulti ma tramite inchieste o articoli garbati. A nessuno, o comunque a pochissimi, tuttavia, salta in mente di sbattere pentole e bicchieri o di pretendere che il mondo intero si mobiliti al fine di difenderli.
Saviano, invece, sostiene di avere diritto a una sorta di scudo protettivo, a una immunità garantitagli dal fatto di essere «uno scrittore». E non uno scrittore qualsiasi, ma «Lo Scrittore Impegnato» per definizione, uno scrittore di sinistra, uno che si batte a sostegno di cause che per definizione sono giuste. In sostanza: se Saviano chiama qualcuno «bastardo» deve avere per forza ragione, perché lui sta dalla parte del Bene, e chi lo contrasta è di conseguenza schierato con il Male.
Il fatto è che lo scrittore campano non è l’unico a ragionare in questo modo. A ben vedere, la narrazione imposta dalla sinistra è esattamente la stessa e abbraccia tutte le questioni, tutti i discorsi, tutti gli eventi. La sintesi è fin troppo facile: loro possono dire e fare ciò che vogliono perché sono nel giusto, anzi sono i Giusti.
Dunque Saviano può insultare e guai a sfiorarlo: i suoi amichetti e amichette e amichett* del giro che conta sono pronti a insorgere su tutti i quotidiani. In compenso, fior di giornalisti e artisti possono essere sbattuti in prima pagina come «putiniani» e nessuno vip della cultura alza un sopracciglio. Da una parte c’è uno che dà dal bastardo a un politico; dall’altra c’è chi (molto meno ricco e famoso) finisce alla gogna perché esprime opinioni distanti dalla linea governativa: dite, chi è vittima di intimidazione?
Ai Buoni tutto è concesso, ai Cattivi si negano anche i diritti fondamentali. A decidere chi sia buono e chi cattivo, in ogni caso, è il potere, e lo fa a suo piacimento, manipolando il linguaggio e riscrivendo i fatti. Qualche altro esempio? Laura Boldrini si porta il fidanzato agli incontri ufficiali? Niente di male. Ma se Giorgia Meloni si fa accompagnare dalla figlioletta, ecco che i raffinati editorialisti insorgono: «La Meloni sbaglia perché ora la sua vita privata è pubblica gli occhi delle donne sono tutti su di lei», ha scritto ieri Caterina Soffici sulla Stampa. Certo che la vita di Giorgia ora è pubblica, ma dove sta il problema se ella, pubblicamente, si porta appresso la figlia? È un gesto umano, e pure politico: la madre può lavorare e stare in cima al mondo e allo stesso tempo sorridere e curare la sua bambina.
Eppure, pensa un po’, a sinistra questo non va bene: la Meloni è tra i cattivi, e bisogna che scelga, o mamma o premier. Vi ricordate, giusto per restare sul tema pubblico/ privato, quanto si spesero i progressisti per difendere Sanna Marin che si scatenava in discoteca? In quel caso, la privacy della politica finlandese la difendevano eccome, perché - appunto - Sanna è tra i buoni, e Giorgia no.
E se per caso la Meloni fa qualcosa di «buono» - cioè qualcosa che alla sinistra piace - si dice che sia per merito di Mario Draghi o di Sergio Mattarella, che sono intervenuti «purificando» un’azione altrimenti negativa. Ma se Sergio Mattarella firma il decreto antirave che la sinistra non vuole, in quel caso si fa finta di nulla, il presidente non lo si tira in ballo, anzi si dice che abbia in qualche modo subito la decisione.
Buoni e cattivi, come sempre. Sono buoni gli ucraini, e se bombardano i civili nel Donbass hanno le loro ragioni. Sono cattivi i russi e se i missili di Kiev cadono in Polonia e ammazzano gente è comunque colpa loro, non di Volodymyr Zelensky, al quale è concesso persino di tirare la volata alla terza guerra mondiale. Quanto ai polacchi, beh, in teoria sarebbero cattivi perché - come ebbe a dire Enrico Letta - cancellano i diritti delle minoranze. Se, però, gli stessi polacchi divengono avanguardia dei buoni nel sostenere la guerra contro i russi (che sono i più cattivi di tutti), allora li si perdona, e Letta li può chiamare fratelli, amici.
Il gioco in fondo è semplice: basta aderire alla narrazione corretta. Un tempo il potere derivava da Dio, poi è passato nelle mani del popolo divinizzato, ora è gestito da minoranze che si autoproclamano divine. Queste minoranze producono miti, cioè racconti, narrazioni. E chi mette in dubbio il mito, chi «non crede» finisce automaticamente tra i deplorevoli. Il sottosegretario Marcello Gemmato «non crede» al vaccino? Egli «nega» la veridicità del mito? Sia maledetto, perché ha offeso gli dei. Dunque gli tocca scusarsi, fare ammenda, sacrificare una giovenca in segno di contrizione. Non importa se ciò che Gemmato ha detto sia vero oppure no: è dirimente l’aderenza alla narrazione.
Il ministro Giuseppe Valditara scrive una letterina per ricordare agli studenti gli orrori del socialismo reale e del gulag? Benché dica cosa vere, lo si attacca. E se non vuol farsi macellare, se vuol risultare almeno in parte credibile, egli è costretto ad appigliarsi al mito resistenziale: il valore delle sue parole non dipende dalla quantità di realtà che esse contengono, ma dal fatto che il padre di Valditara sia stato o meno un partigiano, e per quanto, e dove, e con chi.
Il buono non deve rendere conto a nessuno delle proprie azioni, il cattivo si deve scusare anche (e soprattutto) quando ha ragione. Non deve chiedere scusa per ciò che ha detto, ma per ciò che è: deve farsi perdonare di non far parte del novero dei buoni, deve scusarsi di aver vinto le elezioni o di non possedere la tessera del Pd.
È per questo che le scuse e le giustificazioni (a volte un filo patetiche) della destra sono sempre inutili, così come le concessioni che da troppo tempo i conservatori fanno alla narrazione dominante. Non capiscono, i destrorsi, che la contestazione non è rivolta al contenuto dei loro discorsi, ma alla fonte da cui provengono. Il logos, la parola divina, è parola di verità. Ma il mito, la narrazione, con la verità non ha che una lontana parentela, e può cambiare a piacimento.
Il buono può dire ciò che desidera, il cattivo no. Di più: il cattivo non dovrebbe nemmeno esistere. E poiché si ostina a farlo, bisogna per lo meno fare in modo che taccia.