Lo show, prodotto dalla florida Shondaland di Shonda Rhimes, si apre durante una cena di Stato a Washington. E sono 132 stanze, 157 individui: è lo sfarzo, il lusso, l'opulenza e insieme il potere degli avventori a stordire chi guardi. Pare un sottomondo dorato, i cui cancelli si aprano per pochi e fortunati eletti. Ma è un attimo, due piedi e qualche macchia di sangue. Il castello crolla, e fra le ceneri si fa largo una figura peculiare. Cordelia Cupp, consulente del Dipartimento di Polizia Metropolitana, è stramba quanto l'attrice che la interpreta, Uzo Aduba, straordinaria in Orange is the new black. Ha capelli riccissimi e un binocolo in tasca, necessario a placare la sua voglia di fare birdwatching. Parla con una schiettezza che sembrerebbe condannarla ad una perpetua inadeguatezza. Eppure, quando si rivolge al presidente degli Stati Uniti in persona, ammonendolo con un freddo "Signore, questa casa deve essere trattata come una scena del crimine", nessuno si scompone. Anzi. Di fronte a Cordelia Cupp, nota per essere la miglior detective che l'universo mondo abbia mai conosciuto, le teste si abbassano, la tracotanza tace. Cordelia Cupp ha il rispetto e la stima di chi incontri, fin del suo partner per imposizione.
Edwin Park, agente speciale dell'Fbi interpretato da Randall Park, vince presto il proprio scetticismo per rendersi conto di quanto straordinaria sia la collega, quanto sbalorditive le sue capacità logiche. Come in ogni poliziesco che si rispetti, Cordelia Cupp ha quel lieve disordine della personalità spesso associato ad abilità deduttive fuori dalla norma. Cosa, questa, che la rende tanto capace quanto stereotipata. Gli stereotipi, però, scemano, quando la narrazione entra nel vivo e i generi si mescolano.
Allora, non c'è più alcun registro codificato, ogni regola salta. La commedia, a tratti, sembra prendere il sopravvento e si ride mentre si investiga, mentre un corpo ormai freddo viene rimosso dal terzo piano della Casa Bianca. Chi lo abbia ucciso e perché, è quel che la Cupp deve scoprire, investigando sui partecipanti alla cena di Stato come avrebbe fatto Agatha Christie nei suoi Dieci piccoli indiani. Solo, con più ironia e sarcasmo. Elementi inediti, perché inseriti in The Residence da sceneggiatori che, deliberatamente, hanno voluto prendere le distanze dal materiale originale.
La miniserie Netflix, difatti, avrebbe dovuto essere un adattamento del libro scritto da Kate Andersen Brower, The Residence: Inside the Private World of the White House. Avrebbe, dunque, dovuto essere uno spaccato esclusivo di come si svolga la vita all’interno della Casa Bianca. Ma le libertà narrative hanno mutato il corso della storia, così il libro è diventato altro: un giallo stravagante e ambizioso, in cui l'andamento procedurale del più classico whodunnit si sposa, e bene pure, con la verve della satira.