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2024-05-29
Il mondo ritiene normali i preti gay. E sbraita per imporli nella Chiesa
Francesco e Benedetto XVI (Ansa)
Le affermazioni grossolane attribuite a Francesco a proposito dell’accesso ai seminari delle persone omosessuali con tendenza radicata o che sostengono la cultura gay, lo abbiamo già scritto ieri, nella sostanza non sono una novità. Riprendono quanto già stabilito e confermato con un documento della congregazione del Clero approvato dallo stesso papa Bergoglio nel 2016.
Le parole che Francesco ha pronunciato nella riunione a porte chiuse con i vescovi italiani lo scorso 20 maggio in fondo ribadiscono ciò che già era regola. «C’è una cultura odierna dell’omosessualità rispetto alla quale chi ha un orientamento omosessuale è meglio che non sia accolto» in seminario, perché «è molto difficile che un ragazzo che ha questa tendenza poi non cada perché vengono pensando che la vita del prete li possa sostenere ma poi cadono nell’esercizio del ministero». Così avrebbe detto Francesco.
Ma ciò che dà fastidio al mondo, al netto dell’oggettiva grossolanità delle parole attribuite al Papa, è che la Chiesa non accetti la «normalità» dell’omosessualità nell’accesso al sacerdozio. Basterebbe la castità, come per gli eterosessuali, si dice. Oppure si dice che è giusto colpire la pedofilia, come reato e come peccato, ma l’omosessualità non solo non deve essere reato, ma nemmeno peccato. Insomma, si finisce per fare quello che di solito si imputa alla Chiesa, cioè si assiste all’ingerenza mondana negli affari della Chiesa stessa. Una libertà religiosa a singhiozzo e stabilita dal secolo. Non a caso la Ratio del 2016 ricorda che «compete alla Chiesa - nella sua responsabilità di definire i requisiti necessari per la ricezione dei Sacramenti istituiti da Cristo - discernere l’idoneità di colui che desidera entrare nel seminario».
Papa Francesco, come già il suo predecessore Benedetto XVI, tiene fermo questo insegnamento. Non si tratta ovviamente di una esclusione delle persone in quanto tali da un cammino di santità personale, quanto di una distinzione necessaria per lo svolgimento di una missione di paternità che è quella del sacerdozio e che si ritiene possa essere minata da «tendenze omosessuali radicate» o da soggetti che «sostengono la cosiddetta cultura gay».
L’arcivescovo statunitense Charles Joseph Chaput, commentando il documento del 2005, ha scritto: «Mentre le tendenze omosessuali persistenti non precludono mai la santità personale - gli omosessuali e gli eterosessuali hanno la stessa chiamata cristiana alla castità, secondo il loro stato di vita - esse rendono molto più difficile la vocazione di un servizio sacerdotale efficace».
Che la Chiesa possa e decida di dotarsi di argini morali, fermo restando il rispetto per le persone, rientra in quel concetto di libertà religiosa che troppo spesso viene tirato per la giacchetta. Non solo. Come scrisse Benedetto XVI nei suoi famosi «Appunti» sulla questione abusi, il processo di dissoluzione della concezione cristiana della morale, avvenuto specialmente a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, portò a sviluppare in ampi settori della cultura (anche intraecclesiale) la tesi che la Chiesa non abbia né possa avere una propria morale. «Si era ampiamente affermata la tesi», ha scritto Ratzinger, «che al magistero della Chiesa spetti la competenza ultima e definitiva (“infallibilità”) solo sulle questioni di fede, mentre le questioni della morale non potrebbero divenire oggetto di decisioni infallibili del magistero ecclesiale. In questa tesi c’è senz’altro qualcosa di giusto che merita di essere ulteriormente discusso e approfondito. E tuttavia c’è un minimum morale che è inscindibilmente connesso con la decisione fondamentale di fede e che deve essere difeso, se non si vuole ridurre la fede a una teoria e si riconosce, al contrario, la pretesa che essa avanza rispetto alla vita concreta. Da tutto ciò emerge come sia messa radicalmente in discussione l’autorità della Chiesa in campo morale. Chi in quest’ambito nega alla Chiesa un’ultima competenza dottrinale, la costringe al silenzio proprio dove è in gioco il confine fra verità e menzogna».
La reazione scomposta alle parole attribuite a Francesco, per quanto, lo ribadiamo, certamente grossolane e che poco si attagliano alla voce di un Pontefice, in fondo è quella del mondo che vorrebbe «costringere al silenzio» la Chiesa su alcuni temi della morale. Come quando taluni Stati, come Australia o Francia, si propongono di annullare il segreto confessionale di fronte a determinati situazioni dimenticando che la confessione è un atto di culto e non una seduta di counseling psicologico. Qualcosa che deve essere tutelato in nome della libertà religiosa e ogni ingerenza viene a considerarsi illegittima e lesiva dei diritti della coscienza.
