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2022-12-19
Le gioie, i flop e le sorprese del mondiale
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Ansa
Il mondiale di calcio che si è appena concluso in Qatar è stato caratterizzato da numerose polemiche e controversie, a cominciare dall'assegnazione avvenuta 12 anni fa, passando per il mancato rispetto dei diritti umani e dei lavoratori nel Paese del Golfo, e per finire, al recentissimo scandalo corruzione che ha coinvolto il Parlamento europeo. Ma Qatar 2022, per nostra fortuna, è stato anche un torneo di calcio. Quel torneo che si disputa ogni quattro anni e che, bene o male, conserva ancora un certo fascino. Chi lo vince entra nella storia del calcio e ci rimane in maniera indelebile. È ciò che accade dal 1930, anno della prima edizione, quando a vincere fu l'Uruguay, e che nel corso degli anni consacra nazionali e campioni di assoluto livello. Dalla doppietta dell'Italia di Vittorio Pozzo nel 1934 e 1938 - impresa rimasta ancora oggi unica - al celebre Maracanazo del 1950, ossia l'incredibile sconfitta contro ogni pronostico del Brasile contro l'Uruguay al Maracanã di Rio de Janeiro. E poi, proprio la rinascita brasiliana nel segno del mito di Pelè a cavallo degli anni Cinquanta e Settanta con tre titoli conquistati nel 1958, 1962 e 1970, i successi della Germania nel 1954 e 1974, lo squillo inglese nel 1966 e la prima volta dell'Argentina nel 1978. L'indimenticabile cavalcata azzurra con i gol di Paolo Rossi nel 1982, il bis argentino del 1986 con Diego Armando Maradona, la mano di Dios e il gol del secolo. Poi Italia 90 dove fu la Germania a trionfare. La nuova era d'oro del Brasile con altri due titoli nel 1994 e nel 2002 con in mezzo il primo successo della Francia nel 1998. Il rigore di Fabio Grosso a Berlino che nel 2006 fa salire l'Italia in cima al mondo per la quarta volta. Poi, in successione, Spagna, Germania e Francia fino a ieri. 18 dicembre 2022, il giorno in cui l'Argentina, dopo aver battuto la Francia 4-2 ai rigori al culmine di una finale mozzafiato, è diventata campione del mondo per la terza volta e Lionel Messi, dopo una carriera strepitosa condita da 41 trofei divisi tra club e nazionale, sette palloni d'oro, 804 gol in 1021 partite, ha scolpito nella pietra del calcio mondiale il suo nome conquistando l'unico trofeo che non aveva ancora vinto. Quello che gli mancava per sedersi al tavolo degli dei del pallone insieme a Maradona e scrollarsi finalmente di dosso quella scomoda etichetta di calciatore fortissimo nelle squadre di club, ma normale e incapace di trascinare la sua nazionale in un mondiale. Il campione argentino ci è riuscito a 35 anni e al suo quinto tentativo. Dopo diverse delusioni e la tentazione di mollare tutto dopo la sconfitta in finale contro la Germania nel 2014. I campioni veri, però, sono fatti di un'altra pasta e non mollano. Messi ha continuato a crescere negli anni. È diventato un leader vero e ha trascinato come non mai la sua nazionale in questo mondiale. Ha segnato sette gol. È diventato l'unico a segnare almeno un gol nella fase a gironi, agli ottavi, ai quarti, in semifinale e in finale.
