
da Kramatorsk
Chasiv Jar è una cittadina che si è trasformata nelle ultime due settimane. È in seconda posizione rispetto alle notizie che riguardano la battaglia di Bakhmut - solo perché il nome non è ancora famoso per le cronache giornalistiche - ma questo è in realtà il fronte da dove si gestisce una parte molto importante di questa guerra, forse solo per una questione politica o forse a livello strategico. Vedremo, al momento non ci è dato di sapere niente, c’è una cortina di ferro intorno alle notizie che provengono dall’area situata a due terzi verso Nord, lungo i 1.500 chilometri di confine di questo conflitto.
Ciò che però ci è possibile raccontare è quello che vediamo con i nostri occhi, almeno fino a quando sarà permesso l’accesso ai media. Le ipotesi sono per loro stessa natura etimologica delle idee e noi ne abbiamo parecchie, soprattutto vedendo il continuo cambiamento che avviene in questo centro abitato. Avvicinandoci a Chasiv Jar da alcune strade di campagna, che attraversano piccoli villaggi di contadini, si nota che gli ucraini hanno già fortificato e scavato nuovi fossi anti carro. La presenza di truppe è massiccia dietro tutto il fronte, anche a parecchi chilometri di distanza. Questo non vuol dire assolutamente che ci si aspetta una caduta di Bakhmut, ma è la dimostrazione dell’approccio difensivo messo in atto dagli ucraini.
Tutto viene previsto in largo anticipo rispetto a quelli che possono essere gli sviluppi sul campo, un po’ come si poteva vedere intorno a Kiev, anche subito dopo la cacciata delle truppe russe da tutta la regione. Gli ucraini nelle retrovie non pensavano a una vittoria, ma a un’organizzazione ancora migliore delle difese, soprattutto nel momento in cui potevano agire senza avere contro il fuoco dell’artiglieria russa e tutta la fanteria impegnata a combattere per difendere la Capitale.
Qui avviene esattamente la stessa cosa. In quest’anno di guerra gli ucraini hanno imparato a gestire le linee di rifornimento e a non arrancare, senza arrivare in ritardo su un’eventuale ritirata. Quindi tutto è già organizzato, sia per avanzare che per eventualmente ripiegare. Possiamo pensare ora alla situazione di Bakhmut, le riprese dei droni della città ci ricordano le città siriane rase al suolo o anche molte città ucraine completamente distrutte e di cui non rimangono altro che macerie. A che pro quindi mantenere il controllo di una città dove le infrastrutture non esistono più? Potrebbe essere come ha già fatto capire l’entourage del governo ucraino una questione di orgoglio nazionale. Le tanto osannate risorse di questa città e la posizione geografica, con le arterie stradali di cui si parlava qualche mese fa, non sono più percepite come indispensabili. Lo sarebbero se fossero in buone condizioni.
Ci viene da pensare dunque a un’ipotesi: potrebbe trattarsi di un metodo per organizzare le truppe, sfiancare i russi e i mercenari della Wagner. Di certo non è qui che gli ucraini si stanno giocando le sorti del conflitto, troppo differente ormai la modalità di combattimento rispetto all’ultimo anno. Come ci ha raccontato un comandante di battaglione, con cui abbiamo potuto scambiare qualche parola dietro le prime linee, la strategia è cambiata in maniera decisiva, scrollandosi dalle divise tutte quelle retoriche sovietiche di combattimento, di cui vediamo un esempio lampante invece da parte russa.
Continua infatti il solito metodo che consiste nel mettere terrore agli ucraini, che siano civili o soldati. Con attacchi sparsi a caso sulle città e suoi centri abitati e di cui tutti i giorni dobbiamo vedere o avere conto dalle cronache. O viverlo direttamente, attraverso il tremore dei vetri delle finestre dell’appartamento da dove scriviamo a Kramatorsk.
