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2021-01-30
Niente quarantena dopo la trasferta. I dpcm per Renzi sono carta straccia
Matteo Renzi e Bin Salman (Ansa)
Per intervistare, dietro corposo gettone di presenza, il contestato principe Mohammad Bin Salman in una conferenza sull'innovazione organizzata dal Future investment initiative (Fii), fondazione controllata dalla famiglia reale saudita, Matteo Renzi ha solcato i cieli tra Italia e Arabia Saudita convinto di avere già, primo nel mondo, un patentino anti Covid che lo pone al di sopra di ogni regola sanitaria. Sempre che sia fondata la notizia trapelata da Iv, cioè che il senatore di Rignano si sia fatto vaccinare in terra araba con chissà quale farmaco, l'immunizzazione richiede comunque ben altri tempi e una semplice punturina non può averlo reso in poche ore meno contagioso. Gli scienziati ce lo stanno spiegando da mesi, non ci sono ancora prove che il vaccino ci metta rapidamente al riparo dal coronavirus, né che possiamo non trasmetterlo se già lo stiamo incubando. Quindi Renzi è rientrato in gran fretta dalla sua trasferta, dove ha parlato della necessità di «investire nel nuovo rinascimento saudita», per incontrare il nostro capo dello Stato in piena crisi politica. Senza sottoporsi alla quarantena, obbligatoria per chi rientra da Paesi che rientrano nell'elenco «E» del dpcm del 14 gennaio scorso, in vigore fino al prossimo 5 marzo. Decreto che mantiene gli obblighi e le restrizioni negli spostamenti contenute nel precedente dpcm. L'Arabia Saudita è tra gli Stati per, e verso i quali, i viaggi sono consentiti «solo in presenza di precise motivazioni, quali: lavoro, motivi di salute o di studio, assoluta urgenza, rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza». Matteo Renzi fa parte del consiglio di fondazione del Fii, nomina grazie alla quale può arrivare a intascare 80.000 dollari l'anno solo in gettoni di presenza alle riunioni, quindi forse potrebbe avere la scusa di essersi mosso «per lavoro». Ma l'articolo 8 del dpcm dice espressamente che «le persone che hanno soggiornato o transitato nei 14 giorni antecedenti all'ingresso in Italia, in Stati o territori di cui agli elenchi D ed E […] anche se asintomatiche si attengono ai seguenti obblighi». Tra questi, si dice che «sono sottoposte alla sorveglianza sanitaria e all'isolamento fiduciario per un periodo di 14 giorni presso l'abitazione o la dimora indicata». Attenzione, si parla di obblighi, non di scelta raccomandata. La quarantena è d'obbligo di ritorno dai Paesi extra europei. Il leader di Italia viva, invece, non si è sottoposto a isolamento fiduciario obbligatorio e appena rientrato dall'Arabia saudita sul lussuoso jet privato messo a sua disposizione, è salito al Colle rischiando di infettare il presidente Sergio Mattarella. Non può nemmeno inventarsi la scusa di far parte delle «eccezioni», per le quali non scattano l'obbligo di isolamento fiduciario, della sorveglianza e del tampone ma rimangono quelli di autodichiarazione. L'ex Rottamatore, infatti, non è funzionario Ue né un diplomatico, non fa parte del personale militare, delle forze di polizia e dei vigili del fuoco «nell'esercizio delle loro funzioni». Tantomeno è un lavoratore transfrontaliero «per comprovati motivi di lavoro», che deve rientrare nella propria residenza, o uno sportivo che, autorizzato dal ministero della Salute, doveva partecipare a una manifestazione internazionale. È solo un senatore della Repubblica che ha messo a frutto il suo ex incarico di premier e tiene conferenze ben remunerate in giro per il mondo. Attività che non lo sottrae agli obblighi cui devono sottostare tutti i cittadini in questa emergenza sanitaria. E pazienza se sua altezza, il principe ereditario Mohammad Bin Salaman, per Renzi ha chiuso un occhio, non facendo applicare le nuove misure restrittive necessarie ad arrestare la pandemia. L'ingresso in Arabia Saudita agli stranieri provenienti da Paesi in cui sono stati identificati casi della nuova versione del virus (tra cui