Finale che entra di diritto nella storia del calcio. Argentina-Francia è stata forse la finale di un mondiale più bella ed emozionante di sempre. È stata la partita dei due fenomeni e dell'ideale passaggio di consegne. Perché se da un lato c'è Messi e tutto ciò che di grande ha fatto in Qatar, dall'altro c'è Kylian Mbappé. L'asso ventiquattrenne del Paris Saint-Germain ha risposto colpo su colpo le giocate di Messi, ha segnato una tripletta in finale (l'unico che ci era riuscito finora nella storia era stato l'inglese Geoffrey Charles Hurst nel 1966) e si è portato a casa il premio individuale di capocannoniere del torneo con otto reti. Il francese, che il mondiale lo aveva già vinto quattro anni fa in Russia, ha sfiorato un bis che lo avrebbe affiancato a Pelé, unico in grado di vincere due coppe del mondo consecutive a quell'età. Ma, semmai ce ne fosse stato bisogno, ha confermato in questo mondiale di essere il presente e il futuro della scena internazionale di questo sport, dopo oltre 15 anni di duopolio Messi-Ronaldo. Proprio Cristiano Ronaldo, eliminato con il suo Portogallo ai quarti di finale dalla squadra rivelazione del torneo, il Marocco, è rimasto sullo sfondo guardando da casa il confronto testa a testa tra il rivale di sempre Messi e Mbappé. Il portoghese sperava di arrivare a giocarsi il titolo in finale contro l'argentino, ma così non è stato, un po' per demeriti suoi, un po' per essere stato fatto quasi fuori dal ct Fernando Santos e da alcuni compagni di squadra. Tra gli altri delusi di questo mondiale c'è il Brasile di Neymar Jr. Anche il numero 10 carioca - che con un post sui social si è complimentato con l'amico e compagno di squadra Messi per la vittoria - ha salutato il torneo ai quarti di finale, perdendo ai rigori contro la Croazia. La nazionale a scacchi, da questo punto di vista, è stata invece una piacevole conferma ai piani alti del calcio mondiale, riuscendo a centrare un terzo posto dopo il secondo conquistato quattro anni fa in Russia. E infine il Belgio: Lukaku e compagni non sono riusciti nemmeno questa volta a raccogliere i frutti di una generazione di talenti definita per troppi anni «d'oro».
L'appuntamento per la prossima coppa del mondo è tra quattro anni, anzi, tre e mezzo per la precisione, visto che dopo l'esperienza appena conclusa del mondiale invernale, si tornerà a giocare d'estate e lo si farà in tre Paesi: Stati Uniti, Canada e Messico.
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Analizziamo Qatar 2022 solo e soltanto dal punto di vista sportivo e tecnico: l'Argentina trascinata da Lionel Messi ha vinto con merito. Kylian Mbappé ha confermato e dimostrato che il futuro è suo. Marocco squadra rivelazione. Tra le delusioni spiccano Brasile, Belgio e il Portogallo di Cristiano Ronaldo.Il mondiale di calcio che si è appena concluso in Qatar è stato caratterizzato da numerose polemiche e controversie, a cominciare dall'assegnazione avvenuta 12 anni fa, passando per il mancato rispetto dei diritti umani e dei lavoratori nel Paese del Golfo, e per finire, al recentissimo scandalo corruzione che ha coinvolto il Parlamento europeo. Ma Qatar 2022, per nostra fortuna, è stato anche un torneo di calcio. Quel torneo che si disputa ogni quattro anni e che, bene o male, conserva ancora un certo fascino. Chi lo vince entra nella storia del calcio e ci rimane in maniera indelebile. È ciò che accade dal 1930, anno della prima edizione, quando a vincere fu l'Uruguay, e che nel corso degli anni consacra nazionali e campioni di assoluto livello. Dalla doppietta dell'Italia di Vittorio Pozzo nel 1934 e 1938 - impresa rimasta ancora oggi unica - al celebre Maracanazo del 1950, ossia l'incredibile sconfitta contro ogni pronostico del Brasile contro l'Uruguay al Maracanã di Rio de Janeiro. E poi, proprio la rinascita brasiliana nel segno del mito di Pelè a cavallo degli anni Cinquanta e Settanta con tre titoli conquistati nel 1958, 1962 e 1970, i successi della Germania nel 1954 e 1974, lo squillo inglese nel 1966 e la prima volta dell'Argentina nel 1978. L'indimenticabile cavalcata azzurra con i gol di Paolo Rossi nel 1982, il bis argentino del 1986 