Paura Mps: l’aumento di capitale cala. Anima mette 25 milioni anziché 200

Ottimismo. Lo stesso, però, che c’era anche martedì prima che venisse spento in serata dalla fumata nera. Eppure è quello che ha spinto il titolo Mps nel corso dell’intera seduta di ieri in attesa di conoscere l’esito dell’aggiornamento della riunione del board a Rocca Salimbeni iniziata nel pomeriggio. Le azioni del Monte hanno così chiuso con un rialzo del 10% sulla base però dei soliti rumor e indiscrezioni filtrati alle agenzie (quando questo giornale è andato in stampa non era ancora arrivata alcuna comunicazione ufficiale da Siena). Si è parlato di schiarite e della formalizzazione degli impegni di pre underwriting da parte degli investitori privati. Passo necessario per firmare l’accordo con il consorzio di garanzia delle banche e dunque per mettere a punto il prospetto dell’aumento di capitale da 2,5 miliardi, per esercitare la delega e per fissare il prezzo di emissione delle nuove azioni.
Le banche garanti sarebbero disposte a coprire fino a 450 milioni di inoptato. Sommando gli impegni, i privati coprirebbero infatti circa 450 milioni dei 900 milioni complessivi a carico del mercato (1,6 miliardi sono già coperti dal Tesoro, primo azionista di Mps col 64%). Anima holding riunirà il cda questa sera per autorizzare un contributo che dovrebbe aggirarsi intorno ai 25 milioni di euro. Ovvero una quota assai inferiore rispetto a quella ipotizzata all’inizio (sul mercato si parlava di circa 200 milioni). La decisione di portare il dossier in cda sarebbe stata presa in virtù della partnership commerciale che lega Anima al Monte da 12 anni e che ne durerà altri otto in base al contratto in essere. Non sarebbe invece stata raggiunta nessuna intesa circa l’estensione degli accordi commerciali. Quanto ai francesi di Axa, partner di Mps nella bancassurance dal 2007, dovrebbero sottoscrivere azioni fino a 150 milioni. In campo ci sarebbero poi dei fondi di investimento, come Algebris capitanata da Davide Serra che dovrebbe contribuire per 50 milioni, Hosking partners e imprenditori come Denis Dumont, ex azionista di riferimento del Credito Valtellinese che investì nell’aumento dell’ex popolare quando l’attuale ad ad del Monte, Luigi Lovaglio, era al timone. Le fondazioni toscane sono infine disposte a supportare la banca con circa 30 milioni. Di certo, parte dell’aumento deve essere condotto in porto entro l’anno per portare a termine un costoso piano di prepensionamenti che coinvolgerà 3.500 dipendenti, oltre che per coprire un potenziale shortfall di capitale fino a 500 milioni. Se l’operazione dovesse essere rinviata al 2023, Mps avrà bisogno di chiedere una nuova delega ai soci, visto che quella in mano al consiglio si esaurirà il 12 novembre. L’obiettivo è dunque accelerare e varare l’aumento fra quattro giorni, il 17 ottobre.
Nel frattempo, sul fronte giudiziario, ieri l’agenzia Ansa ha diffuso la conclusione a cui è giunta la consulenza tecnica d’ufficio disposta dai pm Roberto Fontana e Giovanna Cavalleri nell’ambito dell’inchiesta sui crediti deteriorati di Mps. Stefania Chiaruttini e Luca Minetto, gli estensori della consulenza, parlano di «aspetti critici» nel processo valutativo della banca con l’effetto di produrre una «informativa non corretta» sul perimetro creditizio oggetto di analisi. Nel bilancio 2015 Mps avrebbe dovuto registrare ulteriori 240,5 milioni di euro di rettifiche su crediti a valere su un portafoglio di 100 posizioni del valore netto di circa 1,95 miliardi di euro. Di queste rettifiche il bilancio 2016 ne ha recepite solo 206,7 milioni, 33,8 milioni in meno di quelle che si sarebbe stato corretto apportare. Le 100 posizioni - quelle con il maggiore scostamento tra l’ammontare delle rettifiche evidenziate dalla Bce nell’ispezione conclusa a giugno 2017 e quelle effettuate da Mps nel bilancio 2015 - presentavano una esposizione lorda di 2,76 miliardi, su cui Mps aveva accantonato complessivamente 811,4 milioni, dopo rettifiche per 133,4 nel 2015, per un’esposizione netta di 1.952 milioni.
In pratica i crediti oggetto di esame - solo un campione del portafoglio di bad loans della banca - avrebbero dovuti essere svalutati del 38% circa del loro valore lordo anziché del 29,3% risultante in bilancio. «È stato possibile rilevare che, per talune posizioni, alla data di predisposizione del bilancio al 31 dicembre 2015, la banca disponesse già informazioni in forza delle quali avrebbe dovuto effettuare maggiori svalutazioni, in linea con quanto previsto dalla stessa procedura crediti, all’epoca in vigore», viene aggiunto nelle conclusioni. La consulenza disposta dai pm si aggiunge alle conclusioni della perizia disposta dal gip Guido Salvini, che aveva individuato rettifiche tardive su crediti per 11,4 miliardi. L’atto di chiusura delle indagini è stato notificato a inizio settembre agli ex vertici della banca, Alessandro Profumo, Fabrizio Viola e Massimo Tononi, all’ex dirigente Arturo Betunio e alla stessa banca indagata per responsabilità amministrativa degli enti.






