Tradito il dettato costituzionale. I giudici evocano uno stato di emergenza non previsto dalla Carta pur di non dare torto a Draghi: «Non irragionevoli, né sproporzionate, le scelte del legislatore in periodo pandemico». Anche se non c’erano i presupposti scientifici.
La linea prevalsa all’interno della Corte costituzionale in merito alla discussione sull’obbligo vaccinale e sulla relativa sanzione (ossia la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per i non vaccinati), è stata alla fine quella della legittimazione in toto dell’operato del governo Draghi. «Sono state ritenute non irragionevoli, né sproporzionate, le scelte del legislatore adottate in periodo pandemico sull’obbligo vaccinale del personale sanitario», così il comunicato della Consulta uscito ieri sera. La Corte ha «tagliato le gambe» anche a chi reclamava, a compensazione della privazione di lavoro e stipendio, quei famosi assegni familiari concessi perfino - come rilevato in aula - ad assassini e stupratori: «Ugualmente non fondate», ha reso noto la Consulta, «sono state ritenute le questioni proposte con riferimento alla previsione che esclude, in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale e per il tempo della sospensione, la corresponsione di un assegno a carico del datore di lavoro per chi sia stato sospeso; e ciò, sia per il personale sanitario, sia per il personale scolastico. È legittimo che sia negato anche l’assegno alimentare, sia per il personale scolastico che per il personale sanitario». I 15 giudici della Corte costituzionale non si sono invece espressi sulla causa contro l’Ordine degli psicologi della Lombardia, che avevano vietato ai medici non vaccinati l’esercizio della professione anche online: «La Corte ha ritenuto inammissibile, per ragioni processuali, la questione relativa alla impossibilità, per gli esercenti le professioni sanitarie che non abbiamo adempiuto all’obbligo vaccinale, di svolgere l’attività lavorativa, quando non implichi contatti interpersonali». Bisognerà comunque attendere la sentenza per conoscere i dettagli della decisione.
L’aver contingentato al «periodo pandemico» la legittimità delle misure imposte dal governo guidato da Mario Draghi da un lato sembrerebbe limitare, per deduzione, l’uso dell’obbligo ai periodi di crisi. Dall’altro apre però la strada alla tentazione, sempre più forte, di «perennizzare l’emergenza» come già aveva tentato di fare il governo francese in piena pandemia attraverso un disegno di legge poi ritirato, vista l’opposizione del Parlamento.
Solo la lettura della sentenza consentirà inoltre di sapere su quale base giuridica la Consulta ha definito non solo legittime, ma anche «non sproporzionate», le misure di privazione di lavoro e stipendio adottate dal governo Draghi contro chi non si è vaccinato contro il Covid-19. È infatti in questa parola, «non sproporzionate», che si racchiude il fondamento della decisione. La Corte, infatti, avrebbe potuto ribadire la legittimità dell’obbligo vaccinale, già sancita dalla sentenza n. 5 del 2018, che stabiliva che «i principi costituzionali subordinano la legittimità dell’obbligo vaccinale alla compresenza di un interesse sanitario individuale o collettivo non altrimenti tutelabile, in una logica di bilanciamento». Ma avrebbe altresì potuto rispettare i dettami del decreto legge n. 73 del 2017, che non prevedono privazioni di diritti fondamentali in caso di inosservanza, ma solo una sanzione amministrativa pecuniaria, senza, quindi, alcun pregiudizio rispetto ai diritti fondamentali.
È evidente invece che la Corte abbia voluto seguire i suggerimenti dell’Avvocatura dello Stato stabilendo, per la prima volta nella storia del diritto italiano, che non è illegittimo privare i cittadini italiani del diritto al lavoro (e relativa retribuzione) - sancito dai nostri padri costituenti agli articoli 1 e 4 della Costituzione - se questi non si sottopongono a un trattamento sanitario obbligatorio deciso dallo Stato.
L’esito della sentenza era già scritto: in primis, da alcuni quotidiani nazionali che ne hanno inopportunamente anticipato i contenuti prima ancora che avesse luogo l’udienza, ma anche dalla linea dell’Avvocatura dello Stato che mercoledì ha difeso non soltanto il legislatore, ossia il governo, ma anche il principio dell’«obbligo alla solidarietà», o «divieto di egoismo», evocato, con modulazioni più drammatiche che giuridiche, dall’Avvocatura dello Stato e anche dagli avvocati della controparte. Questi, pur sostenendo che il principio di solidarietà ha «pari diritto rispetto a quello dell’autodeterminazione», hanno dato per scontato che la Corte dovesse «dare la prevalenza di un diritto rispetto a un altro», perché «anche nei diritti ci sono gerarchie, e se si fa un bilanciamento si sacrifica un interesse rispetto a un altro». Alla fine «il sanitario che per scelta non si è vaccinato, non riconosce un valore di solidarietà, che dunque non potrà essere riconosciuto nei suoi confronti», sic et simpliciter.
Sarà interessante, quando la sentenza sarà resa pubblica, vedere come sono stati distribuiti i voti all’interno del collegio dei 15 giudici supremi, e verificare se la valutazione è stata unanime o no. Sia chiaro, quei diritti fondamentali appartengono ai cittadini in ogni caso: ma mentre prima erano intangibili, oggi diventano «disponibili».