2024-12-12
Per l’Ue gli unici migranti cattivi sono russi
Ursula Von Der Leyen (Getty images)
Bruxelles stanzia 170 milioni per l’allontanamento dei profughi «usati da Mosca per la guerra ibrida» contro l’Occidente. Eppure, se l’arma è il barcone la Corte di Strasburgo condanna chi respinge. Intanto Migrantes, a corto di introiti, frigna sul diritto d’asilo.Il capolavoro annuale di retorica umanitaria, il report sul diritto d’asilo presentato ieri mattina dalla Fondazione Migrantes, organismo pastorale della Cei, parte anche questa volta con un grande classico, il numero choc: 122,6 milioni di persone in fuga a metà 2024, una cifra che, assicura Migrantes, sarà certamente superata entro fine anno. Di queste persone in fuga, più di 68 milioni rimangono all’interno del proprio Paese, mentre i rimanenti passano il confine alla ricerca di protezione e sicurezza. La maggior parte, circa il 69 per cento, si sposta in Paesi confinanti e solo una piccola frazione inizia un lungo e pericoloso viaggio verso l’Europa, che, secondo Migrantes, presenta una forte carenza di canali di ingresso legali e sicuri e, anzi, continua a rendere l’arrivo sempre più complesso e pericoloso per chi fugge. Sono stati infatti poco più di 520.000 gli ingressi irregolari in Europa tra il 2023 e i primi nove mesi del 2024, mentre sono state più di 1,5 milioni le richieste d’asilo presentate nello stesso periodo. La realtà è che i mezzi per contrastare i trafficanti di esseri umani sono stati messi a puntino e cominciano a fruttare. All’1 gennaio 2024, stando al rapporto, vivono in Italia poco meno di 414.000 cittadini non comunitari con permesso di soggiorno per motivi di protezione e asilo, ovvero lo 0,7 per cento di tutta la popolazione. Numeri che indicano l’Italia come fanalino di coda del senso di colpa europeo, dietro a Germania, Francia, Regno Unito e Spagna. E che permettono a Migrantes di definire il diritto d’asilo «a rischio, in Italia e in Europa». Come se 1,5 milioni di richieste d’asilo fossero noccioline. Il dato successivo deve essersi trasformato in un duro colpo per le casse dei buoni accoglitori compulsivi: nel 2024, dopo quattro anni di crescita, è crollato il numero di rifugiati e migranti che hanno raggiunto l’Italia dal Mediterraneo: fra gennaio e la metà di ottobre si contano 54.000 sbarcati, il 61 per cento in meno rispetto allo stesso periodo del 2023. Ma l’altro duro colpo lo ha assestato Giorgia Meloni su indicazione del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano: parte dell’8x1000 delle scelte non espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi andrà a progetti di prevenzione e inserimento nelle comunità terapeutiche, limando il tesoretto sul quale ogni anno potevano contare i vescovi. Il rapporto di Migrantes, che a questo punto, diventa molto politico, appare come la reazione di una belva ferita. E definisce il sistema d’accoglienza italiano «frammentato, grossolano e iniquo», alla luce dei recenti provvedimenti normativi che avrebbero apportato, dal punto di vista di Migrantes, «trasformazioni profonde e restrittive». Il Sai (Sistema di accoglienza e integrazione), «originariamente concepito per offrire un’integrazione duratura, è stato relegato a un ruolo marginale, accessibile solo a specifiche categorie di beneficiari e subordinato alla volontaria adesione dei Comuni. Le riforme hanno introdotto i Cas (Centri di accoglienza straordinaria) e i Casp (Centri di accoglienza provvisori), strutture temporanee con standard minimi che soddisfano esclusivamente le necessità di base». Con un taglio netto ai bigliettoni che un tempo l’armata biancorossa di coop e associazioni riusciva a portare a casa. Dopo la lagna, però, arriva una stoccata sul Piano Albania. Stando al report, «malgrado i significativi costi economici, il protocollo potrebbe risultare inefficace rispetto ai suoi stessi obiettivi e dannoso per i diritti fondamentali dei migranti, creando di fatto un sistema di esternalizzazione che isola i migranti dal territorio e dalla società italiana. Poi ha rincarato la dose il cardinale Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena: «Sul caso Albania mi è stato chiesto più volte di dire qualcosa ma io non so che dire, meglio non dire forse, sembra che siano risposte bizzarre o peggio ancora dei tentativi di dare risposte populiste o persino autolesioniste». E sarebbe stato meglio. Ma quella dell’arcivescovo si è rivelata solo una preterizione, visto che subito dopo se ne è uscito con questa domanda retorica: «C’è qualche politico che ha detto “è finita la pacchia”, che vuol dire? Che qualcuno si diverte a lasciare la propria casa?». La realtà è che anche in questo caso sono stati toccati nelle tasche: se il piano Albania dovesse arrivare a regime (magistratura permettendo) si tratterà di altri migranti sottratti alle coop e gestiti direttamente dallo Stato. Ma il grande cortocircuito sull’immigrazione ieri ha prodotto anche un altro mostro. La Commissione europea ha annunciato che «gli Stati membri hanno l’obbligo di proteggere le frontiere esterne dell’Ue». E fin qui chiunque avrebbe commentato con un «finalmente». La precisazione successiva è questa: «Allo stesso tempo, devono rispettare i diritti fondamentali e il principio di non respingimento». Poi la trovata innovativa: «Data la gravità e la persistenza della minaccia alla sicurezza dell’Ue e all’integrità territoriale degli Stati membri alle frontiere esterne con la Russia e la Bielorussia, gli Stati membri possono invocare le disposizioni del trattato per andare eccezionalmente e a condizioni rigorose oltre quanto previsto dal diritto derivato sotto il controllo della Corte di giustizia. Ciò potrebbe includere misure che possono comportare gravi interferenze con i diritti fondamentali, come il diritto di asilo e le relative garanzie, soggette ai requisiti della Carta». In sostanza è una misura di contrasto alla minaccia ibrida (per la quale sono stati stanziati 170 milioni per Estonia, Finlandia, Lituania, Lettonia, Polonia e Norvegia) che potrebbe derivare dall’uso della migrazione come arma da parte di Russia e Bielorussia. Se il mezzo della stessa arma è il barcone, però, la Corte di giustizia europea, emanazione dell’Ue come la Commissione, condanna i respingimenti, facendo figli e figliastri.
