L’ambasciatore Monti porta pena: la Merkel vuole il Mes per l’Italia

L’ambasciatore Monti porta pena: la Merkel vuole il Mes per l’Italia
Mario Monti (Massimo Di Vita/Archivio Massimo Di Vita/Mondadori Portfolio via Getty Images)
Al senatore a vita Mario Monti può essere rimproverato tutto, tranne l'indubbia virtù di parlare con cognizione di causa.

La memorabile intervista alla Cnn in cui nel 2013 ammise che «stiamo effettivamente distruggendo la domanda interna attraverso una stretta di bilancio» resta una pietra miliare del suo cursus honorum.

Il suo intervento sul Corriere della sera di ieri si inserisce in questo solco e sgombra il campo da ogni dubbio circa i motivi per cui l'Italia dovrebbe richiedere il Mes. Non perché convenga dal punto di vista finanziario (anche perché di fatto non è così), non perché serva a finanziare una (modesta) quota di spese del sistema sanitario relative al Covid 19, non perché sia privo di rischi di essere sottoposti a programma di aggiustamento macroeconomico (non lo è) ma, puramente e semplicemente, perché ce lo chiedono Angela Merkel e i suoi alleati. Viva la sincerità. La motivazione è tutta politica: il Mes è merce di scambio all'interno della complessa trattativa che si avvierà il prossimo 17 luglio in occasione del Consiglio europeo.

Passano così mestamente in secondo piano tutti gli affannati e goffi tentativi di trovare altre inconsistenti motivazioni. A partire dal volenteroso Nicola Zingaretti che, all'improvviso, dopo anni di tagli alla sanità operati dal suo partito e dalla sua regione, si sveglia e disegna piani mirabolanti di potenziamento del sistema sanitario. Seguito da Enrico Letta che favoleggia di «telemedicina», argomento che non si veda cosa c'entri coi costi diretti e indiretti connessi al Covid 19. Per chiudere con Luigi Marattin che continua a fare calcoli di supposta convenienza sui tassi del Mes rispetto ai Btp che fanno a pugni con i principi base della finanza.

Monti auspica che il Parlamento - nel necessario atto di indirizzo che sarà contenuto in una risoluzione da votare dopo le comunicazioni del presidente Giuseppe Conte, previste per il 15 luglio - esprima almeno una posizione di non pregiudiziale rifiuto di attivare il Mes. Tale rifiuto, sempre secondo l'ex premier, indebolirebbe la nostra posizione negoziale. Sembra l'ambasciata di un ricatto concepito in qualche Cancelleria del nord Europa. Ammesso e non concesso che intorno a questa posizione si possa trovare un consenso, non si capisce come questa foglia di fico possa nascondere la spaccatura che divide il parlamento sul tema. Secondo Monti basterà questo artificio verbale per ottenere un «buon risultato negoziale», per poi «prendere le decisioni al riguardo tra qualche mese». L'obiezione a questa tesi è che l'opposizione al Mes non è affatto pregiudiziale, ma basa su un ben articolato tessuto di motivazioni giuridiche, finanziarie e politiche. Inoltre, ammettere che il Mes possa essere merce di scambio con il Recovery fund significa riconoscere che esso è penalizzante e che deve trovare la sua contropartita proprio nel nuovo fondo, dove il primo strumento è il bastone ed il secondo è la carota, in una «logica di pacchetto» tristemente nota. Monti non rinuncia alla retorica della «più grande operazione di solidarietà della storia» di cui però lui dovrebbe conoscere i limiti. Infatti, nel migliore dei casi, l'Italia potrebbe ricevere sussidi annui, tra il 2021 ed il 2024, pari all'1,4% del Pil. Comunque da rimborsare negli anni successivi attraverso maggiori tasse sulle nostre imprese o maggiori contributi al bilancio Ue. Monti non può non sapere che l'impatto macroeconomico di quei numeri è modesto rispetto a una caduta del Pil proiettata verso il 15% nel 2020.

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