Come sempre, quando c’è di mezzo la Ue c’è anche la fregatura. Così adesso, i sostenitori dell’integrazione europea a scapito della sovranità nazionale scoprono che la proposta di riforma del Patto di stabilità e crescita, per il nostro Paese equivarrebbe a una trappola. Con i nuovi parametri, l’Italia avrebbe le mani legate e non potrebbe più fare alcuna politica di bilancio, in quanto l’unico obiettivo che dovrebbe perseguire per soddisfare le richieste di Bruxelles consisterebbe nella riduzione del debito. I tedeschi hanno messo il broncio, denunciando come troppo blandi i «ritocchi» al sistema. Forse si aspettavano che ai Paesi finanziariamente più esposti, oltre ai vincoli di bilancio mettessero anche gli schiavettoni, ma sta di fatto che con le nuove regole nessun governo sarebbe in grado di operare autonomamente. In pratica, a decidere qualsiasi capitolo di spesa non sarebbe più Palazzo Chigi, sede di un esecutivo regolarmente eletto dagli italiani, ma Palazzo Berlaymont, casa della Commissione europea che nessun elettore italiano, o anche europeo, ha scelto.
A rendersi conto delle insidie contenute nella proposta avanzata per un ritorno alla logica delle regole e dei parametri sono stati all’improvviso anche alcuni insospettabili, i quali parlano senza mezze misure di commissariamento dei Paesi con il debito più alto e tra i quali il più importante è certamente l’Italia. Lo ha spiegato in maniera chiara Lorenzo Bini Smaghi, ex consigliere della Banca centrale europea e attuale presidente della Société générale, uno dei grandi istituti di credito francesi. Con le nuove regole «se il Paese non si adegua viene messo automaticamente in procedura per disavanzo eccessivo e i mercati potrebbero reagire negativamente». Ma quale sarebbe l’effetto delle nuove regole sui bilanci di uno Stato? È ancora Bini Smaghi a spiegarlo: «In queste condizioni, sarà difficile per un ministro dell’Economia preparare il Documento di economia e finanza, che non potrebbe essere modificato per quattro anni anche se cambiasse il contesto». Secondo il banchiere, si vuole passare da un sistema di regole flessibili, per quanto vigilate come è accaduto finora, a uno a discrezione stringente di Bruxelles. Tutto ciò vuol dire una sola cosa, ovvero che le decisioni non vengono più prese a Roma. Si tratterebbe della naturale conclusione di un processo cominciato con il Fiscal compact, cioè con il trasferimento di potere fuori dai confini nazionali senza che qualcuno abbia chiesto il parere degli italiani. Per Bini Smaghi, dalla riforma non c’è da aspettarsi alcunché di buono, perché la procedura d’infrazione non scatterebbe soltanto in caso di aumento del debito, ma anche se non si correggessero gli squilibri macroeconomici con le riforme previste. Chiaro il concetto? Se a Bruxelles decidono che le pensioni vanno tagliate, l’Europa ci metterà nel mirino, stangandoci a dovere. Per noi sarebbe una maxi fregatura, con le agenzie di rating pronte ad alzare la classificazione di rischio e dunque a rendere più cari e meno vendibili i titoli del nostro debito pubblico.
L’ex banchiere della Bce è eccessivamente pessimista? Non pare, visto che anche un ex dirigente della Banca d’Italia come Angelo De Mattia ha scritto ieri le stesse cose. Di fatto, ha spiegato colui che da capo dell’ufficio studi fu a fianco del governatore Antonio Fazio, così viene menomata l’autonomia di spesa dei Paesi a maggior debito. «Una mossa che lascerebbe assai poco spazio a qualunque governo per una qualunque iniziativa volta alla crescita del Paese». In altre parole, gli italiani potrebbero scegliersi il governo che vogliono, ma che sia giallo, verde o rosso, a decidere sarebbero sempre i burocrati di Bruxelles.
Si tratta di una preoccupazione esclusiva dei banchieri? Non pare, visto che ieri sulle pagine dei giornali si parlava di commissariamento dell’Italia qualora la riforma passasse. Qualcuno a questo proposito ipotizza che si tratti di una ritorsione tedesca contro il nostro Paese, reo di non aver firmato il Mes, Meccanismo europeo di stabilità, una misura tanto cara alla Germania, che non vede l’ora di salvare con i soldi europei (dunque anche nostri) le banche del suo Paese, già protagoniste di vari scandali.
Ma non c’è solo il fondato sospetto di una manovra di Berlino. C’è molto probabilmente anche il tentativo di mettere sotto tutela l’Europa, e l’Italia in particolare, in vista delle prossime elezioni europee. Come è noto e come spiega in un articolo a parte sulla VeritàDaniele Capezzone, l’Europa rinnoverà il Parlamento e anche la Commissione l’anno prossimo e sul continente spira un’aria di svolta. Per anni a Bruxelles hanno governato i socialisti in combutta con il Ppe. Ma ora, visti i risultati di vari Paesi, si annuncia un cambiamento e i nuovi vertici potrebbero spostarsi a destra. Mettere al guinzaglio (ma forse sarebbe meglio dire in manette) Paesi come l’Italia, permetterebbe ai burocrati di Bruxelles di continuare a fare il bello e il cattivo tempo come hanno sempre fatto. Una ragione in più per dire no al Mes e anche alla riforma del Patto di stabilità.