Foto @Elena Oricelli
Dal 6 dicembre il viaggio della Fiamma Olimpica di Milano Cortina 2026 toccherà 60 città italiane tra concerti, sportivi e iniziative sociali, coinvolgendo le comunità in vista dei Giochi.
Coca-Cola, partner del viaggio della Fiamma Olimpica di Milano Cortina 2026, ha presentato le iniziative che accompagneranno il percorso della torcia attraverso l’Italia, un itinerario di 63 giorni che partirà il 6 dicembre e toccherà 60 città. L’obiettivo dichiarato è trasformare l’attesa dei Giochi in un momento di partecipazione diffusa, con eventi e attività pensati per coinvolgere le comunità locali.
Le celebrazioni si apriranno il 5 dicembre a Roma, allo Stadio dei Marmi, con un concerto gratuito intitolato The Coca-Cola Music Fest – Il viaggio della Fiamma Olimpica. Sul palco si alterneranno Mahmood, Noemi, The Kolors, Tananai e Carl Brave. L’evento, secondo l’azienda, vuole rappresentare un omaggio collettivo all’avvio del percorso che porterà la Fiamma Olimpica in tutta Italia. «Il viaggio della Fiamma unisce storie, territori e persone, trasformando l’attesa dei Giochi in un’esperienza che appartiene a tutti», ha dichiarato Luca Santandrea, general manager olympic and paralympic Winter Games Milano Cortina 2026 di Coca-Cola.
Come in altre edizioni, Coca-Cola affiancherà il percorso selezionando alcuni tedofori. Tra i nomi annunciati compaiono artisti come Noemi, Mahmood e Stash dei The Kolors, volti dell’intrattenimento come Benedetta Parodi e The Jackal, e diversi atleti: Simone Barlaam, Myriam Sylla, Deborah Compagnoni, Ivan Zaytsev, Mara Navarria e Ciro Ferrara. La lista include anche associazioni attive nel sociale – dalla Croce Rossa al Banco Alimentare, passando per l’Unione italiana dei ciechi e ipovedenti – a cui viene attribuito il compito di rappresentare l’impegno civile legato allo spirito olimpico.
Elemento ricorrente di ogni tappa sarà il truck Coca-Cola, un mezzo ispirato alle auto italiane vintage e dotato di schermi led e installazioni luminose. Il convoglio, accompagnato da dj e animatori, aprirà l’arrivo della torcia nelle varie città. Accanto al truck verrà allestito il Coca-Cola Village, spazio dedicato a musica, cibo e attività sportive, compresi percorsi interattivi realizzati sotto il marchio Powerade. L’azienda sottolinea anche l’attenzione alla sostenibilità: durante il tour saranno distribuite mini-lattine in alluminio e, grazie alla collaborazione con CiAl, sarà organizzata la raccolta dei contenitori nelle aree di festa. Nelle City Celebration sarà inoltre possibile sostenere il Banco Alimentare attraverso donazioni.
Secondo un sondaggio SWG citato dall’azienda, due italiani su tre percepiscono il Viaggio della Fiamma Olimpica come un’occasione per rafforzare i legami tra le comunità locali. Coca-Cola richiama inoltre la propria lunga presenza nel Paese, risalente al 1927, quando la prima bottiglia fu imbottigliata a Roma. «Sarà un viaggio che attraverserà territori e tradizioni, un ponte tra sport e comunità», ha affermato Maria Laura Iascone, Ceremonies Director di Milano Cortina 2026.
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Nicola Fratoianni, Elly Schlein e Angelo Bonelli (Ansa)