Sul fronte ucraino si registrano continui, improvvisi sviluppi. A sorprendere non è l’aggressività di Vladimir Putin, il quale sa bene che uno degli scopi delle sanzioni è quello di incidere la carne viva degli oligarchi nell’aspettativa che questi a loro volta rovescino lo zar. A questa dinamica Putin contrappone un uso ostentato della forza, per additare all’opinione pubblica russa la debolezza dell’Occidente, divenuto incapace di combattere. Capiremo presto se la risposta occidentale sarà da «erbivoro», cioè si limiterà alle sanzioni, per quanto aspre, oppure sarà da «carnivoro» e prevederà anche operazioni sul campo.
Nel frattempo, il fronte europeo fa segnare alcune sorprese. Una è rappresentata dal micidiale editoriale con cui il Wall Street Journal ha tacciato Mario Draghi di arrendevolezza di fronte a Mosca. Anche le parole di Putin, che lodò Draghi e si augurò pubblicamente di averlo come mediatore tra Nato e Russia, rischiano ora di assumere i contorni del contrappasso. In realtà Draghi non ha gioco facile, perché i simpatizzanti di Mosca abbondano nella maggioranza politica che lo sostiene, ma ancora di più nei vertici del sistema bancario italiano.
Su un altro versante, invece, si registra la decisione tedesca di sospendere l’autorizzazione di Nord Stream 2. Si tratta ovviamente di una sospensione e non di una scelta più drastica come lo smantellamento del gasdotto, ma è in ogni caso una mossa inimmaginabile appena un anno fa. Il governo tedesco ieri ha anche convocato l’ambasciatore russo a Berlino, Sergey Nechaev, in risposta all’escalation del conflitto in Ucraina. La nuova postura tedesca è stata salutata subito con favore dagli ambienti liberal americani, e rappresenta un significativo progresso nel bilaterale Germania-Usa. Non si tratta di un cambiamento di lieve portata. Tutto lascia intendere che, sotto stress, la Germania abbia scelto l’Occidente e non l’Eurasia. Si direbbe poi che la nuova nomenclatura tedesca viaggi su una frequenza d’onda più atlantica di Angela Merkel. È un fatto, dopotutto, che all’indomani delle elezioni politiche in Germania Washington possa finalmente contare su partiti amici nel sancta sanctorum del potere tedesco. Si tratta soprattutto dei verdi e dei liberali, che hanno preteso riferimenti puntuali a Russia e Cina nell’accordo di coalizione.
La virata tedesca è osservata con interesse e crescente preoccupazione dai cinesi, che tengono alta la tensione nello stretto di Taiwan. Non più tardi di ieri, Taiwan ha denunciato l’incursione di nove caccia militari cinesi nella sua zona di indentificazione aerea, in quella che è l’iniziativa più grande delle ultime due settimane da parte dell’Esercito di liberazione popolare. A seguito dell’attacco russo all’Ucraina, la presidente dell’isola, Tsai Ing wen, ha chiesto all’esercito di rafforzare l’impegno per la pace regionale dopo un briefing sulla sicurezza. La postura tedesca è una tessera importante in questo mosaico. Fino a poco tempo fa, i cinesi erano convinti di poter fare affidamento su una pavida neutralità da parte della Germania. L’industria tedesca e colossi assicurativi come Allianz hanno infatti una massiccia presenza in Cina, e finora proprio questa presenza ha condizionato la politica tedesca. Se Berlino oggi accetta delle pesanti menomazioni pur di non essere ricattata da Mosca, significa che farebbe lo stesso in caso di offensiva cinese su Taiwan? Tanto più che l’arma del ricatto, nel caso di Taiwan, può essere brandita anche da altri soggetti. Si pensi alle forniture di microchip, campo in cui Taiwan ha un primato globale. È da escludere che in caso di offensiva cinese i taiwanesi consegnerebbero intatte le fabbriche di semiconduttori agli invasori. A farne le spese sarebbero in tanti, Cina compresa. Inoltre amici di Taiwan come l’Australia interromperebbe subito le forniture di carbone alla Cina, lasciandone al buio intere province.