l'Italia), è infatti possibile solo «a condizione di rispettare un periodo di autoisolamento domiciliare di 7 giorni» e l'obbligo al sesto giorno di quarantena di effettuare un test molecolare. Il senatore di Rignano avrebbe fatto un tampone in partenza per l'Arabia e uno al ritorno, ma non basta. Doveva sottoporsi a quarantena. Renzi «è un cittadino come gli altri», commenta l'ex ministro degli Esteri del governo Monti, Giulio Terzi di Sant'Agata, diplomatico di vasta esperienza. Doveva rispettare le regole «ancor di più, avendo responsabilità di leader parlamentare. Dovrebbe essere d'esempio». Aggiunge l'ex ministro: «Abbiamo visto come manifestare indifferenza nei confronti delle norme anti Covid, mentre la pandemia sta colpendo in modo disastroso l'umanità, è stato un elemento di propagazione del virus». Il presidente nazionale di Coldiretti, Ettore Prandini non ha dubbi: «Se c'è una restrizione e un obbligo sanitario, nessuno ne può essere esentato. Come gli imprenditori si attengono alle disposizioni governative quando viaggiano per lavoro, così devono fare calciatori, politici e figure istituzionali. Soprattutto per dare l'esempio». Prandini ricorda che «tantissimi cittadini stanno facendo sacrifici, il momento è tremendo sul piano della salute e del lavoro quindi attenzione: le norme valgono per tutti».
Così Matteo si accredita con i Clinton
Nonostante il rientro anticipato a seguito delle dimissioni di Giuseppe Conte, il recente viaggio di Matteo Renzi in Arabia Saudita è ricco di significati politici. Nelle scorse ore, è stato pubblicato sul sito Euronews l'intervento, scritto dall'ex premier a quattro mani con Richard Attias, per la Future investment initiative: conferenza internazionale che, dal 2017, si tiene ogni anno a Riad sotto l'egida del Public investment fund (fondo sovrano saudita di cui è presidente lo stesso principe ereditario, Mohammad Bin Salman). Da sottolineare che sia Renzi sia Attias siedano nel board della Future investment initiative foundation.
L'intervento firmato dai due riprende, in sé stesso, alcune tematiche spesso citate dall'ex premier italiano: in particolare, quella di un rinascimento culturale e tecnologico da perseguire per il post pandemia. Al di là quindi della retorica rinascimentale, è forse più interessante guardare agli aspetti politici della faccenda. Cominciamo proprio dalla figura di Attias: businessman marocchino (attualmente sposato con l'ex moglie di Sarkozy, Cecilia), la cui società di consulenza, Richard Attias & Associates, fu acquisita al 49% da una controllata del Public investment fund, Sanabil, nel 2019. Attias – ricordiamolo – è stato tra l'altro in passato produttore esecutivo del Forum di Davos, oltre che cofondatore della Global Clinton initiative. Quella stessa Global Clinton initiative che, negli anni passati, ha ricevuto significative donazioni proprio dall'Arabia Saudita: del resto, le connessioni di Hillary Clinton con Riad costituirono uno dei temi caldi della campagna elettorale per le presidenziali americane del 2016.
È pur vero che proprio Hillary Clinton abbia di recente criticato il governo saudita per l'omicidio del giornalista, Jamal Khashoggi (avvenuto nel 2018). Tuttavia la presenza di Attias nel board evidenzia che i legami tra Riad e i Clinton difficilmente possano dirsi del tutto recisi. Del resto, tra gli speaker invitati quest'anno alla Future investment initiative figura anche Anthony Scaramucci: ex direttore della Comunicazione della Casa Bianca di Donald Trump, che venne silurato dopo appena dieci giorni di attività, lasciandosi in pessimi rapporti con l'ormai ex presidente americano. Probabilmente i sauditi – che avevano trovato notoriamente in Trump un alleato di ferro nella politica mediorientale – stanno adesso (almeno in parte) cercando di riposizionarsi agli occhi del Partito democratico americano. Insomma, Renzi – attraverso Riad – conferma i suoi legami con il network clintoniano: un network che ha visto alcuni dei suoi esponenti entrare nel gabinetto presidenziale di Joe Biden.
