Quando si va in visita in un Paese iI primo approccio è con le persone che si incontrano. E così è stato per me che sognavo da anni di mettere piede in Israele. L’occasione si è presentata grazie al patrocinio dell’American Jewish committee e altre associazioni che hanno permesso a me in veste di coordinatore del movimento universitario Siamo Futuro dell’università degli Studi di Milano e ad altri colleghi firmatari del Manifesto per il Diritto allo Studio contro le occupazioni nelle università, di andare in quei luoghi di grande fascino e spiritualità.
Appena uscito dall’aeroporto insieme agli altri studenti, come me invitati, ho notato un affascinante melting pot tra diverse culture ed etnie, una perfetta convivenza nel rispetto e tolleranza reciproca. E questa percezione ci è stata confermato dall’autista di origini palestinesi che ci ha portato in albergo, durante il percorso ci ha parlato di un Paese in cui vengono garantiti a tutti gli stessi diritti a dispetto della disinformazione imperante su una sedicente apartheid che in realtà non è mai esistita. Anche quando siamo andati in visita al Sapir College in Israele, proprio a ridosso della striscia di Gaza, gli studenti ci hanno raccontato di come tutte le etnie collaborano nel comune interesse volto allo studio e alla conoscenza. Un mio cruccio era capire se era lo stesso per gli studenti musulmani, con i quali per primo avevo desiderio di interfacciarmi. La risposta è arrivata da un gruppo di ragazze di etnia beduina (in foto) che abbiamo incontrato e che ci hanno spiegato che per loro Israele non è un Paese come un altro ma è quello che concede loro in quanto donne di poter approcciarsi allo studio senza discriminanti o pregiudizi e dove quindi è possibile raggiungere i propri sogni di carriera e lavoro, obiettivi che negli altri Paesi del Medio Oriente è praticamente impossibile. Lo stesso approccio libero allo studio lo abbiamo notato presso la Ariel University in Israele che rappresenta un prestigioso esempio di altissima coesione sociale permettendo a etnie religiose, come i musulmani drusi, di studiare senza essere discriminati o perseguitati. Questa università è anche un’eccellenza tecnologica in quanto possiede tra l’altro un laboratorio con acceleratore di particelle, università con cui sarebbe augurabile collaborare per il progresso mondiale contro la propaganda fondamentalista e antisemita ormai dilagante che vorrebbe isolare e dividere. Per questo mi sento di definire «miracolo Israeliano» la capacità di tenere unite comunità, religioni ed etnie diverse sotto l’unica bandiera in Medio Oriente fonte di progresso e tutela della libertà.
Continua a leggereRiduci