La Florida ha bloccato le vaccinazioni per la popolazione al di sotto dei quarant’anni, la Danimarca ha fatto lo stesso per gli under 50. Dai dati forniti dalle istituzioni inglesi risulta un aumento della mortalità nei vaccinati con una o più dosi che cresce con il passare dei mesi e riguarda anche i più giovani. Ma tutto questo, dalle nostre parti, sembra non contare nulla. Anzi si procede spediti, e si continua a insistere per l’inoculazione dei bambini. Peggio: dei neonati. Gli stessi giornali che non hanno trovato spazio nemmeno per un trafiletto sul caso Pfizer (gli unici che ne hanno parlato se ne sono occupati per tentare di insabbiare la notizia), ora danno la notizia con grande entusiasmo e discreto risalto: l’Ema, l’agenzia europea del farmaco, ha dato il via libera alle iniezioni marchiate Pfizer e Moderna. Una, la prima, dedicata ai piccini tra i 6 mesi e i 4 anni, l’altra rivolta alla fascia di età 6 mesi-5 anni.
Secondo La Stampa, i dati disponibili sarebbero addirittura «più che incoraggianti». Pensate, «a due mesi dalla seconda dose, tra i 6 e i 23 mesi il vaccino è risultato efficace al 50,6% nel prevenire il semplice contagio. Percentuale che scende al 36,8% per quelli di età compresa tra i 2 e i 5 anni».
Soprattutto però, ribadisce con notevole enfasi il quotidiano torinese, «l’efficacia è risultata superiore al 90%». E gli effetti collaterali? Niente paura, assicura Ema: non ci sono casi di miocardite o altre patologie gravi (che strano: un tempo dicevano che la miocardite fosse una specie di passeggiatina...). Al massimo «un po’ di dolore, arrossamento e gonfiore nel sito dell’iniezione, più raramente febbre o rigonfiamento dei linfonodi». La nota stampa diffusa dall’agenzia del farmaco italiana, l’Aifa, è un poco più vaga: «Gli effetti indesiderati più comuni osservati per entrambi i vaccini nei bambini di età compresa tra 6 mesi e 4 o 5 anni erano paragonabili a quelli osservati nelle fasce di età maggiori», leggiamo nel comunicato. «Irritabilità, sonnolenza, perdita di appetito, eruzione cutanea e dolorabilità nel sito di iniezione sono stati gli effetti indesiderati comuni di Comirnaty nei bambini di età compresa tra 6 e 23 mesi, mentre irritabilità, pianto, perdita di appetito e sonnolenza sono stati gli effetti indesiderati comuni di Spikevax nei bambini di età compresa tra 6 e 36 mesi. Per entrambi i vaccini gli effetti indesiderati sono stati in genere di entità lieve o moderata e sono migliorati entro alcuni giorni dalla vaccinazione». Nessun cenno agli effetti più gravi, ovviamente.
Qui però il punto non è sindacare sulle reazioni avverse immediate, quanto piuttosto tentare di fare un banalissimo calcolo costi-benefici. Per quale motivo si dovrebbe vaccinare un bambino così piccolo, causargli febbre o dolore nel momento in cui la pericolosità del virus per queste fasce di età è praticamente inesistente? Vale la pena causare anche solo arrossamento, inappetenza o ingrossamento dei linfonodi a una personcina sana che non rischia nulla e ovviamente non può spargere più di tanto il contagio?
A quanto risulta, la risposta della larghissima parte degli italiani è: assolutamente no. Infatti a oggi i vaccinati nella fascia 5-11 anni sono appena il 35,2%. E nonostante la percentuale molto bassa non risulta che si siano verificate stragi o ecatombi.
Tra l’altro, che questi vaccini per neonati siano efficaci come si vuol fare credere è tutt’altro che certo. Dell’argomento si è occupato uno studio di Nature uscito in estate da cui si evince un dato fondamentale: le iniezioni sono state testate su pochissimi soggetti. «Nello studio Moderna, 265 bambini su 5.476 hanno contratto il Covid-19 e l’efficacia variava da circa il 50% nei neonati e nei bambini piccoli a meno del 40% nei bambini di età compresa tra 2 e 5 anni», scrive Nature. Il vaccino Pfizer sembrava fare meglio, con un’efficacia media di circa l’80% nei bambini di età compresa tra 6 mesi e 4 anni. Ma queste cifre si basano su un numero esiguo di casi: solo sette infezioni nel gruppo placebo e tre nel gruppo vaccino. Doran Fink, vicedirettore delle applicazioni dei vaccini e dei prodotti correlati presso la Fda a Silver Spring, nel Maryland, ha dichiarato alla riunione del panel di considerare tali stime «preliminari» e «imprecise».
Altri esperti (tra questi l’accademico Paul Offit) si sono mostrati scettici sulla capacità di bloccare omicron, figuriamoci le varianti successive.
In Italia, a prendere la parola è stata la professoressa Maria Rita Gismondo: «È una cosa che assolutamente non comprendo e non condivido», ha detto la microbiologa a proposito della vaccinazione ai neonati. «Non la condivido perché in questo caso sono più i rischi che i benefici. I bambini, e non parlo di quelli fragili, ma di quelli in buona salute, quando contraggono questo virus hanno solo, forse, qualche volta e non sempre, un giorno o due di febbre, sintomi simili a quelli di un banale raffreddore». Ecco dunque l’inutilità di «far correre loro anche il minimo rischio, con un vaccino ancora non del tutto conosciuto, che dà, e questo è stato appurato, una miocardite ogni 100.000 vaccinati giovani».
Che il buonsenso suggerisca di evitare la puntura è piuttosto ovvio. Ma forse, purtroppo, è ovvio anche il motivo per cui si continua a insistere sulla inoculazione dei minori, financo dei neonati: in un colpo, si allarga notevolmente il mercato creando nuovi potenziali clienti. Le case farmaceutiche hanno visto ridursi la platea dei possibili vaccinandi, tanto da aumentare il prezzo delle dosi di oltre il 100% in un paio d’anni. Chissà, magari i piccini potrebbero servire a compensare eventuali perdite. Ora toccherà alle autorità italiane decidere come regolarsi riguardo ai bambini, ma va detto che l’Aifa non si è mai distinta per indipendenza. Si spera che arrivi presto un nuovo ministro della Salute e che metta subito in chiaro una cosa: tenete giù le mani (e gli aghi) dai più piccoli.