Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità, o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande. Parto da questa citazione di Adriano Olivetti perché è stato forse il primo, più grande, rivoluzionario d’impresa italiano. In questo podcast abbiamo provato a disegnare i ritratti di altri uomini e donne, viventi e non, che hanno lasciato il segno sulle pagine delle storia economica di questo Paese. Alcuni esprimendo un potere di lunga durata, altri portando la direzione di un intero settore produttivo verso la modernità. Quasi tutti hanno avuto grandi maestri ma pochissimi allievi. Una generazione senza eredi, solisti spesso irripetibili. Hanno vissuto da dentro il succedersi dei principali fatti dell’industria e lo sviluppo delle tecnologie più avanzate che hanno caratterizzato la vita economica e sociale dell’Italia. Hanno gestito i successi e i grandi passi avanti compiuti ma hanno anche conosciuto le conseguenze della nostra debolezza strutturale in aree strategiche. Ritratti racconta le storie di personaggi visionari capaci di fare, di realizzare strategie, di convincere sé stessi prima degli altri, di giocarsi la scena per un’idea, di preoccuparsi del dopo e non del prima. Imprenditori, manager, banchieri. Italiani e italiane che, impiegando capitali propri o gestendo capitali pubblici, con metodi, risultati e principi diversi, hanno costruito nei quasi 80 anni della Repubblica un sistema industriale, che pur tra alti e bassi ha collocato l’Italia tra i dieci Paesi più ricchi del mondo. Perché se l’economia è il motore della storia, l’uomo è il motore di entrambe.
Durante i colloqui tenutisi a Riad martedì scorso, americani e russi hanno stabilito di voler trattare non soltanto della crisi ucraina ma anche di altri dossier geopolitici. È chiaro che tra questi figurano soprattutto Siria e Iran. Tuttavia, attenzione: non è escludibile che sul tavolo possa finire anche la Libia.
Dimmi La Verità | ospite l'on. Riccardo Zucconi, responsabile dipartimento energia di Fdi
Ecco #DimmiLaVerità, ospite l'on. Riccardo Zucconi, responsabile dipartimento energia di Fdi. L'argomento del giorno è: "Cosa può fare il governo contro l'aumento delle bollette".
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L’Africa la regione più instabile, mentre in Sudamerica sovvertire il potere è una prassi. In Birmania il colpo di Stato avviene in diretta Facebook, mentre una content creator fa i balletti a Naypyidaw, la capitale.
Tecnicamente, si parla di colpo di Stato «intendendo un fatto contro la legge e al di fuori della legge, volto a modificare il vigente ordinamento dei pubblici poteri». In alcune regioni del mondo, come l’Africa e il Sudamerica, hanno avuto un impatto profondo, determinando la caduta di governi e l’instaurazione di regimi militari o autoritari. L’Africa è senza dubbio la regione con il più alto numero di colpi di Stato. Dal periodo delle indipendenze a oggi, molti paesi hanno vissuto frequenti rovesciamenti di governo, spesso per mano di militari o gruppi armati. Tra i Paesi africani più colpiti troviamo il Sudan, che ha subito un golpe nel 2019 con la deposizione di Omar al-Bashir, al potere dal 1989. Due anni dopo, nel 2021, un altro rovesciamento ha destabilizzato ulteriormente il Paese, portando a una nuova transizione politica, ancora oggi incerta. Al Sudan fanno seguito Mali, Guinea, Tunisia e Burkina Faso, che tra il 2021 e il 2022 hanno visto i rispettivi governi sovvertiti.
Analizzando il caso maliano si evince la complessità di quanto accennato sopra. Il Mali è stato teatro di diversi colpi di stato negli ultimi anni: un fatto che riflette una crisi politica e istituzionale profonda. Nell’agosto del 2020 un gruppo di ufficiali dell’esercito maliano ha destituito il presidente Ibrahim Boubacar Keïta. La crisi politica era già in corso da mesi, con proteste di massa, che denunciavano corruzione, cattiva gestione economica e insicurezza causata dalla presenza di gruppi jihadisti nel Paese. Il colpo di stato era stato orchestrato da militari di alto rango, tra cui il colonnello Assimi Goïta, che aveva poi assunto il ruolo di vicepresidente nel governo di transizione. La giunta giustificava l’azione con la necessità di «salvare il Paese dal caos», promettendo elezioni democratiche. Ma il periodo di transizione è stato tutt’altro che stabile. La promessa di una transizione pacifica è durata poco: nel maggio 2021, Assimi Goïta rimuoveva il presidente di transizione Bah Ndaw e il primo ministro Moctar Ouane, accusandoli di tentare di sabotare la giunta militare. Così facendo Goïta si era assicurato il potere, con conseguente nomina di presidente ad interim.