Europa verso la pedofilia «legale»
Che il progetto di Unione europea, all’alba delle prossime elezioni di giugno, sia da correggere e non solo su elementi secondari, solo un cieco o un nostalgico dell’Urss potrebbe non vederlo. L’inutile proposta di Emmanuel Macron di inserire il diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione ha ottenuto una netta maggioranza di voti, seppur senza avere alcuna incidenza reale sul testo. Ma il voto maggioritario la dice lunga sullo spirito che aleggia in quegli scranni e in quei lidi nichilisti e antiumanisti.
La Germania, nell’Europa di ieri e di oggi, si pone come il cuore geografico e culturale e come il motore e il faro dell’economia e della finanza. Eppure, come riportato dalla Bussola quotidiana giorni fa, è appena stato votato un inaudito disegno di legge per depenalizzare il «possesso di materiale pedopornografico» da parte degli adulti. La legge, voluta dalla «maggioranza socialista, liberale e ambientalista», con l’appoggio «delle sinistre» più o meno radicali, scrive Luca Volonté, è «l’ennesima prova di un progressismo relativista senza tabù e senza rispetto per i più deboli». Con la nuova norma approvata dal Bundestag, i reati di possesso e di diffusione di immagini e video pedopornografici, già «disciplinati dall’articolo 184b del Codice penale», vengono ora «classificati come reati minori». Nonostante la forte opposizione dei partiti di centrodestra (Afd, Cdu e Csu) e delle Chiese cristiane più diffuse: cattolici, evangelici e luterani.
Eccezione balorda, ma pur sempre eccezione in questa Europa che sembra voler tagliare sempre più le sue radici cristiane, fino al punto di affacciarsi sugli abissi del male? Pare di no, vedendo ciò che accade nella Spagna guidata dal primo ministro socialista Pedro Sanchez. Come riporta un sito femminista e laico, ma vigile su ogni forma di violenza, «il consiglio comunale di Almería», in Spagna, è «sotto tiro» per aver «lanciato una campagna di manifesti sul consenso sessuale». La quale però, in uno dei manifesti affissi dal Comune, «presentava un bambino», con il volto chiaro e riconoscibile. Se vogliamo, si tratta dell’ennesima edizione delle campagne contro la violenza sessuale sulle donne. Campagne che sono ovviamente condivisibili quanto alle intenzioni antiviolenza ma che, a volte, risultano manichee, ambigue, o perfino controproducenti quanto alle modalità usate.
Bisogna prestare attenzione, in questo caso, alla frase choc riportata sul manifesto: «Se dice di no, non è sesso, è aggressione». Legittima se si trattava di donne adulte in grado di dare o negare il consenso. Ma sotto c’è il volto di un bambino, che a occhio poteva avere 10-12 anni. E l’immagine del bimbo non era un errore di stampa. Infatti il manifesto continuava dicendo: «Il 72,3% delle aggressioni sessuali sui minori si realizzano nel contesto familiare o scolastico della vittima». Quindi, quel manifesto ipoteticamente contro la violenza sessuale sui minori, lascia intendere che se il minore «dice sì» alle proposte indecenti dell’adulto, allora «non è aggressione». Solo che il minorenne, per qualunque psicologo dell’età evolutiva, non è in grado di prestare un vero consenso e sono solo i gruppi pro pedofilia, come il tedesco Krumme 13, che spingono la politica e la società ad abbassare di continuo l’età del consenso legittimo. In modo da arrivare a una sorta di «pedofilia legale» che si copre dietro le ambiguità della legge.
E il manifesto spagnolo va proprio in tal senso. Dopo le proteste di Rocío De Meer Méndez, del partito nazionalista Vox, è stato lo stesso ministero dell’Uguaglianza, normalmente poco attento agli aspetti etici della cultura, a muoversi. Ottenendo la rimozione dell’infame manifesto e le scuse del sindaco María del Mar Vázquez Agüero.
Cosa insegnano le due vicende? Che certamente i rischi di decadenza morale grave, fino alla folle giustificazione della seduzione sessuale dei minori, sono dietro l’angolo. Specie se questa Ue continuerà sulla via eversiva del «vietato vietare», della cultura di morte e dell’iper sessualizzazione coatta, con la scusa della lotta alle discriminazioni, dell’adolescenza e dell’infanzia.
