Quando la sinistra schifa una legge decide che si può (e si deve) violare
Che si fa se una legge non ti piace? Semplice, si applica la disobbedienza consapevole. Basta stabilire che lo Stato di diritto si è trasformato in uno Stato di arbitrio e oplà, il gioco è fatto: siete legittimati a disobbedire, perché siete «consapevoli». Anzi: siete eroi della Costituzione. La dotta spiegazione giuridica l’ha fornita ieri, dalla prima pagina di Repubblica, Gustavo Zagrebelsky, già presidente della Corte costituzionale, ma soprattutto da anni in prima fila nelle battaglie contro il centrodestra dagli spalti di Giustizia e libertà, l’associazione che 20 anni fa radunò tutti gli oppositori di Silvio Berlusconi. «L’ubbidienza è una virtù? Di fronte alla legge ingiusta non c’è modo di reagire?». Così, sotto al sobrio titolo «Orgoglio e manganello», si è aperto l’editoriale del quotidiano di casa Agnelli. Ovviamente le domande dell’ex giudice della Carta erano retoriche, perché già nel modo in cui sono state poste contenevano implicitamente la risposta. Del resto, proseguendo con i quesiti, Zagrebelsky si è chiesto «se davvero la Costituzione immagini, come condizione leale, una massa di individui passivi, marionette mosse dai fili tenuti in mano dal burattinaio-legislatore». Ovviamente, la conclusione logica al suo interrogativo era un no.
Vi state chiedendo dove l’illustre giurista volesse andare a parare? La risposta è semplice: il suo era un invito alla rivolta contro il decreto legge che punisce le occupazioni abusive e i rave party con una pena fino a un massimo di sei anni di carcere. Perché le leggi che a insindacabile giudizio di una parte, naturalmente di sinistra, non sono giuste, vanno contestate, anzi disattese con la disobbedienza. Vi pare una tesi che se portata alle estreme conseguenze potrebbe far crollare lo Stato di diritto, consentendo a ciascuno di farsi un proprio Codice penale su misura, rispettando solo le leggi che gli piacciono? Esatto, è proprio quel che succederebbe se si seguisse alla lettera l’insegnamento dell’autorevole professore, il quale dall’alto della sua cattedra, ma soprattutto del suo orientamento politico, invita alla ribellione nei confronti di un provvedimento di ordine pubblico già adottato in altri Paesi per impedire illeciti raduni.
Per l’ex presidente della Consulta, «così come i medici si ribellarono all’obbligo di segnalare all’autorità di pubblica sicurezza gli stranieri irregolari e l’obiezione di coscienza portò all’abolizione del servizio militare obbligatorio» (in realtà, la leva fu cancellata dall’odiato Berlusconi, mentre il servizio civile che consentì di non indossare la divisa è di 28 anni prima e dunque, con buona pace di Zagrebelsky, non c’entra nulla), serve un rigurgito morale, «un atto illecito che alla fine potrà considerarsi benemerito». Insomma, occorre qualcuno che si sacrifichi per violare la legge appena introdotta dal governo Meloni. «Coloro che si assumono il rischio di attivare questo meccanismo di garanzia costituzionale non sanno se l’esito sarà favorevole o sfavorevole», cioè se alla lunga finiranno per essere condannati oppure no, ma «agiscono in nome di un valore più alto della mera legalità, accettando la scommessa». In pratica, sono eroi.
Chiaro il concetto? Le norme che non piacciono vanno avversate. Bisogna ribellarsi in quanto «la legge non è un sovrano assoluto». Ovvero, chiunque si senta di contestare un decreto, ritenendolo in contrasto con la Costituzione, non deve rispettarlo, adattandosi semmai a raccogliere le firme per un referendum, come prevede proprio la Carta su cui si fonda la nostra Repubblica. Né è obbligato ad attendere una sollevazione di costituzionalità da parte di un tribunale. No, i cittadini possono fare da soli. «I servi (cioè gli italiani, ndr) essendo essi stessi i primi custodi della Costituzione» possono agire. Conclusione: «La disobbedienza alle leggi, nei casi in cui sono in questione valori essenziali come la vita, la libertà, la dignità delle persone, la democrazia, non è mera illegalità, ma una virtù repubblicana». Violare un divieto, insomma, è il massimo della democrazia. «Ciò però implica coraggio, ma la libertà e la Costituzione», è il gran finale di Zagrebelsky, «non sanno che farsene dei pusillanimi e di coloro che pensano soltanto alla propria tiepida sicurezza». Così, giunto alla soglia degli 80 anni, l’ex guardiano della Carta si scopre barricadero e rivoluzionario, una specie di nuovo partigiano.
Che dire? L’ex giudice appartiene alla categoria dei cattivi maestri, con l’aggravante che uno come lui era stato scelto (da Oscar Luigi Scalfaro) per vigilare sul rispetto della Costituzione. Lui e quelli come lui sono stati ritenuti uomini al di sopra delle parti, adatti a far rispettare la legge delle leggi. Con il risultato di un progressivo scivolamento a sinistra delle istituzioni del nostro Paese. Per questo motivo, mi auguro che il governo tenga duro sul decreto anti rave e non si faccia intimidire dalle proteste: la maggioranza degli italiani non sta con gli sballati che invadono proprietà private per farsi le canne, ma sta con la legge. E, nonostante quel che pensa Zagrebelsky, come ogni bravo cittadino la rispetta.