Dall’economia al gas: sono molteplici i binari su cui si dipana la distensione tra Israele e Turchia. Ma i nodi non mancano: dal fronte iraniano a quello palestinese.
Turchia e Israele hanno stabilito di procedere verso la normalizzazione dei rapporti diplomatici. In questo quadro, hanno annunciato che entrambi gli ambasciatori torneranno nei rispettivi Paesi. La notizia è emersa a seguito di una conversazione, tenutasi mercoledì scorso, tra il premier israeliano Yair Lapid e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
“Si è deciso di elevare ancora una volta il livello delle relazioni tra i due Paesi a quello di pieni rapporti diplomatici e di ripristinare ambasciatori e consoli generali”, recita una nota di Lapid. “Il miglioramento delle relazioni contribuirà ad approfondire i legami tra i due popoli, ampliando i legami economici, commerciali e culturali e rafforzando la stabilità regionale”, si legge ancora. Il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha detto che la nomina degli ambasciatori è stata “uno dei passi per la normalizzazione dei rapporti”. “Un passo così positivo è venuto da Israele e, come risultato di questi sforzi, e come Turchia, abbiamo anche deciso di nominare un ambasciatore in Israele a Tel Aviv”, ha aggiunto, per poi precisare: “Abbiamo sempre detto che continueremo a difendere i diritti di Palestina, Gerusalemme e Gaza. È importante che i nostri messaggi vengano trasmessi a livello di ambasciatori a Tel Aviv”.
Insomma, nonostante la persistenza di divergenze, la distensione tra Israele e Turchia sembra ormai oggettivamente avviata. Una distensione che fa seguito a una serie di viaggi di altissimo livello. Lo scorso marzo, il presidente israeliano Isaac Herzog si era recato ad Ankara, dove aveva incontrato Erdogan. A maggio, era stato invece Cavusoglu a visitare Gerusalemme per avere un meeting con Lapid (all’epoca ministro degli Esteri). Il processo di disgelo non è quindi nato improvvisamente ma scaturisce da una fase di progressivo avvicinamento tra i due Paesi. Un avvicinamento che va probabilmente inquadrato all’interno di una cornice più ampia e complessa.
Nell’ultimo anno e mezzo, la Turchia ha migliorato notevolmente i rapporti con svariati dei suoi storici avversari: non solo Israele, ma anche Egitto e Arabia Saudita. Una serie di distensioni con cui il sultano mira a più obiettivi. Innanzitutto, Erdogan sta cercando di rafforzare le relazioni commerciali turche a fronte di una situazione economica interna significativamente problematica (a partire dall’inflazione galoppante): un nodo non di poco conto, soprattutto alla luce del fatto che, tra meno di un anno, Erdogan si giocherà la riconferma presidenziale. In secondo luogo, bisogna prestare attenzione al versante energetico. Il sultano ha sempre mostrato freddezza nei confronti di Eastemd: il gasdotto che, se realizzato, collegherebbe Israele a Cipro e Grecia, per poi arrivare in Puglia. Non si può quindi escludere che l’attuale distensione possa portare a sbloccare questo progetto (a cui Roma guarda con estrema attenzione).
In terzo luogo, si scorge il fattore geopolitico. Il sultano sta infatti cercando di creare una sorta cintura di influenza in varie aree del Nord Africa e del Medio Oriente, non rinunciando comunque alla propria ambigua spregiudicatezza: un’ambiguità che rappresenta tuttavia una spada di Damocle sullo stesso rilancio dei rapporti tra Israele e Ankara. Appena il mese scorso, Erdogan ha dato il proprio sostegno a Teheran in riferimento alla complicata questione del controverso accordo sul nucleare con l’Iran: un accordo che Israele vede come il fumo negli occhi. Inoltre, come abbiamo visto, non è esattamente chiaro come Ankara riuscirà a barcamenarsi tra il rilancio delle relazioni diplomatiche con Israele e la sua vicinanza politica ai palestinesi.