2025-03-21
Migrazione, Meloni: «Serve hub Ue per richieste asilo, si anticipi soluzione concetto Paese sicuro»
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Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in un punto stampa a margine del Consiglio europeo a Bruxelles.
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in un punto stampa a margine del Consiglio europeo a Bruxelles.
La missione Nasa avrebbe dovuto essere il terzo allunaggio. Per un problema a un serbatoio dell’ossigeno non riuscì. Ma l’incidente fu fondamentale per mettere in pratica le procedure di emergenza, portando in salvo tutti gli astronauti.
La terza missione lunare dopo quelle del luglio e del novembre 1969 (Apollo 11 e 12) fu programmata come Apollo 13 per l’aprile del 1970. La zona di esplorazione sulla Luna era stata stabilita sugli altipiani detti di Fra Mauro, una zona di particolare interesse per lo studio della geologia del satellite terrestre. L’equipaggio era formato dal veterano Jim Lovell (comandante, già presente sull’Apollo 8 e sulle precedenti missioni Gemini), Jack Swigert e Fred Haise. Il lancio avvenne regolarmente l’11 aprile 1970. Il volo proseguì senza problemi fino al 13 aprile, quando l’Apollo 13 si trovava alla distanza di circa 380mila km. dalla Terra l’equipaggio sentì un forte rumore provenire da uno dei serbatoi dell’ossigeno del modulo di comando. L’esplosione aveva generato una grave perdita di gas e fu in quel momento che Jack Swigert, in contatto radio con il responsabile del volo a Cape Kennedy Eugene F. «Gene» Krantz, pronunciò la celeberrima frase «Houston, abbiamo un problema!». La macchina delle procedure di emergenza si mosse immediatamente e in maniera assolutamente efficace di fronte ad un guasto che avrebbe potuto condannare l’equipaggio alla morte nello spazio. Fu immediatamente deciso il proseguimento del viaggio verso la Luna, spostando l’equipaggio dal modulo di comando colpito dalla perdita di ossigeno al modulo di allunaggio, ancora intatto e munito di riserve di acqua e cibo. Anche in questo caso però, l’ossigeno si era rivelato il problema più importante. Il modulo di allunaggio infatti era progettato per ospitare solo due astronauti, con le relative scorte di ossigeno e soli due filtri per l’anidride carbonica. Con tre uomini a bordo per un periodo prolungato, il rischio di morte per soffocamento era scontato. La capacità di problem solving tra Houston e l’equipaggio fu il fiore all’occhiello di quella drammatica missione. Comunicando continuamente, il centro di controllo riuscì a guidare l’equipaggio nella costruzione di un terzo filtro per la CO con materiali di risulta del modulo di comando. I filtri dei due moduli erano incompatibili tra loro: uno aveva un ingresso quadrato, l’altro tondo. Per adattare il quadrato del modulo di comando a quello tondo del modulo di allunaggio furono usati un sacchetto di plastica, un cartoncino del blocco note del registro operazioni, il nastro adesivo in tela (il famoso «nastro americano o duct tape) e un calzino. L’idea artigianale fu vincente e permise al terzo membro di non morire intossicato dalla rapida crescita della percentuale di anidride carbonica. L’Apollo 13 arrivò nell’orbita lunare, compì un giro completo passando dietro la faccia oscura e riapparve pronto per le procedure di rientro, che avvennero manualmente, calcolate dalla base di Terra. Poco dopo le ore 10.00 del 17 aprile 1970 la capsula contenente i tre astronauti ammarò senza danni nell’Oceano Pacifico, dove fu raggiunta dalla nave di recupero «Uss Iwo Jima». I responsabili della Nasa, nelle conferenze stampa che seguirono una missione fallita ma coronata dal grande successo del salvataggio, dichiararono di aver trovato il modo di «Includere il quadrato in un cerchio» riferendosi al miracolo della costruzione del filtro improvvisato.