Se da una parte gli ha consentito di rafforzare importanti connessioni internazionali, il viaggio saudita ha prodotto anche non pochi grattacapi all'ex premier. Le polemiche in Italia non sono infatti mancate. La figura di Mohammad Bin Salman è particolarmente controversa sul piano dei diritti umani, soprattutto in ragione del caso Khashoggi. Un episodio che, hanno sostenuto i critici, ha ben poco a che fare con il rinascimento di cui, secondo il leader di Italia viva, dovrebbe farsi portatrice la monarchia di Riad. Inoltre, parlando con lo stesso principe ereditario, Renzi si è detto «invidioso del costo del lavoro» che si riscontra in Arabia Saudita. Una posizione un po' bizzarra, visto che nel Paese vige ancora la kafala: un sistema che –per quanto in via di riforma– attribuisce al datore di lavoro un immenso potere sul dipendente.
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Non si placa la polemica sul mancato isolamento dell'ex Rottamatore di ritorno dal viaggio in Arabia Saudita Le regole (sia italiane che arabe) sono chiare: appena sceso dall'aereo doveva chiudersi in casa per 14 giorniIl discorso di Riad scritto a quattro mani con Richard Attias, uomo chiave dei rapporti tra Hillary e i Saud. Imbarazzo per l'elogio renziano del «costo del lavoro» nel regimeLo speciale contiene due articoliPer intervistare, dietro corposo gettone di presenza, il contestato principe Mohammad Bin Salman in una conferenza sull'innovazione organizzata dal Future investment initiative (Fii), fondazione controllata dalla famiglia reale saudita, Matteo Renzi ha solcato i cieli tra Italia e Arabia Saudita convinto di avere già, primo nel mondo, un patentino anti Covid che lo pone al di sopra di ogni regola sanitaria. Sempre che sia fondata la notizia trapelata da Iv, cioè che il senatore di Rignano si sia fatto vaccinare in terra araba con chissà quale farmaco, l'immunizzazione richiede comunque ben altri tempi e una semplice punturina non può averlo reso in poche ore meno contagioso. Gli scienziati ce lo stanno spiegando da mesi, non ci sono ancora prove che il vaccino ci metta rapidamente al riparo dal coronavirus, né che possiamo non trasmetterlo se già lo stiamo incubando. Quindi Renzi è rientrato in gran fretta dalla sua trasferta, dove ha parlato della necessità di «investire nel nuovo rinascimento saudita», per incontrare il nostro capo dello Stato in piena crisi politica. Senza sottoporsi alla quarantena, obbligatoria per chi rientra da Paesi che rientrano nell'elenco «E» del dpcm del 14 gennaio scorso, in vigore fino al prossimo 5 marzo. Decreto che mantiene gli obblighi e le restrizioni negli spostamenti contenute nel precedente dpcm. L'Arabia Saudita è tra gli Stati per, e verso i quali, i viaggi sono consentiti «solo in presenza di precise motivazioni, quali: lavoro, motivi di salute o di studio, assoluta urgenza, rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza». Matteo Renzi fa parte del consiglio di fondazione del Fii, nomina grazie alla quale può arrivare a intascare 80.000 dollari l'anno solo in gettoni di presenza alle riunioni, quindi forse potrebbe avere la scusa di essersi mosso «per lavoro». Ma l'articolo 8 del dpcm dice espressamente che «le persone che hanno soggiornato o transitato nei 14 giorni antecedenti all'ingresso in Italia, in Stati o territori di cui agli elenchi D ed E […] anche se asintomatiche si attengono ai seguenti obblighi». Tra questi, si dice che «sono sottoposte alla sorveglianza sanitaria e all'isolamento fiduciario per un periodo di 14 giorni presso l'abitazione o la dimora indicata». Attenzione, si parla di obblighi, non di scelta raccomandata. La quarantena è d'obbligo di ritorno