
L’immagine di papa Francesco che ci resterà per sempre è quella del giorno di Pasqua. Prima la benedizione a San Pietro, con voce roca e affaticata, poi quel giro in Papa-mobile, tra i fedeli: il suo popolo. Un’apparizione a sorpresa, dopo due mesi di convalescenza, fra la gente in preghiera: la sua gente.
Per questo dicono che il ritorno alla casa del Padre (sono curiosi gli eufemismi usati per non parlare di morte) l’abbia affrontato con serenità. Anzi, con una certa dose di ironia, come quando scherzava mentre era ricoverato al Gemelli, anche se nelle sue condizioni c’era poco da scherzare. Non so se davvero, come ci hanno raccontato le cronache, anche nel letto dell’ospedale avesse conservato il buon umore e se corrispondano al vero le frasi con cui ha esorcizzato i «nemici». Di certo, posso dire che non ho memoria di pontefici che nel momento più difficile siano stati accompagnati, oltre che dalla preghiera anche da giudizi sferzanti, se non da cattiverie. So di scrivere una cosa che non piacerà a tutti, perché nell’ora dell’addio è meglio dimenticare le cose negative del passato. Però non credo di svelare un segreto se racconto che mentre a San Pietro si recitava il rosario e una folla aspettava muta e preoccupata la lettura dei bollettini dei medici del Gemelli, altrove c’era chi attendeva la fine di quello che, a torto o ragione, è stato giudicato un papato contrastato e divisivo, che allontanava la Chiesa dalla tradizione cattolica.
Non sono un teologo e non mi spingo a parlare di fede e di dottrina. Ma da osservatore, anche di cose religiose e vaticane, mi limito a notare che Bergoglio, quando fu eletto Papa, pensò di dover riportare la Chiesa tra la gente, ritenendo che per vari errori ma anche per un processo di secolarizzazione della società se ne fosse allontanata. All’inizio del suo pontificato, in effetti, il Santo Padre ha voluto abbracciare il popolo, uscendo dai palazzi vaticani e rinunciando anche allo sfarzo di Santa romana chiesa. Ricordo quella volta in cui, poco dopo la sua elezione, bevve da una bottiglietta offertagli da un fedele. Fu un gesto spontaneo, che certo gettò in allarme gli agenti addetti alla sua sicurezza. Ma in fondo fu un’immagine che lo avvicinò ancora di più alla gente. Secondo alcuni, il suo era un populismo di maniera. Cioè ritenevano che da gesuita avesse studiato quell’atteggiamento a tavolino. Forse a questo convincimento ha contribuito anche la facilità con cui si è concesso alle interviste, prima con Eugenio Scalfari, poi con Fabio Fazio, collegandosi all’ultimo perfino al Festival di Sanremo, contribuendo a desacralizzare l’immagine del vescovo di Roma.
Non so dove stia la verità, se cioè facesse tutto parte di una strategia, come dicono i critici. Probabilmente pensava in questo modo di recuperare un rapporto andato perduto, invertendo una tendenza che vede le chiese sempre più vuote e i cattolici sempre meno praticanti. Forse il suo modello era papa Giovanni XXIII, uno dei pontefici più amati insieme a Giovanni Paolo II. O forse, a ispirarlo sono state più le fascinazioni dell’arcivescovo Helder Camara, tra i fondatori della teologia della liberazione che spinse molti preti latinoamericani a sposare movimenti di sinistra e perfino ad abbracciare le armi.
Sta di fatto che le critiche non sono arrivate a causa della sua ambizione di accogliere i deboli e i poveri. Piuttosto per certe posizioni sull’immigrazione, sull’ambiente e le strizzate d’occhio alle posizioni della sinistra e del movimento Lgbt, con quella frase sull’omosessualità («Chi sono io per giudicare»). L’enciclica Laudato si’, due anni dopo l’elezione, sorprese un po’ tutti. È vero che sul soglio di Pietro aveva deciso di prendere il nome di San Francesco, ma nessuno si aspettava che trasformasse il messaggio francescano in una sorta di manifesto verde, che avrebbe potuto essere applaudito anche dagli ambientalisti più radicali. La difesa della natura, e dunque dell’uomo, è sicuramente condivisibile, ma forse, tra i problemi della fede quello del surriscaldamento globale non era il più importante.
A Bergoglio è stata addebitata la responsabilità di aver chiuso le chiese durante il Covid, contribuendo ancor di più allo smarrimento del gregge cattolico, ma gli hanno anche addossato la colpa di non essere stato deciso nel tagliare gli intrecci tra la Curia romana e la finanza, lasciando che i soldi dell’Obolo di San Pietro finissero sperperati in discutibili operazioni finanziarie, di cui il caso Becciu pare solo la punta dell’iceberg. Così come gli è stata rimproverata la lentezza nel rimuovere alti prelati che di fronte agli scandali delle molestie sessuali a volte si erano girati dall’altra parte.
Ma forse, la critica più dura è quella che riguarda la politica pro migranti. Francesco è il pontefice dell’omelia sui naufragi, quello che si è recato a Lampedusa, il Papa che si è speso a favore dei profughi in fuga dalle guerre e soprattutto dalla miseria. E questo non di rado gli ha attirato le antipatie di una parte dei fedeli. Tuttavia, voglio spezzare una lancia a suo favore: che volete che facesse un Papa se non il Papa? Ma che volete che dicesse vedendo quell’umanità sudata e stremata sui barconi? Forse avrebbe potuto evitare di benedire la causa di Luca Casarini e compagni, trasformando un antagonista esperto di scontri con la polizia in una specie di santo dei migranti, cappellano dei profughi e vescovo dei barconi, perché, finanziandolo, invece di avvicinare i fedeli li ha allontanati. Però chi sono io per poter dire che ha sbagliato? Al massimo, posso riconoscere che ci ha provato, non a trasformare un antagonista in un baciapile, ma a restituire alla Chiesa un’immagine di povertà e una certa dignità. Però, purtroppo per lui e per i fedeli, non ci è riuscito. Così come non è stato in grado fermare il conflitto in Ucraina. Anzi, le sue parole a favore di un cessate il fuoco, contro chi abbaia nel cortile di Mosca, sono state scambiate per un sostegno a Vladimir Putin, mentre erano solo esortazioni di buon senso, di chi aveva già intuito che la guerra non si sarebbe potuta vincere. Non con le armi almeno.
Ora molti dei suoi critici pregano perché le cose cambino, perché il papato di papa Francesco sia archiviato per sempre, ma io dubito che ciò avvenga. Bergoglio non ha solo tentato di riportare la Chiesa in mezzo ai fedeli: ha anche avvicinato a essa il Sud del mondo, l’America Latina e l’Africa, e pure i cattolici d’Oriente. E così ha cambiato la Chiesa come mai avevamo visto, spostandone gli equilibri lontano da Roma. In più, papa Francesco nominato, a sua immagine e somiglianza, un centinaio di cardinali, i quali, quando dovranno scegliere il suo successore, è probabile che procedano nel solco tracciato da Bergoglio.
È forse per tale ragione che, quando è stato ricoverato al Gemelli, mentre qualcuno pregava affinché il buon Dio se lo riprendesse in fretta, il Santo padre, come riferiscono le cronache, era di buon umore? Forse sì. Probabilmente rifletteva su chi avrebbe preso il suo posto, convinto che chiunque verrà scelto farà fatica a riportare la Chiesa dov’era prima. Piaccia o meno, anche se Bergoglio non ha cambiato la dottrina cattolica, è riuscito a cambiarne la politica. Da conservatrice in progressista. E prima di mutare rotta ci vorranno molti anni.