Un anno dopo, il governo maliano annunciava di aver sventato un tentativo di colpo di stato da parte di un gruppo di ufficiali. Secondo le autorità, i cospiratori erano «sostenuti da uno stato occidentale», senza specificare quale, e volevano «destabilizzare il regime di transizione». Un pretesto per rafforzare la repressione? A partire da quel momento sono scattati arresti tra gli ufficiali sospettati e ulteriori restrizioni alla libertà di stampa e politica. Sul piano internazionale il Mali ha raffreddato i rapporti con la Francia, rafforzando invece la cooperazione con la Russia, anche attraverso il gruppo paramilitare Wagner.
A chiudere la serie dei golpe africani c’è il Gabon, dove nel 2023, dopo le elezioni generali e la dichiarazione della vittoria del presidente Ali Bongo, con un colpo di mano i soldati della guardia presidenziale hanno annunciato l’annullamento delle elezioni e la «dissoluzione del regime».
Particolare invece il caso della Tunisia, che si pone sul limite di quella zona grigia in cui non si sa se parlare di un vero e proprio golpe. Nel 2021, il presidente Kaïs Saïed si era attribuito unilateralmente pieni poteri costituzionali, revocando i membri del governo e congelando le attività del parlamento, sciogliendo quindi di fatto l’organo. Il destro per mettere in pratica il suo disegno di accentramento del potere glielo aveva fornito l’instabilità in cui in quel momento il Paese versava a causa della pandemia di Covid.
Attraversando l’Atlantico meridionale ci spostiamo in Sudamerica, una terra che ha alle spalle una lunga storia di colpi di Stato, molti dei quali durante la guerra fredda, quando gli equilibri tra Stati Uniti e Unione Sovietica influenzavano pesantemente la politica locale. L’ultimo golpe significativo in America Latina è stato quello che in Bolivia ha portato alla caduta di Evo Morales nel 2019. Dopo una controversa elezione, il presidente era stato costretto a lasciare il Paese a seguito di pressioni militari e proteste di piazza, non senza agitazioni, tra chi vedeva la deposizione di Morales come un atto necessario per ristabilire la democrazia e chi, invece, lo considerava un attacco alla volontà popolare.
Nel XX secolo, Paesi come il Cile, con il golpe di Augusto Pinochet nel 1973, l’Argentina, con la dittatura del 1976-1983 e il Brasile (1964) hanno vissuto drammatici rovesciamenti di governo che hanno lasciato cicatrici profonde nelle società.
E se dalle Ande prendiamo un volo e ci spostiamo in quel del Mediterraneo, scopriamo che i colpi di Stato non sono soltanto episodi esotici che accadono nel Terzo e nel Quarto mondo. Il 15 luglio 2016 una fazione delle forze armate turche, in particolare ufficiali appartenenti all’esercito, all’aeronautica e alla gendarmeria, avevano tentato di sovvertire il governo di Recep Tayyip Erdoğan. I golpisti si erano identificati come il Consiglio per la pace nella Nazione (Yurtta Sulh Konseyi), dichiarando che il loro obiettivo era «ristabilire la democrazia e i diritti umani in Turchia». Avevano preso il controllo di alcune infrastrutture chiave, tra cui ponti a Istanbul e la sede della TV di Stato, e avevano dichiarato la legge marziale. Tuttavia, il tentativo fallì rapidamente grazie alla resistenza del governo, della polizia e di migliaia di cittadini che erano scesi in piazza su invito di Erdoğan.
Il governo turco attribuì il golpe alla rete di Fethullah Gülen, un predicatore islamico in esilio negli Stati Uniti, accusandolo di aver infiltrato istituzioni statali, incluse le forze armate, attraverso la sua organizzazione. In reazione a questo tentativo di Putsch, Erdoğan aveva avviato una vasta repressione, arrestando migliaia di militari, funzionari pubblici e giornalisti accusati di complicità.
Infine, non possiamo non concludere raccontando del golpe birmano del 2021, forse il più assurdo della storia recente. Khing Hnin Wai, insegnante di educazione fisica e di aerobica e content creator birmana, stava girando uno dei suoi video sul viale principale della capitale Naypyidaw, quando alle sue spalle erano spuntati i carri armati e i mezzi corazzati dell’esercito birmano che andavano a deporre l’ex leader Aung San Suu Kyi. La donna aveva affermato di non essersi accorta di nulla, impegnata com’era nei suoi balletti.