dai Paesi extra europei. Il leader di Italia viva, invece, non si è sottoposto a isolamento fiduciario obbligatorio e appena rientrato dall'Arabia saudita sul lussuoso jet privato messo a sua disposizione, è salito al Colle rischiando di infettare il presidente Sergio Mattarella. Non può nemmeno inventarsi la scusa di far parte delle «eccezioni», per le quali non scattano l'obbligo di isolamento fiduciario, della sorveglianza e del tampone ma rimangono quelli di autodichiarazione. L'ex Rottamatore, infatti, non è funzionario Ue né un diplomatico, non fa parte del personale militare, delle forze di polizia e dei vigili del fuoco «nell'esercizio delle loro funzioni». Tantomeno è un lavoratore transfrontaliero «per comprovati motivi di lavoro», che deve rientrare nella propria residenza, o uno sportivo che, autorizzato dal ministero della Salute, doveva partecipare a una manifestazione internazionale. È solo un senatore della Repubblica che ha messo a frutto il suo ex incarico di premier e tiene conferenze ben remunerate in giro per il mondo. Attività che non lo sottrae agli obblighi cui devono sottostare tutti i cittadini in questa emergenza sanitaria. E pazienza se sua altezza, il principe ereditario Mohammad Bin Salaman, per Renzi ha chiuso un occhio, non facendo applicare le nuove misure restrittive necessarie ad arrestare la pandemia. L'ingresso in Arabia Saudita agli stranieri provenienti da Paesi in cui sono stati identificati casi della nuova versione del virus (tra cui l'Italia), è infatti possibile solo «a condizione di rispettare un periodo di autoisolamento domiciliare di 7 giorni» e l'obbligo al sesto giorno di quarantena di effettuare un test molecolare. Il senatore di Rignano avrebbe fatto un tampone in partenza per l'Arabia e uno al ritorno, ma non basta. Doveva sottoporsi a quarantena. Renzi «è un cittadino come gli altri», commenta l'ex ministro degli Esteri del governo Monti, Giulio Terzi di Sant'Agata, diplomatico di vasta esperienza. Doveva rispettare le regole «ancor di più, avendo responsabilità di leader parlamentare. Dovrebbe essere d'esempio». Aggiunge l'ex ministro: «Abbiamo visto come manifestare indifferenza nei confronti delle norme anti Covid, mentre la pandemia sta colpendo in modo disastroso l'umanità, è stato un elemento di propagazione del virus». Il presidente nazionale di Coldiretti, Ettore Prandini non ha dubbi: «Se c'è una restrizione e un obbligo sanitario, nessuno ne può essere esentato. Come gli imprenditori si attengono alle disposizioni governative quando viaggiano per lavoro, così devono fare calciatori, politici e figure istituzionali. Soprattutto per dare l'esempio». Prandini ricorda che «tantissimi cittadini stanno facendo sacrifici, il momento è tremendo sul piano della salute e del lavoro quindi attenzione: le norme valgono per tutti».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/niente-quarantena-dopo-la-trasferta-i-dpcm-per-renzi-sono-carta-straccia-2650178963.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="cosi-matteo-si-accredita-con-i-clinton" data-post-id="2650178963" data-published-at="1611953421" data-use-pagination="False"> Così Matteo si accredita con i Clinton Nonostante il rientro anticipato a seguito delle dimissioni di Giuseppe Conte, il recente viaggio di Matteo Renzi in Arabia Saudita è ricco di significati politici. Nelle scorse ore, è stato pubblicato sul sito Euronews l'intervento, scritto dall'ex premier a quattro mani con Richard Attias, per la Future investment initiative: conferenza internazionale che, dal 2017, si tiene ogni anno a Riad sotto l'egida del Public investment fund (fondo sovrano saudita di cui è presidente lo stesso principe