con Diego Armando Maradona, la mano di Dios e il gol del secolo. Poi Italia 90 dove fu la Germania a trionfare. La nuova era d'oro del Brasile con altri due titoli nel 1994 e nel 2002 con in mezzo il primo successo della Francia nel 1998. Il rigore di Fabio Grosso a Berlino che nel 2006 fa salire l'Italia in cima al mondo per la quarta volta. Poi, in successione, Spagna, Germania e Francia fino a ieri. 18 dicembre 2022, il giorno in cui l'Argentina, dopo aver battuto la Francia 4-2 ai rigori al culmine di una finale mozzafiato, è diventata campione del mondo per la terza volta e Lionel Messi, dopo una carriera strepitosa condita da 41 trofei divisi tra club e nazionale, sette palloni d'oro, 804 gol in 1021 partite, ha scolpito nella pietra del calcio mondiale il suo nome conquistando l'unico trofeo che non aveva ancora vinto. Quello che gli mancava per sedersi al tavolo degli dei del pallone insieme a Maradona e scrollarsi finalmente di dosso quella scomoda etichetta di calciatore fortissimo nelle squadre di club, ma normale e incapace di trascinare la sua nazionale in un mondiale. Il campione argentino ci è riuscito a 35 anni e al suo quinto tentativo. Dopo diverse delusioni e la tentazione di mollare tutto dopo la sconfitta in finale contro la Germania nel 2014. I campioni veri, però, sono fatti di un'altra pasta e non mollano. Messi ha continuato a crescere negli anni. È diventato un leader vero e ha trascinato come non mai la sua nazionale in questo mondiale. Ha segnato sette gol. È diventato l'unico a segnare almeno un gol nella fase a gironi, agli ottavi, ai quarti, in semifinale e in finale.Finale che entra di diritto nella storia del calcio. Argentina-Francia è stata forse la finale di un mondiale più bella ed emozionante di sempre. È stata la partita dei due fenomeni e dell'ideale passaggio di consegne. Perché se da un lato c'è Messi e tutto ciò che di grande ha fatto in Qatar, dall'altro c'è Kylian Mbappé. L'asso ventiquattrenne del Paris Saint-Germain ha risposto colpo su colpo le giocate di Messi, ha segnato una tripletta in finale (l'unico che ci era riuscito finora nella storia era stato l'inglese Geoffrey Charles Hurst nel 1966) e si è portato a casa il premio individuale di capocannoniere del torneo con otto reti. Il francese, che il mondiale lo aveva già vinto quattro anni fa in Russia, ha sfiorato un bis che lo avrebbe affiancato a Pelé, unico in grado di vincere due coppe del mondo consecutive a quell'età. Ma, semmai ce ne fosse stato bisogno, ha confermato in questo mondiale di essere il presente e il futuro della scena internazionale di questo sport, dopo oltre 15 anni di duopolio Messi-Ronaldo. Proprio Cristiano Ronaldo, eliminato con il suo Portogallo ai quarti di finale dalla squadra rivelazione del torneo, il Marocco, è rimasto sullo sfondo guardando da casa il confronto testa a testa tra il rivale di sempre Messi e Mbappé. Il portoghese sperava di arrivare a giocarsi il titolo in finale contro l'argentino, ma così non è stato, un po' per demeriti suoi, un po' per essere stato fatto quasi fuori dal ct Fernando Santos e da alcuni compagni di squadra. Tra gli altri delusi di questo mondiale c'è il Brasile di Neymar Jr. Anche il numero 10 carioca - che con un post sui social si è complimentato con l'amico e compagno di squadra Messi per la vittoria - ha salutato il torneo ai quarti di finale, perdendo ai rigori contro la Croazia. La nazionale a scacchi, da questo punto di vista, è stata invece una piacevole conferma ai piani alti del calcio mondiale, riuscendo a centrare un terzo posto dopo il secondo conquistato quattro anni fa in Russia. E infine il Belgio: Lukaku e compagni non sono riusciti nemmeno questa volta a raccogliere i frutti di una generazione di talenti definita per troppi anni «d'oro».L'appuntamento per la prossima coppa del mondo è tra quattro anni, anzi, tre e mezzo per la precisione, visto che dopo l'esperienza appena conclusa del mondiale invernale, si tornerà a giocare d'estate e lo si farà in tre Paesi: Stati Uniti, Canada e Messico.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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