Sono già varie notti che anche qui, come in decine di città e centri abitati dell’Ucraina, arrivano missili a lunga gittata sparati a caso sulle città, lo si capisce dagli impatti, che non hanno alcun senso: una strada, un parco, un palazzo e - quando chi attacca ha più fortuna o mira - un’infrastruttura cruciale. Non bisogna sottovalutare questo aspetto, perché l’armata russa non è così stupida. Sa che questo genere di attacchi creano il panico, anche se non c’è abbastanza intelligence e tecnologia per colpire a colpo sicuro così lontano. Mentre invece sul fronte e nelle retrovie, là dove gli obiettivi sono solo militari, c’è più precisione e metodo.
Ne abbiamo avuto in varie occasioni la diretta testimonianza. Nei giorni passati, ad esempio ci portavamo intorno alla città di Chasiv Jar, verso il punto di impatto di un bombardamento per verificarne le cause. Avvicinandoci al fumo e al fuoco ci siamo trovati a due passi da una batteria di artiglieria di grosso calibro, dove un’unità di soldatiucraini lanciava verso il suo obiettivo con un metodo ormai consolidato: coordinate, comunicazione sull’impatto degli ordigni, correzione delle coordinate, fuoco. Fino al conseguimento dell’obiettivo .E poi tutti nei rifugi di corsa, perché dall’altra parte possono individuare la provenienza e cercare una risposta che colpisca quello specifico bersaglio.
Dopo una rapida corsa, ci spostiamo dall’altra parte di questa cittadina, in un edificio dov’è stato allestito un punto di stabilizzazione dei feriti. L’odore del sangue è forte già nell’atrio, le barelle, ormai di colore rosso, sono appoggiate ai muri. Due medici volontari aspettano che la radio trasmetta l’imminente arrivo di un ferito dal fronte.
È a quel punto che sentiamo la netta risposta russa, che ci dicono essere diretta al luogo da dove proveniamo, cioè dove si trova quella macchina d’artiglieria che possiamo definire di provenienza Nato. La risposta c’è, ma non è così facile colpire un fazzoletto di terra di 15 metri per 15 per danneggiare o eliminare un apparato d’attacco. Si aspetta la fine del bombardamento per uscire di nuovo dal rifugio e continuare su nuove coordinate un lancio che attraverserà uno spazio aereo distante parecchi chilometri, alla ricerca di un nuovo obiettivo.
Nel frattempo gli ucraini stanno mettendo in atto una rotazione tra i battaglioni e le brigate al fronte. In questo modo possono garantire riposo fisico e mentale ai soldati, ma anche un migliore addestramento nelle nuove tecniche provenienti dai Paesi alleati. Non è difficile vedere al fronte parecchie facce nuove di soldati e volontari, ormai inquadrati nella gestione dell’esercito regolare, che arrivano qui con meno esperienza ma con un’arma speciale, la voglia di difendere il proprio Paese. Sono ragazzi che fino a un anno fa erano impegnati nelle loro vite normali da studenti di Erasmus, viaggiatori inter rail, impiegati di banca.
Qui incontriamo anche Sergey, mentre riposa nel corridoio. È un responsabile stampa per un battaglione. Incuriositi ci mettiamo a chiacchierare con quest’uomo che ci racconta di essere anche lui un volontario. Da dove provieni? «Da Kiev», risponde, «mi sono arruolato dal primo giorno». Cosa facevi prima? «Sono direttore dell’Orchestra filarmonica di Kiev», ci risponde con nostro grande stupore. «Ho scambiato le bacchette con il Kalashnikov. Il mio nome di battaglia è «Maestro», come il grande Riccardo Muti! Do il mio sostegno qui in prima linea per poter ritornare a lavorare un giorno in teatro».
Questa è forse l’arma bellica più forte in questa guerra: l’unità, il patriottismo e la convinzione di questi giovani e vecchi uomini di poter riconquistare la libertà.