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Le frasi scomposte di Francesco sono in continuità con quelle più raffinate di Joseph Ratzinger ma alla Santa Sede non è più riconosciuta la possibilità di avere una propria linea morale. E l’infallibilità papale si limita alla fede.In Spagna spuntano manifesti dove si dice che non c’è violenza se un bimbo acconsente al rapporto sessuale. E la Germania depenalizza il possesso di film porno con minori.Lo speciale contiene due articoli.Le affermazioni grossolane attribuite a Francesco a proposito dell’accesso ai seminari delle persone omosessuali con tendenza radicata o che sostengono la cultura gay, lo abbiamo già scritto ieri, nella sostanza non sono una novità. Riprendono quanto già stabilito e confermato con un documento della congregazione del Clero approvato dallo stesso papa Bergoglio nel 2016.Le parole che Francesco ha pronunciato nella riunione a porte chiuse con i vescovi italiani lo scorso 20 maggio in fondo ribadiscono ciò che già era regola. «C’è una cultura odierna dell’omosessualità rispetto alla quale chi ha un orientamento omosessuale è meglio che non sia accolto» in seminario, perché «è molto difficile che un ragazzo che ha questa tendenza poi non cada perché vengono pensando che la vita del prete li possa sostenere ma poi cadono nell’esercizio del ministero». Così avrebbe detto Francesco.Ma ciò che dà fastidio al mondo, al netto dell’oggettiva grossolanità delle parole attribuite al Papa, è che la Chiesa non accetti la «normalità» dell’omosessualità nell’accesso al sacerdozio. Basterebbe la castità, come per gli eterosessuali, si dice. Oppure si dice che è giusto colpire la pedofilia, come reato e come peccato, ma l’omosessualità non solo non deve essere reato, ma nemmeno peccato. Insomma, si finisce per fare quello che di solito si imputa alla Chiesa, cioè si assiste all’ingerenza mondana negli affari della Chiesa stessa. Una libertà religiosa a singhiozzo e stabilita dal secolo. Non a caso la Ratio del 2016 ricorda che «compete alla Chiesa - nella sua responsabilità di definire i requisiti necessari per la ricezione dei Sacramenti istituiti da Cristo - discernere l’idoneità di colui che desidera entrare nel seminario».Papa Francesco, come già il suo predecessore Benedetto XVI, tiene fermo questo insegnamento. Non si tratta ovviamente di una esclusione delle persone in quanto tali da un cammino di santità personale, quanto di una distinzione necessaria per lo svolgimento di una missione di paternità che è quella del sacerdozio e che si ritiene possa essere minata da «tendenze omosessuali radicate» o da soggetti che «sostengono la cosiddetta cultura gay».L’arcivescovo statunitense Charles Joseph Chaput, commentando il documento del 2005, ha scritto: «Mentre le tendenze omosessuali persistenti non precludono mai la santità personale - gli omosessuali e gli eterosessuali hanno la stessa chiamata cristiana alla castità, secondo il loro stato di vita - esse rendono molto più difficile la vocazione di un servizio sacerdotale efficace».Che la Chiesa possa e decida di dotarsi di argini morali, fermo restando il rispetto per le persone, rientra in quel concetto di libertà religiosa che troppo spesso viene tirato per la giacchetta. Non solo. Come scrisse Benedetto XVI nei suoi famosi «Appunti» sulla questione abusi, il processo di dissoluzione della concezione cristiana della morale, avvenuto specialmente a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, portò a sviluppare in ampi settori della cultura (anche intraecclesiale) la tesi che la Chiesa non abbia né possa avere una propria morale. «Si era ampiamente affermata la tesi», ha scritto Ratzinger, «che al magistero della Chiesa spetti la competenza ultima e definitiva (“infallibilità”) solo sulle questioni di fede, mentre le questioni della morale non potrebbero divenire oggetto di decisioni infallibili del magistero ecclesiale. In questa tesi c’è senz’altro qualcosa di giusto che merita di essere ulteriormente discusso e approfondito. E tuttavia c’è un minimum morale che è inscindibilmente connesso con la decisione fondamentale di fede e che deve essere difeso, se non si vuole ridurre la fede a una teoria e si riconosce, al contrario, la pretesa che essa avanza rispetto alla vita concreta. Da tutto ciò emerge come sia messa radicalmente in discussione l’autorità della Chiesa in campo morale. Chi in quest’ambito nega alla Chiesa un’ultima competenza dottrinale, la costringe al silenzio proprio dove è in gioco il confine fra verità e menzogna».La reazione scomposta alle parole attribuite a Francesco, per quanto, lo ribadiamo, certamente grossolane e che poco si attagliano alla voce di un Pontefice, in fondo è quella del mondo che vorrebbe «costringere al silenzio» la Chiesa su alcuni temi della morale. Come quando taluni Stati, come Australia o Francia, si propongono di annullare il segreto confessionale di fronte a determinati situazioni dimenticando che la confessione è un atto di culto e non una seduta di counseling psicologico. Qualcosa che deve essere tutelato in nome della libertà religiosa e ogni ingerenza viene a considerarsi illegittima e lesiva dei diritti della coscienza.