La Germania ha avuto il coraggio di ammetterlo: agli ucraini che combattono contro gli invasori russi invierà vecchi arnesi da difesa. Nell’elenco degli armamenti destinati a volontari e truppe regolari di Kiev figurano infatti dei razzi terra aria costruiti in Urss e in uso più di trent’anni fa alla Ddr, la repubblica fantoccio che Erich Honecker guidava per conto di Mosca. Vecchi pure i sistemi anti tank, recuperati probabilmente in qualche magazzino dell’esercito e pronti per essere dismessi. Ma se il governo tedesco ha messo tutto nero su bianco, in ossequio al diritto dei cittadini di sapere come sono spesi i loro soldi e soprattutto se i quattrini sono investiti in qualche cosa di utile o meno, quello italiano ha segretato ogni cosa. In principio speravano di far passare la decisione in un decreto con vaghi accenni agli aiuti alla popolazione. Poi qualcuno deve aver preso cappello e spiegato a Palazzo Chigi che non si poteva mettere per iscritto che sarebbe stato inviato materiale «non letale» e poi spedire delle mitragliatrici. Dunque, fatto il decreto è stato necessario rifarlo. Così al Consiglio dei ministri del 25 febbraio è dovuto seguire quello del 28, però anche in questo caso si è posto il problema se dire tutto o nascondere le armi con un omissis da segreto di Stato. Alla fine, si è optato per quest’ultima soluzione, ma mandando il presidente del Consiglio in Parlamento a spiegare che l’Italia non si poteva voltare dall’altra parte e dunque era necessario aiutare gli ucraini.
Sì, ma come? E qui si è capito che difendere Kiev e le sue città non era poi così facile come a prima vista poteva sembrare. Non solo perché si sarebbe dovuto affrontare un esercito armato fino ai denti, fermo alle porte della capitale solo per ragioni strategiche. Ma in quanto consegnare un lanciamissili a un Paese in guerra senza dichiarare guerra al suo avversario era una di quelle contorsioni diplomatiche difficili da sostenere. E non c’è solo questo. Come si fa a far arrivare a Mariupol o a Odessa, ma anche a Kharkiv, armi, granate e vecchie autoblindo senza mettere piede nel teatro di guerra? I Lince mica li puoi spedire per posta e un carico di lanciarazzi non lo puoi mettere nella stiva di un aereo in partenza per l’Ucraina. I cieli sono off limits, i porti pure, per non parlare delle autostrade. Dunque, da escludere l’idea di utilizzare un cargo, una porta container o un treno merci.
Inoltre, trasportando materiale «sensibile», nelle alte sfere del ministero della Difesa e del ministero degli Esteri dev’essere scattato un campanello d’allarme. Ma se non possiamo entrare in Ucraina con i nostri mezzi, impiegando una colonna dell’esercito, perché rischieremmo di essere colpiti dagli aerei e dall’artiglieria russa e dunque di essere considerati un Paese belligerante, come possiamo fare? Certo non si può organizzare un trasporto in Polonia o Romania, che potrebbero essere considerate basi d’appoggio, con la conseguenza di un’estensione del conflitto e un alto rischio di coinvolgimento della Nato, perché entrambi i Paesi fanno parte dell’Alleanza atlantica. E allora? Dunque nonostante le rassicurazioni su un invio veloce, nei ministeri prendono tempo, alla ricerca della soluzione meno pericolosa. Che poi sarebbe quella di trasportare missili e mitragliatrici in Moldavia, cioè in un Paese fuori dalla Nato, per non coinvolgere l’Alleanza atlantica.
Tuttavia, tra vecchie Browning e antiche Mg, un po’ di lanciarazzi più moderni e qualche granata che era pronta per essere dismessa, resta un problema, ovvero a chi consegnare le casse. Difficile organizzare un appuntamento fra truppe ucraine ed emissari italiani in territorio moldavo. Bisognerebbe mettere di mezzo la Nato, come intermediario, ma poi anche i militari dell’Alleanza atlantica come potrebbero procedere? Di certo non sarebbero autorizzati a entrare nel territorio sotto la sovranità di Kiev, perché i rischi di un incidente con i russi sarebbero troppo alti. Dunque? L’idea geniale, che non sappiamo a chi sia venuta, è di consegnare le armi a qualche organizzazione parallela. Tradotto: dare mitragliatrici e bombe a gruppi paramilitari e volontari, affinché facciano la resistenza al posto nostro.
Anche un bambino che non abbia studiato all’accademia militare capisce che se i passaggi sono questi, le armi arriveranno nelle mani degli ucraini quando Kiev sarà già caduta. Il Pentagono prevede che ci vorrà meno di una settimana prima che i russi controllino la città e un mese e mezzo per prendere il resto del Paese. Dunque, granate e lancia missili non serviranno a respingere i russi, ma a sostenere una guerriglia nel caso Mosca imponga a Kiev un governo fantoccio. Sempre secondo gli americani l’occupazione potrebbe durare 10 o 20 anni. Sintetizzo: rischiamo di assistere ad attentati e agguati nel cuore dell’Europa per lungo tempo. Con il rischio di aver armato nei pressi di casa nostra dei signori della guerra tipo Zeljko Raznatovic, meglio noto come il comandante Arkan, un ultranazionalista serbo che in Jugoslavia guidò una milizia privata, le famigerate Tigri, che durante la guerra si rese responsabile di ogni atrocità.