Bisogna essere prudenti. Ci sono le varianti. Poi c'è la terza dose che saremo costretti a fare in autunno. Insomma, la pandemia non è ancora dietro le spalle e dunque bisogna continuare a tenere la mascherina almeno fino a luglio. Risultato, occorre stare all'erta, che poi significa mantenere l'emergenza. Anzi: lo stato d'emergenza, con tutto ciò che ne consegue.
Ovvero, come ha spiegato l'altro ieri il ministro della Salute, il Comitato tecnico scientifico, la struttura commissariale anti Covid e i protocolli che abbiamo imparato a conoscere in un anno e mezzo. Ora, noi non siamo né No vax, né coltiviamo strane teorie cospiratorie a proposito del coronavirus. Tuttavia, la pervicacia con cui non si vogliono allentare alcune misure ci pare, se non sospetta, per lo meno poco giustificata e rischia nel futuro prossimo di crearci qualche problema. Ci spieghiamo. Se rimangono in vigore le direttive con cui abbiamo convissuto, ossia i rigorosi indici che nostro malgrado sono diventati famigliari, ossia parametri come Rt e R0, c'è la concreta possibilità che, passata l'estate, ci rinchiudano di nuovo in casa, ricominciando con la storia del semaforo regionale che passa da bianco a giallo e da arancione a rosso. Infatti, gli indicatori che segnalano il tasso di contagi non sono costruiti per informarci sullo stato di salute dei malati, ma solo per registrarne il numero e dunque al minimo rialzo della contabilità degli infetti si rischiano le misure capestro con cui abbiamo avuto a che fare dalla primavera dello scorso anno.
Non sono stato chiaro? Beh, mi scuso, ma la materia è complessa. Le obiezioni che sto muovendo nascono dalla constatazione che secondo diversi operatori sanitari ormai siamo in una fase diversa della pandemia, in quanto la campagna vaccinale sta facendo i suoi effetti. Guardando gli ultimi dati pubblicati sul sito del governo, a oggi l'84,30% degli ultraottantenni ha ricevuto la seconda dose del farmaco anti Covid e il 91,61% è stato inoculato con almeno una dose. Per quanto riguarda i settantenni, ad aver anche il richiamo della vaccinazione è il 43,54% della popolazione, mentre l'83,85% si è sottoposto almeno alla prima iniezione. Si scende un po' con i sessantenni, perché la percentuale di coloro che hanno completato il ciclo vaccinale è al 36,47, mentre sale al 73,88 se si considera la prima dose. Quanto ai cinquantenni, un quarto ha già ricevuto entrambe le iniezioni e il 63,01% si è sottoposto solo a quella iniziale. Tuttavia, si può presupporre che da qui a fine mese, procedendo con il ritmo di 500.000 inoculazioni al giorno, le percentuali consentiranno di dichiarare coperta la quasi totalità delle persone considerate più a rischio.
Come ci hanno spiegato fino allo sfinimento i virologi da prima serata (ma, ahinoi, anche il lungo elenco dei decessi), i pericoli maggiori riguardano le cosiddette persone fragili, ovvero gli anziani, in particolare gli ultraottantenni e i settantenni. Salvo rare eccezioni, dovute però anche a patologie pregresse, i più giovani se la cavano più facilmente, a volte senza neppure ricorrere agli ospedali. Del resto, come abbiamo avuto prova, il virus si è diffuso anche a causa dei cosiddetti asintomatici, cioè di persone che pur essendo positive non avevano alcun sintomo che facesse intuire che erano state contagiate dal coronavirus. E chi erano spesso questi asintomatici? I più giovani, a volte i ragazzi che si beccavano il Covid in un'aula scolastica o durante l'happy hour senza neppure accorgersene e poi lo portavano a casa, contagiando i genitori o i nonni.
Ma se in famiglia le persone più su d'età sono coperte dal vaccino, il virus diventa meno pericoloso, perché alla fine l'immunità di gregge e la minore aggressività sui giovani lo rendono meno temibile. O per lo meno questo è ciò che ci ha spiegato quella nuova categoria di intrattenitori serali che risponde al nome di virologi. Sono loro ad averci detto che, grazie al vaccino, si rischia di meno e che, anche se ci si contagia perché i farmaci non hanno una copertura del 100%, soprattutto con le varianti, il pericolo è minore, in quanto si è positivi, ma non si finisce in terapia intensiva. Dunque, se sono veri tutti questi presupposti, e cioè i pericoli diminuiscono, che senso ha mantenere lo stato di emergenza? Comprendiamo la situazione di Roberto Speranza, vedovo inconsolabile dei dpcm e delle chiusure, però la logica vuole che le misure straordinarie con cui abbiamo fatto i conti per un anno e mezzo vengano messe da parte. Anche perché, se non lo fossero, potrebbe venirci il sospetto che la condizione d'emergenza serva a nascondere ciò che non è stato fatto, ovvero il rafforzamento degli organici ospedalieri, l'aumento delle terapie intensive, il raddoppio dei mezzi di trasporto per evitare pericolosi assembramenti su autobus e metropolitane... Pensiamo male? Può essere. Ma l'Italia è il Paese dove le misure straordinarie fanno in fretta a diventare ordinarie. E noi vorremmo evitarlo.