ereditario, Mohammad Bin Salman). Da sottolineare che sia Renzi sia Attias siedano nel board della Future investment initiative foundation. L'intervento firmato dai due riprende, in sé stesso, alcune tematiche spesso citate dall'ex premier italiano: in particolare, quella di un rinascimento culturale e tecnologico da perseguire per il post pandemia. Al di là quindi della retorica rinascimentale, è forse più interessante guardare agli aspetti politici della faccenda. Cominciamo proprio dalla figura di Attias: businessman marocchino (attualmente sposato con l'ex moglie di Sarkozy, Cecilia), la cui società di consulenza, Richard Attias & Associates, fu acquisita al 49% da una controllata del Public investment fund, Sanabil, nel 2019. Attias – ricordiamolo – è stato tra l'altro in passato produttore esecutivo del Forum di Davos, oltre che cofondatore della Global Clinton initiative. Quella stessa Global Clinton initiative che, negli anni passati, ha ricevuto significative donazioni proprio dall'Arabia Saudita: del resto, le connessioni di Hillary Clinton con Riad costituirono uno dei temi caldi della campagna elettorale per le presidenziali americane del 2016. È pur vero che proprio Hillary Clinton abbia di recente criticato il governo saudita per l'omicidio del giornalista, Jamal Khashoggi (avvenuto nel 2018). Tuttavia la presenza di Attias nel board evidenzia che i legami tra Riad e i Clinton difficilmente possano dirsi del tutto recisi. Del resto, tra gli speaker invitati quest'anno alla Future investment initiative figura anche Anthony Scaramucci: ex direttore della Comunicazione della Casa Bianca di Donald Trump, che venne silurato dopo appena dieci giorni di attività, lasciandosi in pessimi rapporti con l'ormai ex presidente americano. Probabilmente i sauditi – che avevano trovato notoriamente in Trump un alleato di ferro nella politica mediorientale – stanno adesso (almeno in parte) cercando di riposizionarsi agli occhi del Partito democratico americano. Insomma, Renzi – attraverso Riad – conferma i suoi legami con il network clintoniano: un network che ha visto alcuni dei suoi esponenti entrare nel gabinetto presidenziale di Joe Biden. Se da una parte gli ha consentito di rafforzare importanti connessioni internazionali, il viaggio saudita ha prodotto anche non pochi grattacapi all'ex premier. Le polemiche in Italia non sono infatti mancate. La figura di Mohammad Bin Salman è particolarmente controversa sul piano dei diritti umani, soprattutto in ragione del caso Khashoggi. Un episodio che, hanno sostenuto i critici, ha ben poco a che fare con il rinascimento di cui, secondo il leader di Italia viva, dovrebbe farsi portatrice la monarchia di Riad. Inoltre, parlando con lo stesso principe ereditario, Renzi si è detto «invidioso del costo del lavoro» che si riscontra in Arabia Saudita. Una posizione un po' bizzarra, visto che nel Paese vige ancora la kafala: un sistema che –per quanto in via di riforma– attribuisce al datore di lavoro un immenso potere sul dipendente.
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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Ecco #DimmiLaVerità del 10 dicembre 2025. Con il nostro Alessandro Rico analizziamo gli ostacoli che molti leader europei mettono sulla strada della pace in Ucraina.
L’intesa riguarda l’acquisto di un’area di 15.000 metri quadrati dal Consorzio ZAI e prevede un investimento complessivo di circa 20 milioni di euro. Si tratta di un progetto greenfield, cioè realizzato ex novo, che darà vita a un centro di manutenzione pensato fin dall’origine per rispondere alle esigenze della logistica ferroviaria europea e alla crescita del traffico merci su rotaia.
