«Razzisti!». «Sostituzione etnica!». «Ci vuole più Europa!». «Blocco navale!». Il cosiddetto dibattito sull’immigrazione è diventato da qualche anno una specie di rissa tra tifoserie vagamente allucinate, mentre la realtà corre e cambia portando problemi giganteschi di convivenza, di leggi, di equilibri economici, sociali, previdenziali, culturali. Eppure, poco più di vent’anni fa, prima dell’11 settembre, sarebbe stato possibile impostare l’intera faccenda entro binari più ragionevoli e sensati. Nel senso che i pensieri e le parole per evitare il tritacarne degli slogan inutili ci sarebbero stati. Giacomo Biffi, Giorgio Gaber e Giovanni Sartori da punti di vista, con ruoli e linguaggi e scopi decisamente diversi tra loro, hanno dato vita a un dialogo, diretto e indiretto, proprio sui temi dell’immigrazione, del rapporto con l’altro, del senso della convivenza tra diversi. Il primo, grande cardinale, si attirò insulti e strali per aver osato dire che l’accoglienza va declinata nell’ambito del possibile, che non tutti gli immigrati sono uguali, e che integrare chi abbia una concezione di donna, di famiglia e di educazione troppo diversa non è sempre facile. Lo applaudì giusto Giovanni Sartori, mente critica di sinistra, riconoscendo i tratti di una sana laicità che in nulla faceva a botte con la posizione religiosa. E poi c’è Gaber, capace di mettere in parole e musica il tema dell’altro. Ce n’è di che imparare molto, oltre vent’anni dopo.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 5 febbraio con Flaminia Camilletti.
Imprenditore, editore e produttore cinematografico, inizia la sua carriera come tipografo e stampatore. L'impegno nel mondo del cinema lo porta a finanziare un film che susciterà un coro di proteste ma che poi incasserà un enorme successo al botteghino e un premio Oscar: La dolce vita di Fellini.
Giuseppe Pignatone (Imagoeconomica)
Pignatone, ex capo della Procura di Roma, nel 2017 richiamava i colleghi: «Iscrizioni nel registro degli indagati solo se necessario, spesso le denunce usate per altri fini». Cioè proprio quel che è accaduto con l’affaire libico.