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/mondo-preti-gay-imporli-chiesa-2668393920.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="europa-verso-la-pedofilia-legale" data-post-id="2668393920" data-published-at="1716941018" data-use-pagination="False"> Europa verso la pedofilia «legale» Che il progetto di Unione europea, all’alba delle prossime elezioni di giugno, sia da correggere e non solo su elementi secondari, solo un cieco o un nostalgico dell’Urss potrebbe non vederlo. L’inutile proposta di Emmanuel Macron di inserire il diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione ha ottenuto una netta maggioranza di voti, seppur senza avere alcuna incidenza reale sul testo. Ma il voto maggioritario la dice lunga sullo spirito che aleggia in quegli scranni e in quei lidi nichilisti e antiumanisti. La Germania, nell’Europa di ieri e di oggi, si pone come il cuore geografico e culturale e come il motore e il faro dell’economia e della finanza. Eppure, come riportato dalla Bussola quotidiana giorni fa, è appena stato votato un inaudito disegno di legge per depenalizzare il «possesso di materiale pedopornografico» da parte degli adulti. La legge, voluta dalla «maggioranza socialista, liberale e ambientalista», con l’appoggio «delle sinistre» più o meno radicali, scrive Luca Volonté, è «l’ennesima prova di un progressismo relativista senza tabù e senza rispetto per i più deboli». Con la nuova norma approvata dal Bundestag, i reati di possesso e di diffusione di immagini e video pedopornografici, già «disciplinati dall’articolo 184b del Codice penale», vengono ora «classificati come reati minori». Nonostante la forte opposizione dei partiti di centrodestra (Afd, Cdu e Csu) e delle Chiese cristiane più diffuse: cattolici, evangelici e luterani. Eccezione balorda, ma pur sempre eccezione in questa Europa che sembra voler tagliare sempre più le sue radici cristiane, fino al punto di affacciarsi sugli abissi del male? Pare di no, vedendo ciò che accade nella Spagna guidata dal primo ministro socialista Pedro Sanchez. Come riporta un sito femminista e laico, ma vigile su ogni forma di violenza, «il consiglio comunale di Almería», in Spagna, è «sotto tiro» per aver «lanciato una campagna di manifesti sul consenso sessuale». La quale però, in uno dei manifesti affissi dal Comune, «presentava un bambino», con il volto chiaro e riconoscibile. Se vogliamo, si tratta dell’ennesima edizione delle campagne contro la violenza sessuale sulle donne. Campagne che sono ovviamente condivisibili quanto alle intenzioni antiviolenza ma che, a volte, risultano manichee, ambigue, o perfino controproducenti quanto alle modalità usate. Bisogna prestare attenzione, in questo caso, alla frase choc riportata sul manifesto: «Se dice di no, non è sesso, è aggressione». Legittima se si trattava di donne adulte in grado di dare o negare il consenso. Ma sotto c’è il volto di un bambino, che a occhio poteva avere 10-12 anni. E l’immagine del bimbo non era un errore di stampa. Infatti il manifesto continuava dicendo: «Il 72,3% delle aggressioni sessuali sui minori si realizzano nel contesto familiare o scolastico della vittima». Quindi, quel manifesto ipoteticamente contro la violenza sessuale sui minori, lascia intendere che se il minore «dice sì» alle proposte indecenti dell’adulto, allora «non è aggressione». Solo che il minorenne, per qualunque psicologo dell’età evolutiva, non è in grado di prestare un vero consenso e sono solo i gruppi pro pedofilia, come il tedesco Krumme 13, che spingono la politica e la società ad abbassare di continuo l’età del consenso legittimo. In modo da arrivare a una sorta di «pedofilia legale» che si copre dietro le ambiguità della legge. E il manifesto spagnolo va proprio in tal senso. Dopo le proteste di Rocío De Meer Méndez, del partito nazionalista Vox, è stato lo stesso ministero dell’Uguaglianza, normalmente poco attento agli aspetti etici della cultura, a muoversi. Ottenendo la rimozione dell’infame manifesto e le scuse del sindaco María del Mar Vázquez Agüero. Cosa insegnano le due vicende? Che certamente i rischi di decadenza morale grave, fino alla folle giustificazione della seduzione sessuale dei minori, sono dietro l’angolo. Specie se questa Ue continuerà sulla via eversiva del «vietato vietare», della cultura di morte e dell’iper sessualizzazione coatta, con la scusa della lotta alle discriminazioni, dell’adolescenza e dell’infanzia.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Getty Images
Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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