Il nuovo impianto sarà concepito secondo un modello open access, dunque accessibile a locomotive di diversi costruttori. L’hub ospiterà cinque binari dedicati alla manutenzione leggera e un binario riservato al tornio per la riprofilatura delle ruote, consentendo di effettuare test e interventi su locomotive multisistema e in corrente continua, compatibili con i principali sistemi di segnalamento europei. L’obiettivo è garantire elevati livelli di affidabilità e disponibilità operativa dei mezzi attraverso ispezioni programmate e interventi rapidi lungo l’intero ciclo di vita dei veicoli.
La scelta di Verona si lega alla centralità del corridoio Verona–Brennero, infrastruttura destinata a un deciso aumento della capacità ferroviaria con l’apertura della Galleria di Base del Brennero, prevista per il 2032. Il nuovo hub si inserirà inoltre in una rete già consolidata, integrandosi con il Rail Service Center di Siemens Mobility a Novara, operativo dal 2015 sul corridoio TEN-T Reno-Alpi e oggi punto di riferimento per la manutenzione di oltre 120 locomotive di operatori europei.
«Questo investimento rappresenta un ulteriore passo nel nostro impegno a favore di un trasporto merci sempre più sostenibile», ha dichiarato Pierfrancesco De Rossi, Ceo di Siemens Mobility in Italia. Secondo De Rossi, il nuovo hub di Verona è «una scelta strategica che conferma la fiducia di Siemens Mobility nel Paese e nel suo ruolo centrale nello sviluppo del settore», con l’obiettivo di rafforzare la posizione dell’Italia nella rete logistica europea e sostenere il passaggio verso modalità di trasporto meno impattanti.
Il progetto nasce dall’integrazione delle competenze delle due aziende. Siemens Mobility porterà a Verona l’esperienza maturata nella manutenzione delle locomotive dedicate al trasporto merci, mentre RAILPOOL contribuirà con il know-how sviluppato a livello europeo, facendo leva su sei officine di proprietà e su una rete di supporto che può contare su oltre 4.500 parti di ricambio disponibili a magazzino.
«Con il nuovo centro di manutenzione di Verona ampliamo il nostro potenziale manutentivo in una delle aree logistiche più strategiche d’Europa», ha spiegato Alberto Lacchini, General Manager di RAILPOOL Italia. Si tratta, ha aggiunto, di un investimento che riflette «un impegno di lungo periodo nel fornire soluzioni di leasing affidabili e complete», in grado di rispondere a esigenze operative in continua evoluzione.
La collaborazione tra Siemens Mobility e RAILPOOL si inserisce in un percorso avviato nel 2024, quando le due società hanno sottoscritto un accordo quadro per la fornitura a RAILPOOL di circa 250 locomotive, incluse le varianti multisistema Vectron oggi operative in 16 Paesi lungo i principali corridoi ferroviari europei.
Sul valore dell’investimento è intervenuta anche Barbara Cimmino, vice presidente di Confindustria per l’Export e l’Attrazione degli Investimenti e presidente dell’Advisory Board Investitori Esteri. «L’investimento di Siemens Mobility in Veneto è un segnale significativo per la competitività italiana», ha affermato, sottolineando come il progetto confermi la centralità del Paese nella logistica ferroviaria europea e nei processi di transizione sostenibile. Un’iniziativa che, secondo Cimmino, evidenzia il contributo degli investitori internazionali nel rafforzare le filiere strategiche e la capacità dell’Italia di offrire ecosistemi solidi e competenze tecniche avanzate.
Per Siemens Mobility, la manutenzione delle locomotive resta una delle attività centrali anche in Italia, all’interno di una rete globale che comprende oltre 100 sedi in più di 30 Paesi e circa 7.000 specialisti. L’apertura del nuovo hub di Verona consolida questo presidio e rafforza il ruolo del Paese come snodo industriale e logistico in una fase di forte crescita del trasporto merci su ferro.
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