Francesco Cossiga picconava. Di solito con forza. Piaceva o non piaceva. Ma le cose le sapeva. E arrivava dritto al punto. Così, pure sulla questione mediorientale e nello specifico della nostra presenza militare in Libano dopo la ormai celebre risoluzione 1701 dell’Onu, quella che ha dato origine a Unifil. Era il 3 ottobre del 2008, mancavano quattro anni alla sua morte, e Cossiga decideva di rilasciare un’intervista a Menachem Gantz, l’allora corrispondente a Roma del celebre giornale Yediot Aharonot. Il titolo è secco: «Vi abbiamo venduto». Vi sta per «voi israeliani» e «voi ebrei». Il sottotitolo ancora più forte. Lo chiamavano «L’Accordo Moro» e la formula era semplice: l’Italia non si intromette negli affari dei palestinesi, che in cambio non toccano obiettivi italiani. «Tuttavia, ora si scopre che gli ebrei erano esclusi dall’equazione», aggiungeva l’ex presidente, spiegando come le autorità di Roma avrebbero collaborato con le organizzazioni terroristiche negli Anni Ottanta.
Ma le picconate dell’intervista non finivano lì. Anzi, arrivavano a toccare un tema ora molto caldo. «Oggi (nel 2008, ndr) c’è un accordo analogo con Hezbollah in Libano», sparava Cossiga, entrando anche un po’ nel dettaglio. «Le forze di Unifil sarebbero invitate a circolare liberamente nel Sud del Libano, senza temere per la propria incolumità, in cambio di un occhio chiuso e della possibilità di riarmarsi data a Hezbollah», sintetizzava l’ex presidente. «L’Accordo Moro non mi fu mai esposto in maniera chiara, ne ho solo ipotizzato l’esistenza. Nel caso di Hezbollah posso affermare con certezza che esiste un accordo tra le parti», chiudeva il discorso Cossiga, «Se verranno a interrogarmi, deporrò davanti ai giudici che trattasi di segreti dello Stato, e io non sono tenuto a rivelare le mie fonti».
Una sparata? In realtà quelle accuse sono state anche oggetto di ben due interrogazioni parlamentari messe nero su bianco dallo stesso Cossiga, in qualità di senatore. Una a maggio e l’altra a settembre del 2008, un mese prima dell’intervista rilasciata a Yediot. E pochi mesi dopo il passaggio di consegne tra il governo di Romano Prodi e quello di Silvio Berlusconi. «Al ministro della Difesa», iniziava come da rito la prima interrogazione, «Si chiede di sapere: se sia a conoscenza del fatto che le unità italiane Unifil in Libano, a motivo delle istruzioni impartitegli dal precedente governo ed eseguite con chiaro spirito antisraeliano, hanno agevolato il riarmo dei commandos terroristi Hezbollah da parte di Iran e Siria». Il governo precedente, lo ribadiamo, era quello di Prodi, caduto a gennaio del 2008.
Non contento però l’ex presidente dopo l’estate torna sul tema. Il 2 settembre deposita la seconda interrogazione. Qui si fa riferimento al periodo di intensa guerra civile che ha portato alla caduta del governo Siniora sostituito dal cosiddetto esecutivo di unità nazionale che alla fine ha permesso a Hezbollah di circolare liberare in Libano e riarmarsi senza freno. Cossiga punta il dito anche contro il comandante di Unifil dell’epoca, oltre che sul governo Prodi, sostenendo che la «missione Unifil e in particolare il contingente italiano» sarebbe stato «una forza determinante per il massiccio riarmo delle forze militari del movimento degli Hezbollah». Stesso concetto di maggio e dell’intervista al giornale israeliano. Concetto rimarcato da un interrogativo inquietante. Si chiede se le disposizioni verso Unifil siano «per caso l’espressione di un nuovo Lodo segreto Tizio-Caio-Mevio-Sempronio, dopo il Lodo Moro recentemente svelato dal portavoce del riaffermatosi Fronte popolare per la liberazione della Palestina e confermato da un altissimo magistrato con dovizia di particolari, per tutelare la vita dei nostri militari in quel teatro e anche in altri, e per assicurare la “pax islamico-radicale” nei confronti della popolazione italiana mettendola al riparo da attacchi terroristici». Così termina l’interrogazione che, tanto quanto quella del maggio 2008, non ha mai ricevuto alcuna risposta.
Se si accede agli atti del Senato, come ha fatto La Verità si vede chiaramente che lo stato dell’iter dell’interrogazione è verde con la dicitura «in corso». Perché la pratica non è mai stata chiusa. Eppure oggi sarebbe più che mai attuale. Andrebbero tirate fuori le due interrogazioni e messe innanzitutto sotto il naso di Prodi, quello che «d’estate andavamo nei kibbutz, ma questo non è più la nostra Israele», salvo poi condannare senza se e senza ma l’invasione del Libano da parte dell’Idf dopo aver sostanzialmente taciuto di fronte ai 16.000 razzi sparati da Hezbollah sul Nord di Israele. Sarebbe interessante avere qualche risposta. Forse aiuterebbe a capire perché i caschi blu non si sono mai accorti dei tunnel costruiti dalle milizie a due passi dalle basi Onu e non hanno mai minimamente pensato che la costruzioni di rampe di lancio, tutte dirette a Sud, potessero poi essere utilizzate contro i cittadini ebrei che vivono oltre confine. D’altronde una difficile previsione da fare e non espressamente richiesta dalla risoluzione 1701.