L’unico posto di lavoro per cui Maurizio Landini sciopera è il suo. Il capo della Cgil, infatti, guida il più grande sindacato italiano da oltre quattro anni e, a parte alcune eccezioni (Giuseppe Di Vittorio e Luciano Lama), per consuetudine i numeri uno della confederazione di corso Italia non durano più di otto anni. È naturale, dunque, che avendo superato il giro di boa, l’ex saldatore di San Polo d’Enza si preoccupi del proprio futuro. Finita l’esperienza sindacale, tutti i suoi predecessori si sono buttati in politica. È capitato a Sergio Cofferati, Guglielmo Epifani e Susanna Camusso, per restare agli ultimi, e capiterà anche a lui. Una volta terminato il mandato, Landini potrebbe accontentarsi di un posto in Parlamento, come hanno fatto altri, ma l’uomo non è persona che si soddisfi con una poltrona da scaldare, per quanto ben retribuita. Prima ancora di arrivare al vertice della confederazione a cui si iscrisse da ragazzo, divenendo rapidamente delegato sindacale, al segretario della Cgil hanno cucito addosso l’etichetta di leader. Grazie alle partecipazioni alle trasmissioni televisive, già quando era il numero uno della Fiom, la federazione dei duri e puri in tuta da operaio, di lui si diceva che avrebbe fondato un partito o anche che avrebbe scalato il Pd. Quindi viene da sé che, se immagina il giorno in cui lascerà il palazzo di via corso Italia, Landini non può che pensare a un approdo nel Pd e non certo nel ruolo di comparsa.
Il segretario della Cgil è ambizioso quanto basta per ritenere che dopo aver fatto il numero uno del più potente sindacato italiano non potrà che fare il capo del principale partito d’opposizione. O per lo meno di quel che ne resta dopo la cura di Elly Schlein. Per onestà, oltre all’ex vicepresidente della Regione Emilia-Romagna con delega all’ambiente, bisognerebbe attribuire le colpe anche ai predecessori, vale a dire Renzi, Martina, Zingaretti e Letta, ovvero ai segretari che si sono succeduti negli ultimi anni contribuendo ciascuno con le proprie incompetenze allo sprofondo rosso. Sta di fatto però che da quando Elly, con il suo seguito di collaboratori armocromisti, si è installata in Largo del Nazareno, le cose sono andate di male in peggio. L’ultimo sondaggio di Nando Pagnoncelli dava il Pd al 18,5%: un punto in meno del mese precedente, sotto anche rispetto al risultato delle politiche dello scorso anno che costrinse Letta a gettare la spugna. A settembre, durante un dibattito organizzato per la festa dem di Ravenna, a Zingaretti è scappato un fuorionda che ha fatto il giro delle redazioni: «Mah, secondo me con questa alle Europee non arriviamo manco al 17%». Difficile dargli torto. Del resto, leggendo l’intervista che ieri la segretaria ha concesso al Corriere della Sera, c’è da mettersi le mani nei capelli. Dopo aver annunciato l’intenzione di partire da temi concreti, Schlein ha rivelato che il Pd sta preparando una contromanovra da opporre a quella del governo. E alla richiesta di avere un’anticipazione, Elly ha scucito una proposta choc: un piano per incentivare la posa di pannelli solari su edifici commerciali e industriali.
Dunque, continuando di questo passo, a metà del prossimo anno, quando si voterà per rinnovare il Parlamento di Bruxelles, la carriera della prima donna alla guida del Partito democratico potrà dirsi conclusa. Vista la data in cui si terranno le elezioni (i primi di giugno), Schlein riuscirà a mangiare la colomba pasquale, ma farà fatica ad affettare il panettone. Oddio, con i tempi con cui il Pd impiega a organizzare i congressi, potrebbe arrivare a Natale e forse anche superarlo, ma a questo punto, anche se rimanesse in sella, Elly conterebbe meno di niente.
Ecco, è su questo scenario che si inserisce Landini. A gennaio del 2025 saranno sei anni al vertice della Cgil, un periodo giusto per cambiare. Insomma, il segretario della Cgil ha più o meno un anno di tempo per organizzarsi la campagna elettorale e prepararsi al gran salto. In un Pd alla deriva, l’unico antagonista potrebbe essere Paolo Gentiloni, che nell’autunno del prossimo anno resterà disoccupato. Ma «Er moviola» è un democristiano di sinistra che scalda il cuore dei militanti quanto un ghiacciolo in pieno inverno. Perciò Landini ritiene di avere gioco facile. Naturalmente, per emergere ha bisogno di uscire dal pantano del dibattito politico e dunque che cosa c’è di meglio di uno sciopero generale contro quei cattivoni del governo che vogliono pure fare una riforma del premierato? Lo scontro con Salvini (e indirettamente Meloni) serve a questo, a creare un nemico a cui opporsi con coraggio. Insomma, l’avete capito: è uno sciopero in difesa del posto di lavoro. Il suo.
Ps. Do un consiglio non richiesto a Landini: si ricordi di Cofferati. Portò tre milioni in piazza contro Berlusconi, finì con il 5% in Liguria. Una carriera a passo di marcia. All’indietro.